Luca Sarais e Filippo Carraretto sono i vincitori del Concorso Miglior Enotecario d’Italia per le due categorie in gara, bottiglierie ed enoteche con mescita. Un percorso iniziato nei primi mesi del 2022 e conclusosi ieri sera a Borgo Pallavicini Mori, nella campagna romana.
Siamo orgogliosi di aver premiato le competenze, le conoscenze e le capacità di questi professionisti – afferma Francesco Bonfio, Presidente di Aepi – Associazione Enotecari Professionisti Italiani –. Il nostro obiettivo era riuscire a puntare i riflettori su questa professione, centrale nel mondo del vino e dei distillati per la sua particolare vicinanza al consumatore».
Sotto l’egida del Consorzio Tutela Vini della Valpolicella è stato poi premiato come Miglior Enotecario d’Italia all’estero Daniele Leopardi, dell’Enoteca Tentazioni di Parigi.
Filippo Carraretto dell’enoteca La Mia Cantina di Padova è stato premiato anche come Miglior Enotecario Under 30, con il Consorzio Chianti Classico promotore del premio.
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EDITORIALE – L’obiettivo è talmente alto da costringere tutti a fare, prima, un passo indietro. L’Amarone revolution non è, e non sarà, qualcosa di cui vedremo i risultati – nel calice – domani. Almeno in larga scala. È, e sarà, un processo lento. Di cui oggi si iniziano a scorgere le (solide) fondamenta. Amarone Opera Prima, grande evento che ha accompagnato la presentazione in anteprima del millesimo 2017 del Re dei vini della Valpolicella, non passerà dunque alla storia come il punto d’arrivo. Piuttosto, come l’appuntamento che sancisce il (presumibile) giro di boa collettivo del gruppo di produttori legati al Consorzio.
La nuova direzione? Quella di un Amarone che resta, sì, “vino di metodo“. Ma si interroga, forse per la prima volta così profondamente, sui nuovi “gusti” del consumatore e sulle tendenze dell’alta cucina internazionale. Nonché sul “terroir”.
Ecco dunque che la tecnica dell’appassimento, prossima al riconoscimento a Patrimonio dell’Unesco, diventa un “mezzo” e smette di essere un “fine”. Giusto percepirne i sentori caratteristici, nel calice. Sbagliato rinunciare alla freschezza o, meglio, all’equilibrio.
Il tutto nel nome di un nuovo concetto di Amarone della Valpolicella, adatto ad accompagnare anche crostacei e pesce (ebbene sì, dalla capasanta all’anguilla). Scrollandosi di dosso la nomea di “vino da meditazione”, da abbinare necessariamente a piatti molto strutturati, di carne, oppure a un buon sigaro.
L’AMARONE A TAVOLA: ABBINAMENTI CON L’ALTA RISTORAZIONE
Esemplificativa, in tal senso, la riuscitissima masterclass condotta da Davide Scapin con i piatti (geniali) dello chef duestellato Nicola Portinari del ristorante La Peca di Lonigo (VI), nella giornata di apertura di Amarone Opera Prima.
I quattro stili di Amarone identificati per gli abbinamenti (fresco, “reciotato”, elegante / austero e potente), possono essere considerati solo a prima vista come un rischio di confondere (ulteriormente) il consumatore sul reale profilo dell’Amarone della Valpolicella (che, al momento, non è certo univoco).
A conti fatti, si tratta piuttosto di un colpo di scena (geniale) del Consorzio, per mostrare ai soci la via da seguire: quella di un Amarone che rinuncia alla pomposità, al residuo zuccherino sbilanciato, alle note di legno preponderanti.
Un “vino di metodo” che resti tale, ma riduca il gap (della bevibilità e dell’attaccamento a terroir e varietale, nonché dell’ampiezza del ventaglio del pairing) con il Valpolicella Rosso, vero cavallo di Troia della zona per irrompere nei mercati e tra i nuovi trend di consumo internazionale. In due parole, la strada verso l’Amarone revolution.
Un passo indietro, di fatto, mostrando stili differenti. Per indicare, sommessamente ma chiaramente, in punta di piedi ma dal palco istituzionale di Amarone Opera Prima, la stilistica da seguire, per non perdere il treno del mercato e dell’alta ristorazione, suggerita dal presidente del Consorzio, Christian Marchesini, come La Mecca dell’Amarone del futuro.
AMARONE E STORYTELLING
Un po’ meno centrati i vini scelti «in totale autonomia» da JC Viens per la seconda masterclass di Amarone Opera Prima. Scontroso e soprattutto poco giustificato e appagato dai calici l’invito, rivolto alla stampa dall’italian wine ambassador e wine educator, ad abbandonare le “grandi cantine” della denominazione per concentrarsi, invece, su «piccole realtà della Valpolicella che producono meno di 100 mila bottiglie» (poche bottiglie uguale qualità? Un retaggio del passato, ormai ampiamente sdoganato).
Quello che è mancato ad almeno quattro dei 6 vini in degustazione (per l’esattezza tre e e mezzo, come spiegherò più avanti) è proprio la luce in fondo al paventato baratro di quella che Viens ha definito «miopia» dei media: «Parlate di queste cantine – ha dichiarato, rivolgendosi alla platea di ospiti professionali di Amarone Opera Prima – o non farete altro che riprodurre e replicare una visione miope della Valpolicella ai vostri lettori». Tra i calici di Villa Spinosa, Romano Dal Forno, Ca’ la Bionda – Ravazzol, Le Guaite di Noemi, Vigneti di Ettore e Villa San Carlo, brillano (solo) i primi due.
DAL PASSATO IL FUTURO: VILLA SPINOSA E DAL FORNO
L’Amarone della Valpolicella Doc Classico 1998 Villa Spinosa (Negrar) è un concentrato di freschezza che non mostra neppure lontanamente lo scorrere delle lancette sotto al sughero. Quello che si libera dal vetro è un vino che parla, a fine anni Novanta, delle necessità e delle speranze di oggi della denominazione. Un vino già interprete dell’Amarone Revolution che sarà.
Fa lo stesso l’Amarone della Valpolicella Doc 2003 di Romano Dal Forno (vigneto Monte Lodoletta), pur con altri canoni e non essendo la bottiglia al top degli standard della cantina di Cellore d’Illasi (VR). Al consueto sorso profondo e materico risponde più il tannino che la freschezza, ma la figura finale è comunque centrata e, a sua volta, innovativa e caratteristica. E gli altri quattro calici?
Ancora troppo legati, nonostante il ricambio generazionale in corso e il numero “risicato” di bottiglie indicato da Viens come la panacea alla “miopia”, a uno stile che guarda più alla concentrazione e ai terziari che ai canoni dell’Amarone revolution (fa eccezione l’Amarone Ravazzol 2007 di Ca’ la Bionda, sbilanciato sull’acidità e scarno in centro bocca; la cantina, tuttavia, sembra aver trovato la quadra nelle annate più recenti, guidata da uno dei winemaker più appassionati della denominazione, Alessandro Castellani). La prova provata che lo storytelling non basta. A maggior ragione quando provano a convincerti che “storytelling” non è.
LA SORPRESA DI ANTEPRIMA AMARONE 2017 È NOVAIA
Che l’Amarone revolution sia iniziata, lo confermano anche alcuni calici in degustazione ad Anteprima Amarone 2017, domenica 19 giugno al Palazzo della Gran Guardia di Verona.
Il dettaglio di tutti i campioni sarà pubblicato nei prossimi giorni, ma vale la pena di spendere subito due parole sulla cantina che, realmente, quasi da “ousider”, ha sorpreso più di tutte con un Amarone finalmente pulito – rispetto ad altre annate – e decisamente “rivoluzionario”.
Il riferimento è a Novaia Organic Wines, capace di mettere nel calice un nettare davvero convincente, dal frutto alla struttura, al pari di alcuni nomi noti e garanzie della denominazione.
L’Amarone della Valpolicella Docg Classico 2017 “Corte Vaona” segna un grande passo avanti nella cifra stilistica della cantina di Marano di Valpolicella. Una realtà da sempre votata al “Bio”, tema caldo per la viticoltura italiana ed internazionale rimasto invece piuttosto ai margini di Amarone Opera Prima. La “Revolution” non potrà farne a meno.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Musivum chiude il cerchio con la presentazione del Teroldego Rotaliano Doc Superiore Riserva 2016. L’ultima tessera del mosaico di vini di territorio di Cantina Mezzacorona è stata presentata la scorsa settimana, al Palazzo Conti Martini di Mezzocorona (TN).
Musivum, dal latino appunto “mosaico”, è un progetto che valorizza e coinvolge viticoltori e vigneti distribuiti in tutte le aree viticole del Trentino e della Bassa Atesina, controllate dalla cooperativa Mezzacorona: Piana Rotaliana, Colline di Faedo, Sogni e Pressano, Val di Cembra, Trento, Vallagarina, Ala, Salorno, Pochi, Magrè, Montagna.
Tra i soci che collaborano al progetto c’è Mirta Menestrina. Il presidente Luca Rigotti e il direttore generale Francesco Giovannini hanno voluto fosse lei a presentare uno dei vigneti di Teroldego, con piante centenarie, da cui prende vita Musivum.
UN’ANNATA FAVOREVOLE PER IL TEROLDEGO ROTALIANO
Il Teroldego Rotaliano Doc Superiore Riserva 2016 si aggiunge a Pinot Grigio, Chardonnay, Müller-Thurgau, Gewurztraminer, Marzemino e Lagrein. L’annata ha riservato una condizione ambientale favorevole per tutto il periodo vegetativo.
Assenza di precipitazioni e forti escursioni durante l’ultima fase di maturazione hanno permesso di ottenere uve con un’ottima concentrazione zuccherina e aromatica.
Dopo la raccolta a mano, avvenuta alla fine di settembre, la fermentazione è stata effettuata a temperatura controllata. Affinamento per 14-16 mesi in botti di legno e una scelta di riservare una piccola parte in anfore di terracotta.
