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Aszú Day 2021: il vino dolce di Tokaji compie 450 anni. Degustazione storica 1940-2000

Aszú Day 2021: il vino dolce di Tokaji compie 450 anni. Degustazione storica 1940-2000

Non è un Aszú Day come gli altri quello che si celebra oggi, 10 dicembre 2021, in Ungheria così come nel resto del mondo. Il “re dei vini dolci“, prodotto esclusivamente nella regione vinicola di Tokaji, compie infatti 450 anni.

Sono trascorsi quattro secoli e mezzo da quando il vignaiolo Máté Garai lo menziona nel suo testamento del 1571. Il documento, scoperto dallo studioso István Zelenák negli archivi della biblioteca di Sátoraljaújhely, è la prima testimonianza scritta riferita all’Aszú.

Garai lasciava in eredità ai suoi famigliari alcune preziose botti di «Asszú Szőlő Bor». Letteralmente “Vino d’uva Aszú”, ottenuto da acini botritizzati, ovvero attaccati dalla muffa nobile Botrytis Cinerea.

Nella cittadina del nord ovest dell’Ungheria, le celebrazioni ufficiali dell’Aszú Day 2021 si svolgeranno durante l’intero fine settimana, con un calendario di eventi e degustazioni in numerose cantine, dal 10 al 12 dicembre.

SEI ANNATE STORICHE DI TOKAJI ASZÚ: LA DEGUSTAZIONE

Il focus dei festeggiamenti saranno proprio i 450 anni del vino dolce di Tokaji, già al centro di alcune iniziative riservate alla stampa internazionale, ad inizio novembre 2021. Evento di punta, la degustazione di 6 annate storiche di Tokaji Aszú organizzata dai produttori a Tarcal, in collaborazione con Tokaj Guide.

Tutti in forma straordinaria i vini serviti, dal Tokaji Aszú Benedecz dűlő 2000 di Patricius, passando per i Tokaji Aszú 1993, 1988, 1972, 1956 e 1940 di Tokajbor-Bene Pincészet, Puklus Pincészet (Szentkereszt dűlő), Oremus e della vecchia cantina statale di Tokaj.

L’annata più sorprendente è la 1988, di un ambrato luminoso e dal naso particolarmente fresco, speziato, al contempo avvolgente, sinuoso, accattivante. Le note spaziano dal caramello al miele, dalla frutta stramatura e sotto sciroppo alla vaniglia, sino a cioccolato, arancia e zenzero candito.

In bocca una concentrazione assoluta e il “peso” dei grandi vini dolci mondiali, che va ben oltre la lascivia del residuo zuccherino. Colpisce anche al palato la 1988. Per l’estrema freschezza, nonché in termini di persistenza, matericità e beva spasmodica, agevolata da una chiusura asciutta, quasi comparabile a quella d’un ottimo vino secco.

LA LONGEVITÀ DEL TOKAJI ASZÚ

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Sbalorditiva anche la forma delle tre vendemmie più “anziane” in degustazione. La 1972, altrettanto fresca e concentrata, è connotata da una vena minerale finissima e da una chiusura su ricordi di liquirizia. La 1956 scalpita ancora, forse in onore dell’anno della Rivoluzione ungherese. Naso suadente, di vaniglia e mou, pronto a virare su tinte balsamiche, mentolate.

In bocca, un Aszú che regala ancora freschezza, frutto e vena salino-minerale, prima di una elegantissima chiusura agrumata, capace di rendere la beva agilissima. Concentrazione assoluta per la vendemmia 1940, ultimo “Muzeális bor” in degustazione: pienezza ed integrità della componente fruttata, che si arricchisce di venature di sottobosco, muschio e un accenno leggero di fungo, unico tratto che ne disvela la carta d’identità.