A seguire, un lungo affinamento in bottiglia per oltre tre anni, prima dell’immissione in commercio. Per questa annata sono state prodotte 4.857 bottiglie, in etichette singolarmente numerate a mano.
TEROLDEGO MUSIVUM: LA DEGUSTAZIONE
La degustazione del Teroldego Rotaliano Musivum è stata guidata dal sommelier trentino Roberto Anesi. Il vino presenta una bellissima cromaticità, un colore rosso rubino intenso, con leggere sfumature granate.
Al naso gran espressione del varietale e pulizia, con note di piccoli frutti rossi, mirtillo, ribes e ciliegia e sentori speziati, risultato dalla maturazione nei piccoli contenitori di legno. Ecco cacao amaro, ginepro, eucalipto. Al palato la coerenza con le note avvertite al naso, arricchite da una sensazione di pienezza armonica e vellutata. Un vino dal lungo potenziale di longevità.
Ad accompagnare la presentazione dell’ultimo tassello del mosaico Musivum di Mezzacorona, i piatti dello chef Peter Brunel del Ristorante Gourmet di Arco (TN). Uno per ogni vino della collezione, inaugurata nel 2019 con Pinot Grigio e Müller-Thurgau.
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È corretto trovare nel Müller-Thurgau sentori simili a quelli del Sauvignon Blanc. Bosso (“pipì di gatto”) e note vegetali sono tipiche del vitigno. A stabilirlo è una ricerca condotta dall’Istituto Agrario di San Michele all’Adige – Fondazione Edmund Mach (TN), insieme a 6 università italiane.
La notizia è stata anticipata da Mattia Clementi, ex presidente e attuale membro del Comitato Mostra Valle di Cembra, che ha parlato di fronte alla sala di esperti del settore chiamati a giudicare gli 82 vini iscritti al 19° Concorso Internazionale Vini Müller Thurgau, giovedì 17 giugno a Cembra. Altrettanto tipiche, sempre secondo l’Istituto trentino, le note di pompelmo. Meno quelle “aromatiche”.
IL PROFILO DEL MÜLLER-THURGAU
I dettagli della ricerca saranno oggetto di approfondimento durante la XXXV rassegna Müller Thurgau: Vino di Montagna, in programma a Cembra dal 30 giugno al 3 luglio. Tra gli appuntamenti da non perdere, anche l’annuncio dei vincitori del Concorso che ha visto protagonisti 55 Müller Thurgau italiani e 27 esteri (18 dalla Germania e 4 a testa da Svizzera e Repubblica Ceca).
Nato tra il 1882 e il 1891 dall’incrocio di Riesling Renano e Madeleine Royal, per mano del prof Hermann Müller, il Müller Thurgau è un vitigno che matura al meglio in montagna. In Valle di Cembra, dove occupa il 40% del vigneto complessivo, la varietà ha trovato la sua terra d’elezione, grazie a terreni porfirici e alla forte escursione termica.
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Quattro “stili” di Amarone, a illuminare la strada della nuova comunicazione del Re dei vini della Valpolicella: un vino capace di mettere d’accordo tutti, a tavola. Amarone Opera Prima si è aperta in mattinata con quattro abbinamenti stravaganti ma piuttosto centrati con piatti della cucina Mitteleuropea, del Sud Est Asiatico, del Nord Europa e di Usa e Canada.
Grandi protagonisti della masterclass condotta da Davide Scapin sono stati i piatti dello chef Nicola Portinari, bistellato del ristorante La Peca di Lonigo (VI).
«L’obiettivo – commenta il presidente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella, Christian Marchesini – è stato centrato pienamente. La versatilità dell’Amarone negli abbinamenti ci ha stupito e aiuta a capire che riusciamo a soddisfare tutti i palati. L’Amarone si lega sempre più all’alta ristorazione. Ed è questa la direzione in cui l’Amarone vuole andare nel prossimo futuro. Posso sbilanciarmi e dire che il futuro è positivo ed estremamente roseo».
L’AMARONE E I PIATTI DELLO CHEF NICOLA PORTINARI (LA PECA)
Nord Europa: capesante atlantiche arrosto, succo di crostacei, asparagi fermentati e carpaccio di cervo marinato. Per l’abbinamento si sceglie un Amarone di stile “fresco”, servito a una temperatura più bassa rispetto a quella canonica. Il “gioco” dell’abbinamento funziona su tutti i fronti, anche se l’asparago genera una leggera stonatura nel retro olfattivo.
Sud Est Asiatico: anguilla in forno di braci, anguria e angostura. Quello con l’Amarone di stile “Reciotato”, ovvero dalla tendenza dolce che ricorda il Recioto, è l’abbinamento più convincente della prima masteclass di Amarone Opera Prima. L’appassimento è protagonista del naso e del sorso, in cui si aggiunge la componente del residuo.Uno stile prevalente fino agli anni Novanta, in cui appassimenti marcati e residuo zucchero residuo percettibile la facevano da padroni. Elemento fondamentale del pairing è la presenza, nel piatto, dell’anguria disidratata, che si sposa con le note dolci del vino. L’angostura stuzzica invece la speziatura dolce, tanto quanto la laccatura dell’anguilla. Piatto capolavoro e abbinamento a dir poco delizioso.
Mitteleuropa: ravioli di bretzel, cavolo capuccio, cren, senape, succo di stinco concentrato. Il terzo abbinamento è con un Amarone definito “Austero”, anche se sarebbe meglio chiamarlo “Elegante”. Protagoniste le scelte del vigneron nell’affinamento e nella perfezione della materia prima vinificata. Poco spazio per note estrattive e concentrazione, decisamente in secondo piano.Oltre alle consuete note primarie delle uve dell’Amarone, ecco dunque richiami agrumati rossi che conferiscono tensione ed eleganza alla beva. L’abbinamento convince in progressione, dato che in ingresso è il piatto a vincere sul calice. Dal centro bocca, invece, il nettare si lega bene a un piatto che si racconta (anche) su tendenze umami. Pairing intrigante, intellettuale. Non certo per tutti.
Usa e Canada: cheek cherry pie. Quarto ed ultimo abbinamento con un Amarone di stile “potente”, chiaro sin dal naso. Il tortino presenta una farcitura di guancia di manzo, arricchita da ciliegie cotte, a richiamare il marcatore dei primari della Corvina. C’è del residuo zuccherino nel vino, inferiore comunque a quello dell’Amarone “Reciotato” precedente. Aiuta, nella riuscita dell’abbinamento, la presenza di cacao, che si lega alle note fruttate scure dell’Amarone. Pairing impegnativo, ma goloso.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Proporre la Valpolicella come territorio in grado di produrre eccellenti “vini di metodo” ed altrettanto eccellenti “vini di terroir“. Questo l’obiettivo di Amarone Opera Prima, grande evento organizzato dal Consorzio Tutela Vini Valpolicella, che ha preso avvio ieri con la cena di gala a Giardino Giusti di Verona. Un esordio in pompa magna, capace di raccogliere il plauso unanime della stampa internazionale, come dimostrano i pareri raccolti da winemag.it.
Si tratta dell’evoluzione (o meglio, rivoluzione) di “Anteprima Amarone”. Una nuovo modo di vivere l’annuale “En-Primeur” del grande vino rosso del Veneto. Mai così centrale il ruolo del Valpolicella Doc e del Valpolicella Doc Ripasso, accanto al protagonista indiscusso della kermesse, che resta l’Amarone della Valpolicella (in anteprima domani per la stampa il millesimo 2017, al Palazzo della Gran Guardia).
Sullo sfondo la città stessa di Verona, sempre più centrale nella comunicazione del “brand Amarone“. «Verona – ha ricordato il presidente del Consorzio, Christian Marchesini – può essere considerata l’hub della nostra Valpolicella. La città ha un vigneto urbano unico al mondo: ben 1.300 ettari sugli oltre 8.600 vitati complessivi della denominazione ricadono nel Comune di Verona».
Il clou sarà nel piatto. In programma al Palazzo Verità Poeta, a partire dalle 11.30 di questa mattina, due masterclass che vanno ben oltre la semplice degustazione e abbinamento.
Quattro piatti di altrettante aree di mercato (230 milioni di euro il valore del giro d’affari complessivo) saranno proposte agli addetti del settore «per rompere lo schema – spiega il Consorzio – che classifica l’Amarone come vino da meditazione, relegandolo ad accompagnare perlopiù portate a base di cacciagione o laboriosi stufati e arrosti».
AMARONE IN VIAGGIO CON I PIATTI DELLO CHEF NICOLA PORTINARI
Con la masterclass “Amarone 4wd, off the beaten track“, l’Amarone della Valpolicella affronterà «una vera e propria prova di stile». Sarà chiamato a confrontarsi con la cultura gastronomica di quattro macroregioni internazionali – Mitteleuropa, Sud Est Asiatico, Nord Europa, Usa e Canada – interpretate da Nicola Portinari, chef bistellato del ristorante La Peca di Lonigo (VI) che ha ideato la sfida con il Consorzio.
Per il Nord Europa saranno preparate capesante atlantiche arrosto con succo di crostacei, asparagi fermentati e carpaccio di cervo marinato. Per il Sud Est Asiatico: anguilla in forno di braci, anguria e angostura. Per l’area del Mitteleuropa: ravioli di bretzel, cavolo capuccio, cren, senape, succo di stinco concentrato. Infine, per Usa e Canada: cheek cherry pie.
La masterclass guidata dal critico gastronomico e wine expert Davide Scapin, contempla quindi quattro piatti, uno per ogni mercato, abbinati a una selezione (blind) di diverse espressioni di Amarone: fresco, “reciotato”, austero e potente.
È arrivato il momento di far emergere la versatilità dell’Amarone – spiega ancora il presidente del Consorzio Marchesini – e di liberarlo da un preconcetto che non tiene conto dell’evoluzione stilistica e poliedrica del nostro vino premium. Si tratta di un percorso che, senza rinunciare all’identità, intende valorizzare un cambiamento già in atto tra i produttori della Valpolicella».
«Siamo convinti che l’Amarone possa essere interpretato in maniera innovativa – aggiunge Marchesini – attraverso l’esplorazione di nuovi canoni del gusto. Un passaggio fondamentale per rispondere all’esigenza condivisa di riportare il settore Horeca, e in particolare l’alta ristorazione, al centro della nuova strategia di azione e di promozione del Consorzio».
Lo spettacolo finale della cena di gala di apertura di Amarone Opera Prima
L’ESCALATION MONDIALE DELL’AMARONE
La sessione per i 100 giornalisti (80 dall’estero) prosegue nel pomeriggio con la seconda masterclass “The boom generation: gli ultimi decenni dell’Amarone dalla sua escalation al successo mondiale“, condotta da JC Viens, italian wine ambassador e Wset educator.
Un tasting che guarda al futuro e alla new wave in Valpolicella dettata sia dal passaggio generazionale che da giovani aziende. In degustazione gli Amarone di 6 cantine con millesimi dal 1998 al 2016: Villa Spinosa (1998), Romano Dal Forno (2003), Cà La Bionda (2007), Le Guaite di Noemi (2010), Vigneti di Ettore (2012) e Villa San Carlo (2016).
Amarone Opera Prima continua poi domenica 19, al Palazzo della Gran Guardia, con la presentazione dell’annata 2017 e dell’indagine “Amarone: analisi di un’eccellenza italiana. Un confronto comparato in uno scenario di incertezza”, condotta da Banco BPM – Funzione Studi & Ricerche.
A seguire “Amarone e i miti dell’ospitalità veneta, tra storia e leggenda” (dalle ore 11), con gli interventi di Mauro Lorenzon, l’eclettico oste della Mascareta di Venezia, ora all’avvio di una nuova avventura professionale nella sua Enoiteca Guesteria sempre nella città lagunare.
Presente anche Giacomo Sacchetto, chef del ristorante La Cru di Romagnano (Grezzana – VR) una stella Michelin e Chiara Pavan, chef del Ristorante Venissa (1 stella Michelin). Dal pomeriggio (ore 16.00) spazio anche ai wine lover e agli operatori. A loro è riservata anche la giornata di lunedì 20 giugno.
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Il CdA di Veronafiere ha nominato ieri all’unanimità l’amministratore delegato nel segno della continuità aziendale. È Maurizio Danese, già ai vertici della spa di Viale del Lavoro dal 2015 a maggio 2022.
La nuova figura è prevista dalle modifiche allo Statuto volute dai Soci e approvate nell’assemblea nel febbraio scorso. Assieme al Consiglio di amministrazione, Veronafiere garantirà il bilanciamento adeguato con le altre figure manageriali e la salvaguardia del patrimonio di esperienze nelle relazioni politico-istituzionali e nelle industry rappresentate.
Compagine societaria Veronafiere SpA: Comune di Verona (39,483%), Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona (24,078%), Camera di Commercio di Verona (12,985%), Cattolica Assicurazioni (7,075%), Banco BPM Spa (7,009%), Agenzia Veneta per l’Innovazione nel Settore Primario (5,379%), Provincia di Verona (1,401%), Intesa Sanpaolo Spa (1,354%), Banca Veronese Cooperativo di Concamarise (0,883%), Immobiliare Magazzini Srl (0,188%) e Regione Veneto (0,161%).
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Perché scegliere i famosi calici da vino Riedel? Sono davvero così fondamentali? A Wine Paris 2022, una masterclass condotta da Viktor Ulrich, direttore di Riedel Francia, è servita a dare risposte precise a chi vuole capirci di più, prima di impegnarsi in un acquisto piuttosto oneroso, non certo alla portata di tutti.
La risposta è una semplice: i calici da vino Riedel non sono indispensabili. Non lo diventano neppure in contesti professionali, dove – di fatto – non sono poi così diffusi. In Italia come all’estero.
Dal dizionario Treccani: «”Indispensabile” /indispen’sabile/ [der. di dispensare, col pref. in-²]. – ■ agg. [di cosa o atto, di cui non si può fare a meno] ≈ essenziale, imprescindibile, necessario, obbligatorio. ‖ inevitabile, irrinunciabile».
Forma, taglia e diametro dell’apertura sono i parametri con cui Riedel disegna ed elabora i propri calici. Un business florido, con 300 anni di storia all’attivo, anche se è “solo” dal 1955 che la famiglia proprietaria si dedica esclusivamente alla produzione di calici da vino e decanter. Con qualche eccezione.
RIEDEL, UNA STORIA LUNGA 300 ANNI
Negli anni, Riedel ha prodotto anche bicchieri per caffè (ha senso, eccome) e un bicchiere per la… degustazione della Coca Cola o, meglio, del Rum & Coke. Ciò non toglie valore ai calici da vino Riedel, che vanno tuttavia contestualizzati: non migliorano il vino. Aiutano, piuttosto, ad amplificare alcune caratteristiche.
Quando durante la masteclass Viktor Ulrich (nella foto, sopra) di Riedel Francia sostiene che il Cabernet Franc che vi ha servito nel calice Performance Riedel è migliore dello stesso Cabernet Franc servito nel bicchiere di carta (descritto addirittura come peggiorato, in tutte le sue caratteristiche) sta semplicemente vendendo il proprio brand.
A fine masterclass regalerà al pubblico (di giornalisti, curiosi e, ovviamente, influencer) quel set di costosi calici appena “testati” contro un avversario poco temibile (i bicchieri di carta, per l’appunto). Dando così un’altra lezione sui famosi calici da vino Riedel: gratis, sono fantastici. Anche da raccomandare.
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Le Guaite di Noemi festeggia 20 anni dalla fondazione. Tanto è passato dall’entrata in produzione del vigneto di Stefano Pizzighella e della moglie Giulietta Dal Bosco, a Mezzane di Sotto (VR), in Valpolicella. Le Guaite sono diventate “di Noemi” nel 2015, anno in cui la figlia ha assunto le redini dell’azienda. Noemi Pizzighella, classe 1994, è la più giovane produttrice di Amarone e degli altri vini tipici della denominazione.
«Festeggiare i vent’anni dell’azienda – spiega Stefano Pizzighella – è per me una grande soddisfazione. Un traguardo che parla di determinazione, tenacia e passione. L’amore per questo lavoro e per la Valpolicella ha dato vita negli anni a vini che esprimono il territorio e la nostra identità familiare. Vini che sono cresciuti insieme all’azienda, raccontandone la storia».
«Prendere in mano le redini di questa azienda – commenta Noemi Pizzighella – è per me motivo d’orgoglio. Fin da bambina ho sentito il forte legame con la Valpolicella e con la sua tradizione vincola. Ora continuo il lavoro iniziato dai miei genitori, che mi accompagnano nella crescita dell’azienda, verso il futuro e verso il panorama internazionale».
L’azienda agricola comprende oggi 10 ettari di vigneti e 3 ettari di uliveti di proprietà, per una produzione che si assesta tra le 25 e le 30 mila bottiglie l’anno. Sono cinquanta, invece, i quintali di olio assicurati dalle piante di Grignano, Leccio di Corno e Casaliva.
Le verticali di Valpolicella Superiore e Amarone della Valpolicella, i primi vini prodotti dall’azienda, hanno accompagnato le celebrazioni dei vent’anni de Le Guaite di Noemi, lunedì 6 giugno. Il percorso di crescita dell’azienda e la ricerca di una cifra stilistica volta a freschezza ed eleganza è risultato chiaro dall’annata 2002 alla 2011 del Valpolicella Superiore, sino alla 2014 dell’Amarone.
I VENT’ANNI DE LE GUAITE DI NOME: IL MEGLIO DELLA DEGUSTAZIONE
Valpolicella Superiore 2012, Le Guaite di Noemi
Uve Corvina, Rondinella e Croatina. Tre anni di barrique di primo passaggio. Colore rosso rubino scarico. Al naso intensi profumi di frutti rossi concentrati, alcuni accenni di spezie. Croccante e delicato al palato, acidità caratteristica, ma con buona struttura e piacevolezza, richiamata dai ritorni della frutta avvertita al naso.
Valpolicella Superiore 2011, Le Guaite di Noemi
Sempre Corvina, Rondinella, Croatina, ma annata più calda. Alla vista, il vino si presenta di un rosso rubino intenso. More e frutti rossi concentrati al naso. Le note balsamiche accompagnano il sorso, segnando il lungo percorso affrontato dal vino, sino ad oggi.
Amarone della Valpolicella 2010, Le Guaite di Noemi
Corvina, Rondinella, Croatina. Colore rosso rubino tendenzialmente purpureo. Presenti al naso note concentrate di prugna, susina, accenni balsamico e foglie di tè. Palato coerente col naso: il vino presenta una gran complessità, una struttura molto elegante, una lunga persistenza.
Amarone della Valpolicella 2009, Le Guaite di Noemi
Corvina, Rondinella, Croatina. Alla vista di un colore rosso rubino con riflessi purpurei. Al naso prugna matura, note balsamiche ed richiami erbacei. Rotondità e carattere al palato. Il vino presenta un’ottima evoluzione, con complessità e struttura elegante. Sorso preciso, di lunga persistenza.
Amarone della Valpolicella 2002, Le Guaite di Noemi
È il primo Amarone de Le Guaite, dall’entrata in produzione dei vigneti. Il vino perfetto per celebrare i 20 anni de Le Guaite di Noemi. Frutto e gran complessità accompagnano dal naso al sorso, connotato da una gran freschezza. Un vino ancora giovane, come Noemi Pizzighella. Una donna del vino dal futuro tutto da scrivere.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
FOTONOTIZIA –Signorvino, catena di wine shop con mescita e servizio ristorazione inaugurata nel 2012 da Sandro Veronesi, celebra nel 2022 il primo decennale di attività. La ricorrenza sarà evidente in alcuni punti vendita, con attività legate ai festeggiamenti per 10 anni. Lo sviluppo del brand proseguirà anche nel 2022, con l’apertura di 10 nuovi locali.