Un vino che sembra dialogare con l’annata 1956, sui ritorni di liquirizia che si riverberano dal naso al palato, tanto quanto il fiume denso di frutta polposa, tra lo stramaturo e lo sciroppato. Oltre ad albicocca e pesca ecco qui il fico, assieme al dattero, a convincere ancor più in termini di estrema godibilità e pienezza del sorso, sempre sorretto dall’adeguata freschezza.

Al cospetto delle precedenti annate, la 1993 di Tokajbor-Bene Pincészet e la 2000 di Patricius paiono bambini all’asilo di Tokaji. Vini dotati di grande prospettiva, al contempo capaci di rivelarsi sin d’ora veri e propri capolavori di equilibrio, tra concentrazione della componente fruttata, slancio minerale-vulcanico tipico dei vini della regione, garbo dei terziari e freschezza (da vendere).

LO SVILUPPO DELL’ENOTURISMO NELLA REGIONE DI TOKAJI

Se il passato dell’Aszú è tanto luminoso da riflettersi nel calice persino a 81 anni dalla vendemmia, il futuro non potrà che essere all’altezza. «La regione di Tokaji – anticipa a WineMag.it Peter Molnár (nella foto sopra) presidente del Consorzio Vini della regione ungherese – sarà interessata da un colossale progetto di sviluppo, diretto dal commissario György Wáberer, nominato appositamente dal governo».

Sono già iniziati i lavori di rinnovamento di alcune infrastrutture stradali locali e periferiche, mentre altre saranno realizzate ex novo. È il caso della funicolare che collegherà la cittadina di Tokaj alla cima della collina Kopasz-hegy, dove si trova l’attuale torre-antenna di Hungária Zrt.

L’edificio, oggi utilizzato solo parzialmente dall’emittente ungherese, sarà rinnovato e fungerà da punto di ristoro panoramico, grazie a un ascensore che condurrà i visitatori sulla vetta: l’esperienza offerta sarà incredibile».

NUOVO IMPULSO A GASTRONOMIA, RISTORAZIONE E OSPITALITÀ

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Con l’obiettivo di invogliare gli enoturisti a scoprire la regione in bicicletta, saranno rinnovate le piste ciclabili, che condurranno anche tra i pittoreschi vigneti della regione di Tokaji. Particolare attenzione sarà riservata alla gastronomia locale, attraverso bandi che agevoleranno l’apertura di nuovi ristoranti, in una zona che sta già accrescendo a livello esponenziale la qualità dell’offerta di ristorazione gourmet.

Ultimo in ordine cronologico, l’investimento di Dereszla Pincészet con il suo Dereszla Bisztró a Bodrogkeresztúron (nella gallery sopra). Qui, il direttore generale László Kalocsai, assieme a un team di giovani cuochi e wine expert, sta dando impulso all’evoluzione della cucina di Tokaji, fondendo i piatti della tradizione alle più moderne e ricercate tendenze della gastronomia internazionale.

«I finanziamenti interesseranno anche l’apertura di nuove attività ricettive, come hotel e B&B – continua Peter Molnár – con l’obiettivo di compiere un vero salto di qualità nella nostra offerta complessiva di enoturismo, nel giro dei prossimi 4 anni. Ciò che è ancora più importante sottolineare è che il progetto non riguarda solo le infrastrutture e i luoghi fisici, ma anche le persone e l’organizzazione complessiva».

VITICOLTURA, ENOLOGIA E TURISMO ALL’UNIVERSITÀ DI TOKAJI

Il riferimento del presidente del Consorzio di Tokaji è all’istituzione di un ufficio che coordinerà le attività turistiche e culturali della regione, che si interfaccerà direttamente con le cantine e con le attività museali. Ma non solo.

«Nel 2013 – spiega Molnár – abbiamo celebrato i 500 anni dalla fondazione del Collegio di Sárospatak, cittadina che dista meno di 40 chilometri dal cuore della regione che, da agosto 2021, ospita l’Università Tokaj-Hegyalja».

Il nuovo corso di laurea in Viticoltura ed Enologia, così come quello in Turismo ed Ospitalità, sono stati pensati per i nostri giovani e per dare nuovo impulso e redditività alle aziende di Tokaji.