«Un primo importante traguardo – commenta Sandro Veronesi – che testimonia la validità del progetto e delle persone coinvolte. Signorvino ha puntato sin dal primo momento su una proposta strutturata su più canali per essere unica nel suo genere».
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Il Cabernet Franc ha una nuova capitale di confronto mondiale: Villány. Con la prima edizione di Franc du Monde, concorso internazionale dedicato al vitigno andato in scena il 10 giugno 2022 (101 campioni da 8 Paesi, giudicati da una giuria internazionale a Siklósi Vár), l’Ungheria si conferma un punto di riferimento per la varietà bordolese.
Dei 1.450 ettari complessivi presenti oggi nel Paese, ben 330 sono iscritti alla Dop Villány, nella zona sud occidentale. Il rigido sistema di qualità introdotto nel 2014, con all’apice il Villány Franc Super Premium – resa massima di 50 quintali per ettaro e invecchiamento minimo di 2 anni, di cui almeno uno in legno – è riuscito a mettere i vini rossi magiari, prodotti con uve Cabernet in Franc in purezza, sotto ai riflettori internazionali.
Franc du Monde è la sfida nella sfida. Un percorso appena iniziato, che vedrà impegnato il Consorzio vini di Villány (Villányi borvidék), capitanato dal noto produttore Josef Bock, nel coinvolgimento di altri territori che puntano sul Cabernet Franc. In primis Loira e Bordeaux, ma anche Bolgheri, Colli Euganei e Gambellara, per l’Italia.
Anche per questo, la prossima edizione della competizione è prevista tra due anni. Un periodo necessario per superare le reticenze mostrate dai Paesi leader nella produzione del Cabernet Franc, in occasione della prima edizione di Franc du Monde (Francia e Italia in primis, a dire il vero con poco tempo a disposizione per l’invio dei campioni in Ungheria).
«Obiettivo nell’obiettivo – come ha sottolineato András Horkay del Villányi borvidék – è mettere Villány al centro del mondo del Franc, attraverso un evento utile al confronto sul vitigno e alla crescita della sua popolarità tra i consumatori».
I MEMBRI DELLA GIURIA DI FRANC DU MONDE 2022 E I VINI PREMIATI
Confermato per novembre 2022 l’annuale rendez-vous a Villány, con la settima edizione della Franc & Franc Conference. «La decisione di creare un nuovo concorso enologico – commenta Gergely Nagy, direttore esecutivo di Tenkes Regional Development Nonprofit Ltd – è stata ispirata dalle esperienze degli anni passati».
La regione vinicola di Villány ha già organizzato 6 volte eventi commerciali e consumer a tema “Cabernet Franc”. In questi anni, molti dei più importanti produttori del Vecchio e del Nuovo Mondo hanno presentato i loro vini alla Franc & Franc Conference. Si tratta di produttori devoti, che credono nella varietà e ne fanno vini varietali».
Centouno i vini iscritti a Franc Du Monde 2022, provenienti da 8 Paesi: Francia, Slovacchia, Croazia, Serbia, Romania, Turchia, Argentina e Ungheria. La categoria “Premium” è risultata la più popolare, con 67 campioni in degustazione. I vini sono stati valutati da esperti internazionali del settore, tra cui i due Master of Wine Cees van Casteren e Pasi Ketolainen.
Oltre a loro Ximena Pacheco, György Orodán, Zoltán Győrffy, Csilla Sebestyén. E ancora: Attila Fiáth, Ágnes Németh, Davide Bortone (winemag.it), Sue Tolson, Niklas Bergquist. Infine: László Romsics, Ivett Vancsik, Jeroen Terhorst, Joel B. Payne, Tomislav Ivanovic.
Qualità complessiva dei vini medio-alta. Ma solo il 30% degli iscritti ha potuto ricevere una medaglia, secondo le regole Oiv. I vini vincitori hanno dunque registrato valutazioni medie pari o superiori agli 89,2 punti.
LE MEDAGLIE D’ORO DI FRANC DU MONDE 2022
– Bock Cabernet Franc 1993, Villány, Ungheria
– Fritsch Villányi Cabernet Franc 2019, Villány, Ungheria
– Günzer Tamás Bocor Villányi Franc 2019, Villány, Ungheria
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Oltre 100 giornalisti accreditati di cui l’80% provenienti dall’estero e 40 cantine pronte a stappare sulle note della marcia trionfale dell’Aida. È l’istantanea di Amarone Opera Prima, l’evento straordinario e fuori stagione del Consorzio Vini Valpolicella in programma aVerona dal 17 al 20 giugno, che winemag.it seguirà in presa diretta.
Un’occasione speciale che sfida il tabù del calendario estivo per presentare il millesimo 2017 al di fuori della tradizionale collocazione dell’Anteprima a febbraio, portando in scena anche il sodalizio tra i due simboli della città scaligera nel mondo: l’Arena e l’Amarone.
Dopo il gala dinner del 17 giugno a Giardino Giusti riservato alla stampa (solo su invito), il cartellone di Amarone Opera Prima si apre il 18 giugno con due masterclass a Palazzo Verità Poeta (Vicolo San Silvestro, 6), per scoprire la versatilità del grande Rosso e le annate top, che hanno contribuito al suo posizionamento in oltre 80 nazioni del globo.
IL PROGRAMMA DI AMARONE OPERA PRIMA
Si parte alle 11.30 con “Amarone 4wd, off the beaten track: diversi stili di Amarone abbinati a piatti di alta cucina di vari paesi del mondo”, un’iniziativa ideata con La Peca, il ristorante due stelle Michelin di Lonigo (VI) e la narrazione del critico gastronomico e wine expert, Davide Scapin.
Si prosegue poi alle 15.00, con la sessione “The boom generation: gli ultimi decenni dell’Amarone dalla sua escalation al successo mondiale”, condotta da JC Viens, italian wine ambassador e Wset educator.
Per la stampa nazionale e internazionale da 20 nazioni – dagli Usa agli Emirati Arabi, dalla Corea del Sud al Canada fino a Israele, Singapore e ai principali mercati europei – la giornata si chiude in Arena per assistere all’Aida di Giuseppe Verdi, l’opera simbolo dell’anfiteatro romano sotto le stelle fin dalla sua prima edizione nel 1913.
DOMENICA 19 GLI ASSAGGI DELL’AMARONE 2017
Domenica 19 giugno, Amarone Opera Prima si trasferisce al palazzo della Gran Guardia (piazza Bra), per la degustazione dell’Amarone 2017 (dalle 10 alle 17 per la stampa specializzata; apertura dei banchi delle aziende dalle 12.30 e dalle 16.00 fino alle 20.00 ingresso consentito anche a wine lover e operatori).
È anche il momento della conferenza stampa sullo stato di salute della denominazione e il focus su “Amarone e i miti dell’ospitalità veneta, tra storia e leggenda”, dalle ore 11. Lunedì 20 giugno, ultimo giorno di Amarone Opera Prima, la manifestazione è aperta a pubblico e operatori dalle 10.00 alle 20.00.
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A causa dei rincari energetici e della guerra tra Russi e Ucraina i costi per il settore del vino italiano sono aumentati del 35%. «Un impatto pesante sulle aziende vitivinicole», riferisce Coldiretti commentando i dati Crea, diffusi ieri in occasione dell’Assemblea di Federvini.
«Le aziende vitivinicole Made in Italy – sottolinea la Coldiretti – si sono così trovate a fronteggiare aumenti unilaterali da parte dei fornitori con le bottiglie di vetro che costano più del 30% in più rispetto allo scorso anno. Il prezzo dei tappi ha superato il 20% per quelli di sughero e addirittura il 40% per quelli di altri materiali».
«I RINCARI DEL VINO SULLE SPALLE DEI VITICOLTORI»
Per le gabbiette per i tappi degli spumanti gli aumenti sono nell’ordine del 20% ma per le etichette e per i cartoni di imballaggio si registrano rispettivamente rincari del 35% e del 45%, secondo l’analisi Coldiretti.
Rincarato anche il trasporto su gomma del 25% al quale si aggiunge la preoccupante situazione dei costi di container e noli marittimi, con aumenti che vanno dal 400% al 1000%. In generale, secondo il global index Freightos, importante indice nel mercato delle spedizioni, l’attuale quotazione di un container è pari a 9.700 dollari contro 1.400 dollari di un anno fa.
«Occorre peraltro ricordare che sino ad oggi – conclude la Coldiretti – l’incremento dei costi è stato scaricato sulle spalle dei viticoltori, come dimostra il fatto che il prezzo di vendita del vino, su dati Istat, è aumentato al dettaglio di appena il 2,5% a maggio 2022 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, mentre gli alimentari sono aumentati in media del 7,1%».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Antonello Maietta non si ricandida per alcun ruolo alle prossime elezioni Ais. I soci dell’Associazione italiana sommelier, per la prima volta, potranno votare online. Ma il 26 e 27 giugno 2022, tra i nomi dei candidati, non ci sarà quello del presidente in carica.
«Dopo 30 anni di vita associativa e 42 anni da associato – commenta Antonello Maietta in esclusiva a winemag.it – ho deciso di non ricandidarmi in nessuna posizione. Non posso essere rieletto presidente per il vincolo dei mandati consecutivi, previsto dallo statuto. L’unica opzione sarebbe stata quella di un ruolo nel Consiglio Ais, ma sinceramente preferisco lasciare spazio ad altri».
Maietta guida l’Associazione italiana sommelier dal 2010. Ha dunque ricoperto il ruolo di presidente per 12 anni. «È il mandato più lungo nella storia di Ais – sottolinea -. Un “record” che nessuno potrà replicare, dopo di me, per via delle nuove norme».
Prima dei tre mandati consecutivi da presidente nazionale, Antonello Maietta è stato vicepresidente, membro della giunta esecutiva, presidente regionale e presidente di delegazione dell’Associazione italiana sommelier.
O mi fanno imperatore dell’Ais – scherza – oppure è davvero arrivato il momento, in tutta serenità, di farsi da parte e godermi in altro modo la vita associativa, per esempio come docente. Nei miei tre mandati siamo passati da circa 27 mila a oltre 40 mila iscritti.
Ais, nei miei 12 anni di presidenza, ha consegnato 108 mila diplomi ad aspiranti sommelier. Adesso voglio godermi la mia famiglia, lasciando da parte tutte le pressioni legate al ruolo di presidente».
AIS, MAIETTA NON SI RICANDIDA: «SPAZIO ALLE NUOVE LEVE»
Quali? «Al ristorante – risponde Maietta – potrò scegliere uno Champagne e postarlo sui social, senza che qualcuno dica che “non bevo italiano”. Oppure bermi un bel vino dolce, senza che qualcuno dica che il presidente Ais non beve vini secchi. Oppure bere un rosso di una denominazione, piuttosto che di un’altra, semplicemente perché mi andrà di farlo!».
Nelle parole del numero uno uscente di Ais, c’è spazio anche per qualche rimpianto. «Forse, all’interno dell’Associazione italiana sommelier – chiosa Maietta – qualcun altro avrebbe potuto seguire il mio esempio e lasciar spazio alle nuove leve, facendosi da parte dopo tanto tempo. Avremmo poi potuto lavorare di più per la rappresentanza femminile: sarà inferiore al passato, all’interno del prossimo Consiglio».
Quello che uscirà dalle elezioni Ais del prossimo 26 e 27 giugno 2022, sarà un mandato in continuità con il precedente. «Praticamente tutti i candidati escono dall’attuale Consiglio direttivo – evidenzia Maietta- dunque non ci saranno stravolgimenti. Non posso che augurare tanto successo a chi verrò dopo di me, conscio di aver contribuito a far crescere questa azienda in maniera esponenziale».
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Con circa 450 ettari vitati e una produzione di uva da vino di soli 27.500 quintali (fonte Istat 2020) la Valle d’Aosta è la regione più piccola d’Italia. Areali in pendenza, spazi limitati con proprietà parcellizzate e rese basse non hanno scoraggiato i produttori che negli anni hanno saputo mantenere vivi e valorizzare i diversi vitigni autoctoni della regione, dando vita a produzioni d’eccellenza.
La Valle d’Aosta offre ai suoi visitatori un paesaggio davvero speciale nel quale i vigneti, allevati con pergole basse o ad alberelli e delimitati da veri e propri mosaici di muretti a secco aggiungono bellezza ai luoghi circostanti.
D’altronde, come scriveva William Blake, «quando uomini e montagne si incontrano, grandi cose accadono». Un piccolo scrigno di gioielli naturalistici e beni storico-architettonici unici nel loro genere ai quali si aggiunge un’offerta gastronomica fatta di vere chicche come la Fontina Dop, il Lardo di Arnad o il Jambon de Bosses.
La produzione vinicola locale, per numerica e distribuzione è ancora poco conosciuta. Ma merita assolutamente di essere scoperta, partendo perché no, da qualche cantina che offre ospitalità. Ovviamente in provincia di Aosta.
La Source si trova nel cuore della Valle D’Aosta, a Saint Pierre ed è il luogo ideale per chi ama le vacanze rural-chic. La struttura dispone di eleganti camere doppie e triple arredate in stile tipico valdostano, alcune con vista sullo spettacolare Castello di Saint Pierre, uno dei simboli della regione.
Presso la wine farm sarà possibile organizzare degustazioni di vini prodotti dai principali vitigni locali come Petit Rouge, Cornalin e Fumin ma anche vitigni internazionali quali Chardonnay, Syrah e Gamay.
Il Vallée D’Aoste Dop 2019 Petit Arvine de La Source è entrato nei migliori vini del Nord Italia della Guida Top 100 di Winemag 2022. Una ragione in più per non perdersi il bianco vallesano. E scoprire i vini della cantina La Source, approfittando dell’ospitalità.
A Introd, lungo la strada che porta a Courmayeur e verso il Parco Nazionale del Gran Paradiso sorge l’agriturismo Lo Triolet. A disposizione degli ospiti sei graziosi appartamenti accoglienti e funzionali. Il più grande, Heritage, è un trilocale di 55 mq mansardato con scala interna.
Il comune di Introd, bandiera arancione per il turismo, è un ottima base di partenza per una vacanza all’insegna della pace e della natura. E’ noto per essere stato, dal 1995 al 2002, il luogo di villeggiatura prescelto da Giovanni Paolo II.
L’azienda Lo Triolet produce 50 mila bottiglie da vitigni come il Pinot Grigio, Gewürztraminer, Moscato Bianco, Gamay, Pinot Nero e Fumin.
Lo Triolet Loc. Le Junod, 7 11010 Introd (AO) + 39 0165 95 437 +39 339 13 87 092 info@lotriolet.it
Les Granges si trova nell’omonima località a Nus, paese da cui prende il nome il vitigno autoctono a bacca nera “Vien de Nus”. La struttura, interamente realizzata in bioedilizia, dispone di cinque camere tra doppie e triple arredate in stile rustico tipico di montagna che possono ospitare fino a 12 persone ed offre pernottamento con colazione.
L’agriturismo dispone anche di una sala ristorante dove è possibile, su prenotazione, organizzare pranzi e cene. L’azienda agricola Les Granges opera in regime biodinamico dal 2012 e produce vini naturali principalmente da vitigni autoctoni.
Nei pressi di Nus è possibile visitare l’Osservatorio Astronomico di Saint-Barthélemy e il Planetario, il Castello di Pilato oppure raggiungere a piedi, con un percorso di circa tre ore il Santuario mariano di Cuney, il più alto in Europa che “svetta” a ben 2656 mt di altezza.
Les Granges Società Agricola Loc. Les Granges, 8 11020 Nus (AO) + 39 333.4585454 info@lesgrangesvini.com
Clos Blanc si trova a Jovençan al confine con il comune di Aymavilles, al centro della regione. Una zona costellata di vigneti e frutteti dai quali partire si può partire per visitare il Castello di La Sarre, antica dimora di caccia dei Savoia.
La struttura dispone di 5 alloggi che possono ospitare 4 persone ciascuno. Appartamenti arredati in stile moderno e con tutti i comfort. Clos Blanc produce circa 30 mila bottiglie a base di Merlot, Cornalin, Fumin, Pinot Noir, Chardonnay, Müller Thurgau.
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L’Alta Langa si conferma il vero fenomeno della spumantistica italiana Metodo classico degli ultimi anni. Diverse aziende piemontesi (e non solo) stanno investendo nell’acquisto di vigneti di Pinot Nero e Chardonnay, per ampliare la gamma e offrire al mercato una bollicina tipica e raffinata, che inizia a stuzzicare la curiosità dei buyer, anche all’estero. È quanto emerge dalla Prima dell’Alta Langa 2022, occasione unica per degustare 115 cuvée di 46 soci del Consorzio di Tutela che ha sede ad Asti. E tastare il polso alla Docg.
Nove ore non-stop, lunedì 6 giugno, dedicate a operatori professionali, buyer, enotecari, ristoratori, distributori, barman e stampa di settore, al Museo di Italdesign di Moncalieri, in provincia di Torino.
L’annata in anteprima nel 2022 è la 2018. Ma, in degustazione, i produttori hanno portato anche spumanti Alta Langa di oltre 10 anni. Tutti in gran forma. Il vero trend della Prima dell’Alta Langa 2022 è tuttavia il livellamento della denominazione verso “spumanti d’entrata” di qualità media indiscutibile, posizionati su fasce prezzo di tutto riguardo, rispetto alla piramide degli altri sparkling italiani.
Se è vero che all’interno del Consorzio astigiano sono parecchie le cantine che investono nei lunghi affinamenti sui lieviti, il millesimo 2018 può essere considerato quello della presa di coscienza dei produttori piemontesi della massa critica ormai non più trascurabile, assunta dall’Alta Langa.
Numeri alla mano (3 milioni di bottiglie prodotte nel 2021, su 377 ettari dislocati nelle province di Cuneo, Asti ed Alessandria), l’Alta Langa è ormai in grado di rosicchiare quote di mercato alle bollicine leader nazionali indiscusse, Franciacorta e Trento Doc.
Tra i calici degustati alla Prima dell’Alta Langa 2022, pare tra l’altro in aumento l’utilizzo dello Chardonnay. Un fenomeno nel fenomeno. Il vitigno, che continua comunque ad occupare un solo terzo del vigneto complessivo dell’Alta Langa, consente di produrre spumanti più “pronti”, in cuvée con i corpulenti e muscolari Pinot Nero di collina ed alta collina. Il tutto senza perdere di vista la qualità, imposta dal rigoroso disciplinare di produzione.
IL CASO: CANTINA CLAVESANA “CONVERTE” IL DOLCETTO IN ALTA LANGA
Una denominazione, l’Alta Langa, che cresce anche grazie all’interesse di diversi “big”. È il caso di Cantina Clavesana, cooperativa cuneese in cui è in corso una vera e propria rivoluzione. «Abbiamo 200 soci e 300 ettari di vigneti – spiega a winemag.it il direttore Damiano Sicca – e il Dolcetto è il vitigno che più ci ha rappresentato, negli anni. Di recente, abbiamo scelto l’Alta Langa come prodotto distintivo».
Stiamo assistendo a una riclassificazione del nostro parco vigneti che ha portato a una crescita da 5 a 50 mila bottiglie, dal 2015 ad oggi. Nel 2011 avevamo 480 ettari di Dolcetto. Oggi siamo a 380.
Nello stesso anno, oltre il 90% del vigneto di Cantina Clavesana era piantato a Dolcetto, mentre oggi è al 75%. La differenza è a metà rappresentata dal Langhe Nebbiolo e dall’Alta Langa».
Una risposta, per di più, al cambiamento climatico. «Le riconversioni – spiega ancora Damiano Sicca – sono avvenute in zone che godono di una certa vocazionalità, ovvero dai 450 ai 600 metri. L’obiettivo, se il Consorzio aprirà ad ipotesi di incremento della produzione e degli ettari vitati, è di passare dalle attuali 50 alle alle 100 mila bottiglie nel giro dei prossimi 5 anni».
«Il tutto – conclude Sicca – si traduce in un maggior reddito per i soci di Cantina Clavesana. Il Dolcetto è pagato 1 euro al Kg, mentre le uve da Alta Langa 1,30 / 1,40 euro. Meglio ancora il Nebbiolo, che si assesta attorno ai 1,50, più o meno come il Barbera. Per le uve da Barolo si sale a 3,50 / 4 euro al Kg».
Non sta a guardare, sempre in provincia di Cuneo, l’altra cooperativa Terre del Barolo. È di quest’anno l’uscita sul mercato di due Alta Langa della linea VinumVitaEst, per un totale di 25 mila bottiglie tra il Blanc de Blancs Brut (Chardonnay in purezza, 30 mesi di affinamento sui lieviti) e il (quasi) “Blanc de Noir” Extra Brut (Pinot Nero da un ettaro di vigneto a Diano d’Alba, con un 15% di Chardonnay).
«Pensiamo che la Langa oggi abbia bisogno di tutelare il patrimonio di biodiversità – commenta per la cantina Gabriele Oderda – . Questa biodiversità, oggi, si ritrova nelle varietà tradizionali e nella ricerca del miglior territorio possibile sulla base della varietà.
Il Nebbiolo la fa da padrona ma ha anch’esso territori d’elezione. Altre zone di Langa possono essere messe a frutto con progetti diversi, come quello dell’Alta Langa: un’esplorazione che si spinge ad altezze di 400, 500 metri, con Pinot Nero e Chardonnay».
CRESCITA E STILE DEL’ALTA LANGA: IL PUNTO CON PECCHENINO
Gli interrogativi sul futuro della denominazione interessano anche cantine che si cimentano ormai da anni con l’Alta Langa. È il caso di Pecchenino. La cantina di Dogliani (CN) vive un momento cruciale della propria storia aziendale, con l’ingresso delle nuove generazioni, tutte “quote rosa”.
«Il nostro progetto nell’Alta Langa parte nel 2010 – rivela a winemag.it Lisa Pecchenino – con l’acquisto di alcuni ettari a Bossolasco. La prima annata Alta Langa risale al 2014, con l’iscrizione dei vigneti alla Docg. Amiamo da sempre la personalità che può esprimere questo spumante, ma ultimamente stiamo ragionando sulla cifra stilistica aziendale, pensando di sostituire legni piccoli con il legno grande per il Pinot Nero, per i vini base. Il territorio in cui viviamo ci permette di sperimentare su tutte le denominazioni, anche nella spumantistica».
Dalle 8 mila bottiglie del 2014, col millesimo 2018 Pecchenino raggiungerà quota 18 mila. «La tendenza del Consorzio è quella di chiudere ai nuovi impianti – chiosa ancora Lisa Pecchenino -. Se questo serve a tutela della qualità, sono d’accordo. Penso però che, a fronte di una denominazione in forte crescita, sia anche giusto avere le bottiglie per rispondere alla crescente richiesta».
A crescere sono anche piccole realtà come l’Azienda Agricola Terrabianca di Mango (CN), che firma uno degli Alta Langa con la più interessante espressione “di terroir”, a 600 metri di altitudine. «Siamo partiti nel 2016 – commenta a winemag.it Andrea Alpiste – raggiugendo con il millesimo 2018 le 3 mila bottiglie. Con il tiraggio 2021 arriveremo a 10 mila». Solo Chardonnay all’esordio di Terrabianca, oggi affiancato dal Pinot Nero.
CERRUTI: «L’ALTA LANGA? UN FENOMENO»
Esordio nell’Alta Langa con il millesimo 2018 anche per la Mascarello Michele e Figli. Raggiunta quota 10 mila bottiglie, la cantina di di La Morra punta dritta verso le 15 mila. Con un obiettivo ben preciso: «Offrire spumanti che si devono bere facilmente, nello stile dei nostri Barolo», riferisce a winemag.it Fabio Mascarello.
A contribuire alla crescita e all’affermazione dell’Alta Langa c’è anche Daffara&Grasso di Calosso (AT). «Siamo partiti con 7, 8 mila bottiglie – commenta Walter Daffara – continuando a vedere le basi ad altri produttori. Per noi, il core business era e resta il Moscato, con oltre 100 mila bottiglie. Ma ci siamo lasciati affascinare da questo Metodo classico, al punto da decidere di produrre anche una Riserva, millesimo 2014, 80 mesi sui lieviti, che sarà sul mercato a partire da quest’estate».
Esponenziale il salto anche in casa di uno dei vignaioli Fivi dell’Alta Langa, Cascina Cerutti. «Siamo partiti con 2, 3 mila bottiglie – sottolinea a winemag.it Gianmario Cerutti – e oggi abbiamo raggiunto le 6 mila. Dal prossimo anno arriveremo a 10 mila. L’Alta Langa è in una fase dinamica di crescita e la politica è quella giusta: crescere piano, con moderazione».
La cosa bella è siamo molte aziende, con clientela che attende i nostri spumanti. È un fenomeno, frutto di una bella alchimia tra il territorio, che lo richiede, e il mercato lo apprezza.
Siamo in una fase magica che non avremmo mai potuto preventivare, neppure a fronte di un piano marketing ben studiato! Basta dire “Alta Langa” che la gente lo prova. E poi lo ricompra, convinto dalla qualità».
I MIGLIORI ALTA LANGA ALLA PRIMA DELL’ALTA LANGA 2022
Millesimo 2018
ViteColte – Brut “Cinquecento”
Tenuta Carretta – Pas Dosé “Airali”
Azienda agricola Terrabianca – Extra Brut
Mauro Sebaste – Dosaggio Zero
Cantine Amerio – Pas Dosé
Pianbello – Rosé Brut
Pecchenino – Pas Dosé “Psea”
Matteo Giribaldi – Extra Brut
Roberto Garbarino – Rosé Dosaggio Zero
La Fusina – Extra Brut (miglior sboccatura recente – 2022)
Avezza – Dosaggio Zero e Riserva 72 mesi
Deltetto – Brut
Enrico Serafino – Extra Brut Parcellaire
Calissano – Pas Dosé
Rizzi – Pas Dosé
Banfi – Cuvée Aurora Rosé Extra Brut
Millesimi precedenti
Tosti – Extra Brut 2012 “Riserva Giulio I”
Matteo Giribaldi – Pas Dosé 2016, 2015, 2013 (magnum)
Ettore Germano – Extra Brut 2016
Fontanafredda – Rosé Brut Riserva 60 mesi “Contessa Rosa”
Fontanafredda – Blanc de Noirs Pas Dosé Brut Nature 72 mesi “Vigna Gatinera”
Coppo – Riserva 2016 Extra Brut
Enrico Serafino – Brut 2017
Enrico Serafino – Riserva 2009
Enrico Serafino – Zero 2014 (Best in show – Prima dell’Alta Langa 2022)
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Si respira aria di vino a Castiglione del Lago. La cittadina di 15 mila abitanti, a metà tra Montepulciano e Perugia, su un promontorio che si affaccia sulla sponda occidentale del Lago Trasimeno, offre decine di soluzioni per gli enoturisti di passaggio tra la Toscana e l’Umbria.
Via Vittorio Emanuele, in pieno centro storico, è un brulicare di enoteche, wine bar, ristoranti e gastronomie. Il vento trasporta profumi che invitano alla sosta, in questo inizio d’estate anticipato che ha investito il Centro Italia.
Tra gli avventori – soprattutto turisti europei, provenienti da Germania e Olanda – vanno per la maggiore bianchi e rosati. Eppure, è il Gamay del Trasimeno il vino sul quale ha deciso di puntare il Consorzio di Tutela Vini Colli del Trasimeno. Non senza difficoltà e mezze contraddizioni.
Lo storytelling dell’ente, incentrato sulla suggestione della “dolce vita” lungo le sponde del lago, nel binomio enogastronomia-turismo, non coinvolge il rosso locale. Basta dare un’occhiata al video promozionale in loop sulla home page del sito web ufficiale del Consorzio (versione desktop) per rendersi conto che l’immagine veicolata è quasi esclusivamente legata ai vini bianchi.
MENO DI 21 ETTARI DI GAMAY DEL TRASIMENO: UNA CHICCA
I soli 20,84 ettari di Gamay del Trasimeno registrati (dato ufficiale relativo alla vendemmia 2021) non offrono un’immagine realistica della storicità del vitigno nella zona, riscoperto solo di recente. La varietà, che nulla ha a che fare con il Gamay francese (si tratta piuttosto del più diffuso Grenache) è arrivata in quest’angolo della provincia di Perugia nel 1.400.
A portalo con sé, dalla Spagna, è stata Eleonora Alarcòn y Mendoza, in seguito al matrimonio con il duca di Castiglione del Lago, Fulvio Della Corgna, discendente del celebre condottiero Ascanio Della Corgna. Grenache, che nella zona di Castiglione del Lago assunse nel tempo il nome, tuttora controverso, di Gamay del Trasimeno.
ANNATA 2021
ETTARI RIVENDICATI A DOC
Denominazione
ettari
COLLI DEL TRASIMENO BIANCO
32,24
COLLI DEL TRASIMENO BIANCO VIN SANTO
0,24
COLLI DEL TRASIMENO CABERNET SAUVIGNON
1,84
COLLI DEL TRASIMENO GAMAY
20,84
COLLI DEL TRASIMENO GRECHETTO
14,29
COLLI DEL TRASIMENO MERLOT
4,73
COLLI DEL TRASIMENO ROSATO
2,43
COLLI DEL TRASIMENO ROSSO
95,55
COLLI DEL TRASIMENO SPUMANTE METODO CLASSICO
6,54
COLLI DEL TRASIMENO SPUMANTE METODO CLASSICO ROSE’
1,72
Totale
180,43
GAMAY DEL TRASIMENO E GAMAY FRANCESE: CONFUSIONE (ANCHE) NEI VIVAI
«Da sempre impiantato ad alberello – spiega Camillo Angeli, vicepresidente del Consorzio e rappresentante di cantina del Trasimeno Duca della Corgna – il Trasimeno Gamay veniva chiamato dalle vecchie generazioni “Vitigno Francese”, assimilandolo erroneamente al vitigno utilizzato per il Beaujolais, anziché a quello della famiglia della Granache, come Garnacha, Cannonau, Alicante».
L’errore continua a persistere, rimanendo catalogato come clone “091 Gamay“. Tanto che alcuni vivai, ancora oggi, alla richiesta di “Gamay del Trasimeno” da parte di produttori perugini intenzionati a impiantare questa varietà, consegnano il Gamay francese.
Questo è uno dei grandi problemi che dobbiamo assolutamente risolvere, come Consorzio. Un fraintendimento che dà luogo, anche nel calice, a difformità non indifferenti dal punto di vista organolettico, al palato di degustatori attenti».
Il lavoro sul Gamay del Trasimeno inizia nel 2008. Le cantine locali, sulla spinta della cooperativa Duca della Corgna, cercano di valorizzare il vitigno, investendo anche nella ricerca. Diversi studi hanno coinvolto l’Università di Perugia, con l’obiettivo di catalogare, sul territorio, le vecchie viti “indigene”, per creare appeal attorno al Trasimeno Gamay (noto anche come Gamay Perugino).
Le sponde occidentali del lago umbro sono comunque lontane dal poter essere considerate, anche lontanamente, una “succursale” della Sardegna. Lo stile del “Cannonau” locale non è ancora definito. E tra i calici dell’Anteprima Vini Colli Trasimeno 2022, andata in scena lunedì 30 maggio, brillano pochi esemplari di Gamay del Trasimeno.
I MIGLIORI GAMAY DEL TRASIMENO ALL’ANTERPIMA 2022
A fare da traino è certamente l’interpretazione della cooperativa Duca della Corgna (le uve di 200 soci sono affidate al noto enologo Lorenzo Landi), dal “Divina Villa” al “cru” Poggio Petroso. Madrevite, la cantina del direttore del Consorzio, Nicola Chiucchiurlotto, è l’azienda che ha dato una spinta innovativa alla denominazione, proiettandola (non senza fatica) verso nuovi orizzonti.
Moderna e golosa l’espressione del Trasimeno Doc Gamay del Trasimeno 2021 “Opra”, grazie all’affinamento di 10 mesi in cemento: un nettare illuminante per il territorio. Più strutturata, sempre nella gamma di Madrevite, la Riserva “C’osa”, vendemmia 2019 (6 mesi in cemento, 12 mesi in botti grandi da 10 hl, poi cemento e ulteriori 6 mesi in bottiglia prima della commercializzazione).
Molto centrato anche il Trasimeno Gamay Doc 2020 di Pucciarella (l’enologo è Riccardo Cotarella) tra le ultime aziende ad aver investito nella riscoperta del Gamay del Trasimeno. Evidente l’occhio al gusto del consumatore moderno, più attento a freschezza e primari che a potenza, struttura e terziari.
Apprezzabile, in una denominazione e in un Consorzio caratterizzato da evidenti “lavori in corso”, anche l’approccio della cantina La Querciolana di Panicale (PG). Convince il leggiadro Gamay di Boldrino 2020, quanto il più profondo Gamay Trasimeno Doc Riserva Camporso 2019, alla seconda prova, dopo l’esordio con l’annata 2018.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Differenze nelle differenze. Nel «continente in miniatura», come definisce la regione Laurent de la Gatinais, presidente di Assovini Sicilia, la zona sud occidentale è a sua volta un mosaico di diversità, che si conferma tale anche a Sicilia en Primeur 2022.
Un areale, quello che si estende fra Noto (SR) e Vittoria (RG), che punta ad affacciarsi sul mercato con vini identitari e riconoscibili. Non solo sulla base dell’internazionale Syrah, ma soprattutto con gli autoctoni Nero d’Avola, Frappato (leggi Cerasuolo di Vittoria) e Grillo.
Sono convinto che questa zona stia parlando di un Nero d’Avola diverso – sottolinea Filippo Mazzei di cantina Zisola – migliore e di più alto livello. All’inizio, fino ad una decina di anni fa, anch’io ero spaventato dalla percezione che c’era del Nero d’Avola».
«Ce n’era molto sul mercato – aggiunge – ed era un prodotto di prezzo. Ora Noto e Pachino si stanno distinguendo come sottozone in cui questo vitigno dà il meglio di sé. Il nostro limite è solo quello di non avere molti produttori».
IL NERO D’AVOLA
Ne è un esempio il Sicilia Noto Rosso Doc “Doppiozeta”, annata 2018, di Zisola. Nero d’Avola in purezza dai due appezzamenti più vocati della tenuta, tra le tappe toccate dal tour di Sicilia en Primeur 2022. Un vino che fa di struttura e freschezza la sua chiave di lettura. Naso ricco che alterna frutto rosso maturo a spezie delicate ed un tocco boisé. Fine ed elegante.
Coltivazione ad alberello per il Nero d’Avola. Forma di allevamento tradizionale che consente alla vite di proteggere i grappoli dai raggi solari grazie alla folta chioma. Un approccio, quello della coltivazione ad alberello, utilizzato anche Feudo Maccari.
L’azienda, sempre nell’areale di Noto, alleva il Nero d’Avola a partire da marze di proprietà. Una scelta ben precisa fatta per mantenere il più possibile l’identità della singola sotto zona finanche al cuore del clone della vite.
Il Sicilia Doc Nero d’Avola “Nerè”, annata 2019, di Feudo Maccari è un rosso agile ma non banale. Naso intenso che apre sul frutto rosso maturo per poi arricchirsi con piacevoli note di macchia mediterranea ed erbette aromatiche. Di buon corpo ha un tannino presente e vivo cui fa da contraltare la grande freschezza, per un sorso piacevole e beverino.
Meno verticalità e più morbidezza per i Nero d’Avola della zona di Vittoria, nel ragusano, altra zona interessata da Sicilia en Primeur 2022. Il Vittoria Doc Nero d’Avola “Sole e Terra” 2019 di cantina Horus apre su note di marasca, fragola e prugna. Segue una vena speziata con liquirizia in primo piano. Sorso rotondo e pieno con tannino molto vellutato.
Maggiore rotondità per il Sicilia Doc Nero d’Avola “Kudyah” 2019 di Terre di Giurfo. È il frutto surmaturo a guidare lo spettro olfattivo, condito da un tocco di cannella. La buona acidità supporta il sorso e fa da contraltare al corpo pieno ed al tannino.
IL FRAPPATO
Se nel ragusano il Nero d’Avola si esprime con pienezza e rotondità è il Frappato a regalare una bevuta più semplice, agile e moderna. Estremamente godibile il Vittoria Doc Frappato “Belsito” 2020 di Terre di Giurfo. Ciliegia, ribes, mirtillo, un tocco di geranio. Il tannino c’è ma è bilanciato dalla viva freschezza.
Il Vittoria Doc Frappato “Sole e Terra” 2020 di Horus si presenta rosso rubino intenso. Fresco già alla vista. Frutti di bosco, geranio ed un tocco di pepe. Morbido e giustamente tannico regala un sorso gradevole, giovane e scorrevole.
CERASUOLO DI VITTORIA
Dall’unione di Nero d’Avola e Frappato nasce il Cerasuolo di Vittoria, unica Docg Siciliana che non poteva mancare all’appello di Sicilia en Primeur 2022. Il Cerasuolo di Vittoria Docg “Maskaria” di Terre di Giurfo tra il nome proprio da dall’utilizzo dei die due vitigni autoctoni che si “mascherano” vicendevolmente lavorando in modo sinergico.
Ne risulta un vino dal colore rosso rubino molto intenso che apre al naso su note di mora, lampone, ciliegia molto matura. Seguono un piacevole sentore erbaceo ed un tocco di spezie scure. In bocca è scorrevole eppur pieno. Il tannino, vellutato, è supportato da una piacevole freschezza.
Parla la stessa lingua il Cerasuolo di Vittoria Docg “Pittore contadino” 2018 di Horus. L’etichetta è un omaggio a Francesco Giombarresi, pittore di Comiso (RG) famoso per i suoi dipinti della dimensione di un francobollo. Nota speziata più marcata, cacao e liquirizia. Caldo al palato mantiene una piacevole bevibilità.
IL GRILLO
Anche la bacca bianca autoctona più rappresentativa racconta una storia che attraversa il territorio, nell’ambito del tour di Sicilia en Primeur 2022. Se ad est, verso Noto, i vini sono più pieni ed aromatici a ovest, verso Vittoria, i vini si fanno più freschi e diretti.
Il Sicilia Doc Grillo “Olli” di Feudo Maccari è pieno al naso. Fiori e frutta bianca in evidenza. Scorrevole e beverino al palato. Il Sicilia Doc Grillo “Family and Friends”, sempre di Feudo Maccari, ha una maggiore rotondità data la passaggio in legno.
Il Sicilia Doc “Azisa” 2021 di Zisola si completa con 15% di Catarratto. Naso simile ad “Olli” ha in più una nota calcarea ed una maggiore sapidità al palato data dai terreni dell’azienda. Il Sicilia Doc Grillo “Sole e Terra” di Horus ed il Sicilia Doc Grillo “Suliccenti” di Terre di Giurfo risultano invece più semplici e diretti al naso. Più erbacei e meno fruttati con una maggiore vena citrica al sorso.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Confermato Andrea Rossi nel ruolo di Presidente del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano. A nominarlo il CdA del Consorzio, eletto dall’assemblea lo scorso 26 maggio, che si è riunito nella serata di mercoledì 1 giugno. Il Consiglio ha voluto confermare anche i due Vicepresidenti, Susanna Crociani (Azienda Crociani) e Luca Tiberini (Azienda Tiberini).
«Una conferma che è anche un rinnovamento della fiducia che i nostri produttori ci hanno dato tre anni fa quando siamo stati nominati per la prima volta – commenta il Presidente Rossi – per dare vita ad un percorso che ha visto fin da subito le aziende associate lavorare per un ricompattamento all’interno del Consorzio con un obiettivo comune che era quello dello sviluppo della denominazione e una visione univoca dei progetti da mettere in campo».
Andrea Rossi, classe 1971, è stato eletto presidente come membro della Vecchia Cantina, alla guida della quale è stato da poco riconfermato. Diplomato al Liceo Classico “A. Poliziano” di Montepulciano si è poi laureato in Scienze Economiche e Bancarie all’Università degli studi di Siena.
Da sempre al fianco della famiglia nell’azienda agricola socia di Vecchia Cantina da oltre trent’anni. Rossi può vantare una lunga esperienza sia politica che come amministratore locale. Da giugno 1999 al 2011 viene infatti scelto dall’allora Sindaco del Comune di Montepulciano, Piero Di Betto, come assessore alla partecipazione, associazionismo e sport.
ANDREA ROSSI: DA SINDACO A PRESIDENTE DEL CONSORZIO DEL VINO NOBILE
Nel 2009 e nel 2014 è stato eletto sindaco del Comune di Montepulciano, carica che ha ricoperto fino al 2019. E’ della sua legislatura la nascita del cosiddetto “Sistema Montepulciano“, un modello di governance basato sul coordinamento congiunto delle principali forze economiche e attrattive della città in un progetto di promozione premiato in Italia e nel mondo.
Il Consiglio di Amministrazione. Il Consiglio di Amministrazione del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano, oltre che dal Presidente Andrea Rossi (Vecchia Cantina), dai Vicepresidenti Susanna Crociani e Luca Tiberini, è composto dai consiglieri eletti dall’assemblea lo scorso 26 maggio: Luca De Ferrari (Boscarelli), Pietro Riccobono (Tenuta Trerose – Bertani Domains), Francesco Carletti (Poliziano).
E ancora: Antonio Donato (Tenute del Cerro), Luigi Frangiosa (La Ciarliana). Per Vecchia Cantina di Montepulciano sono stati eletti nel CdA oltre al Presidente, Ilaria Chiasserini, Andrea Ciolfi, Rino Fontana e Filippo Neri.
Il Collegio sindacale è composto dal presidente Roberta Coveri e dai Componenti Giordano Pratellesi e Matteo Giustiniani. La Giunta Esecutiva è composta dal Presidente e Vicepresidenti affiancati da Luca De Ferrari e Antonio Donato. Attribuite anche le Presidenze delle Commissioni: a Ilaria Chiasserini la Commissione Sostenibilità; a Susanna Crociani la Commissione Promozione; a Luca Tiberini la Commissione Qualità.
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Se in Italia c’è una Denominazione che si sta interrogando su se stessa, tentando di proiettarsi sui mercati nazionali e internazionali con rinnovato entusiasmo e stile, quella è il Sagrantino di Montefalco. Il potente rosso umbro fa passi da gigante in termini di appeal, grazie al poliedrico vignaiolo alieno scelto di recente come presidente del Consorzio.
Il riferimento è a quel Giampaolo Tabarrini che può permettersi di presentare l’annata in ciabatte (infradito, per l’esattezza) ma soprattutto in inglese (finalmente!), lasciando ad altri il compito di «sopravvalutare» l’annata 2018 con “4 stelle”. Il tutto, di fronte a un pubblico di esperti italiani e stranieri mai così folto.
Nel calice, il Sagrantino 2018 in degustazione all’Anteprima 2022 (24-27 maggio) sembra, di fatto, cedere qualche passo al meno celebre Rosso di Montefalco. Un vino da (ri)scoprire e (ri)valutare, slegato dalla locale Docg che continua comunque a convincere con Tabarrini – Colle alle Macchie e Colle Grimaldesco sempre al top – Bocale, Pardi e Antonelli San Marco, ancor più che con Lungarotti, Colle Ciocco e Perticaia.
I Rosso di Montefalco sembrano aver trovato, negli ultimi due anni, una quadratura media mai così centrata nel ventaglio generale, nonostante il variegato e difforme utilizzo di varietà internazionali (principalmente le bordolesi, dal 15 al 30% dell’uvaggio) unite a Sangiovese (tra il 60 e l’80%) e al Sagrantino (dal 10 al 25%).
ROSSO DI MONTEFALCO SUGLI SCUDI AD ANTEPRIMA SAGRANTINO 2022
Il programma delle Anteprime umbre della scorsa settimana dimostra comunque che l’espressione dei Cabernet, del Merlot e del Sangiovese ha una marcia in più a Montefalco rispetto ad altre zone dell’Umbria (vedi l’areale del Trasimeno, in grande sofferenza e carenza d’identità su Igt e Rosso Doc, alla prova del calice).
Ed è proprio da questa consapevolezza che i produttori montefalchesi intendono ripartire. Dando al “Rosso” un’identità sempre più precisa. Tra i Montefalco Rosso Doc 2019 in degustazione ad Anteprima Sagrantino 2022 brillano quelli di Bocale (ancora lui), Moretti Omero e Tenuta Bellafonte (“Pomontino”), oltre ad Antonelli San Marco (rieccolo), Arnaldo Caprai e Briziarelli.
La denominazione, per base vitigno e approccio dei produttori, ha tutte le carte in regola per guadagnarsi spazi maggiori sul mercato. Sia in termini di vino di “pronta beva”, sia da medio o medio-lungo affinamento.
Lo ha dimostrato, in occasione di Anteprima Sagrantino 2022, il vendemmia 2016 di Pardi. Non è un caso se, tra i “Rossi” in degustazione, abbiano convinto – più di altri 2019 – anche i 2018 di Luca di Tomaso, Fattoria Colsanto e Montioni, oltre al Boccatone 2017 di Tabarrini.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE– Autoreferenziali, pronti a tutto, estremamente permalosi e vendicativi. Per nulla focalizzati sugli interessi dei clienti. È il ritratto di una certa fetta di pr e addetti stampa del mondo del vino italiano. La fotografia nitida di chi, tra calci in pancia e coltellate alla schiena inferte a quella fetta sempre più anoressica di stampa enogastronomica italiana e internazionale libera – quella di cui ci pregiamo di far parte – continua a farsi strada e a staccare contratti con cantine e Consorzi.
Avanti così, altro che vino e comunicazione: rimarranno solo loro. Iene sugli zombie. Alla faccia dei giornali che arrancano, dei giovani e meno giovani che si aprono un blog per pubblicare (fondamentalmente) solo comunicati stampa, il più delle volte inneggianti a questa o a quell’etichetta mai assaggiata, o ricevuta a casa in omaggio.
Mai una critica, ché se non è tutto bello e tutto buono e tutto giusto, finisci nella lista nera dei polemici. Di quelli da isolare. Gli appestati di libertà intellettuale. Gentaglia che (ancora) si permette di pensare. Di disallinearsi. Rimarranno solo loro, a raccontarsi, tra loro, le balle con cui inzuppano da anni testate compiacenti, che hanno sempre meno lettori ma sempre più follower su Instagram. Sticazzi.
Rimarranno solo loro, tra loro, a prendersi gioco dell’ultimo dei freelance a caccia di inviti ai press tour, da guadagnarsi con la lingua e col sudore che gronda manco sotto al sole del Sahara, quando ci si arrabatta a non far torti a chi conti anche solo un minimo, o che si sia autoproclamato, enoicamente, “qualcuno”. Profeti del nulla.
Rimarranno solo loro, a darsi vicendevoli pacche sulle spalle, affilando le punte degli scovolini, ché i denti si puliscono più facilmente delle coscienze. E con un po’ di bicarbonato risultano pure bianchi e splendenti, mai utilizzati. Illibati. Pronti per il prossimo morso alla giugulare del nemico, prima di sorridere ancora. Dentisti dell’ego.
Rimarranno solo loro, a riempire di parole vuote i rappresentanti di Consorzi e cantine che hanno pure un “nome”, ma sono incapaci di pensare (intimamente) al futuro. Ché i risultati servono oggi, subito, adesso, hic et nunc. Mica a costruire un solido “domani” per tutti. Costi pure caro e qualche strada in salita.
Rimarranno solo loro, o forse no. Ché a fregar loro il lavoro ha iniziato ormai a provarci più d’uno, mixando più d’un deejay collaborazioni con testate e pierraggio per conto di cantine o Consorzi, sapientemente avvicinati e ammaliati durante la presentazione di cataloghi dei distributori, o in occasione di uno dei tanti press tour conquistati dopo aver sopravvissuto ai rigurgiti della propria saliva. Cannucce parlanti.
Rimarranno solo loro. Iene sugli zombie, oppure zombie sulle iene. Soldatini di plastica, in marcia serrata su un mondo della critica enogastronomica italiana che muore male, un brindisi dopo l’altro, ora dopo ora. Colpevole e non vittima, più d’ogni altra cosa, del proprio compiacente, assordante silenzio che sa d’harakiri. Rimarranno solo loro. Ché chi si sente citato qui, di fatto lo è. Cin, cin.
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