Un modo per investire nel futuro della nostra regione vinicola, patrimonio dell’Unesco, fornendo una formazione adeguata, teorica e pratica, ai professionisti di domani».

I nuovi dipartimenti avranno una forte propensione all’internazionalizzazione. «L’università – conclude Peter Molnár – è già pronta ad ospitare anche studenti stranieri, sicura dell’attrattività che possa costituire la regione vinicola di Tokaji per qualsiasi giovane interessato a lavorare nel settore del vino».

A garantire la dimensione internazionale dei corsi saranno inoltre professionisti chiamati dall’estero, nonché collaborazioni con le più importanti università di viticoltura, enologia ed ospitalità già attive in Europa. Per i brindisi ci sarà l’imbarazzo della scelta. Almeno oggi, solo Tokaji Aszú: è il suo giorno.

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Lotta al cancro, Beca: approvata tra polemiche relazione che equipara vino a sigarette

La Commissione BecaThe Special Committee on Beating Cancer del Parlamento europeo ha approvato la Relazione sul Piano europeo di lotta al cancro che dovrà essere votata dall’Assemblea nelle prossime settimane. A nulla sono serviti gli allarmi lanciati dalle associazioni del settore del vino, in merito alla sostanziale equiparazione tra vino, alcolici e sigarette come potenziali veicoli di tumori.

In campo oggi anche Federvini che, sulla scorta di Ceev, ribadisce «l’importanza di basate su evidenze scientifiche evitando scorciatoie e semplificazioni ideologiche di stampo proibizionistico».

Federvini ritiene grave l’affermazione, contenuta nella relazione votata oggi dalla Commissione Beca, secondo cui «non esiste un livello sicuro di consumo di alcol». I dati scientifici a sostegno di tale affermazione sono «isolati, deboli e contestati anche da molti esponenti della stessa comunità scientifica».

Introducendo un riferimento all’assenza di un livello sicuro di consumo di bevande alcoliche – spiega Vittorio Cino, direttore generale di Federvini – la Commissione del Parlamento europeo ha addirittura fatto un passo indietro rispetto all’European beating cancer plan della Commissione europea, che invece prevedeva una chiara differenza tra consumo moderato ed abuso».

«DEMONIZZATI QUASI TRE MILLENNI DI STORIA»

«Il voto di oggi – sottolinea Cino – rischia invece di legittimare una posizione tesa a demonizzare quasi tre millenni di storia, cultura e tradizione della civiltà del bere italiana.  Cultura che per noi vuol dire convivialità, socialità, nell’ambito della Dieta mediterranea».

Il documento approvato dal Parlamento Europeo prevede raccomandazioni che vanno dall’introduzione di health warnings in etichetta, all’innalzamento generalizzato di accise e tasse sui prodotti alcolici. Sino a limiti da porre alla promozione e alla pubblicità, in particolare con riferimento alle manifestazioni sportive.

Si va concretizzando il rischio, già paventato da Federvini insieme alle sue associazioni di riferimento europee, come appunto Ceev – Comité Vins e spirits Europe, che «posizioni ideologiche radicali si traducano in decisioni che, lungi dal contrastare efficacemente l’abuso, colpiscono una fondamentale filiera produttiva agroalimentare italiana».

BECA, RELAZIONE APPROVATA TRA LE POLEMICHE

Nel mirino finisce inoltre «la stragrande maggioranza dei consumatori che si rapportano in maniera corretta e responsabile al mondo dei vini, degli aperitivi, degli amari, dei liquori e dei distillati». «Ci appelliamo alle forze politiche italiane presenti nel Parlamento Europeo – dichiara Micaela Pallini, Presidente di Federvini – affinché possano essere superati almeno gli aspetti più radicali di questo documento in occasione del passaggio in Assemblea plenaria, prevista nelle prime settimane del nuovo anno».

Questo è solo l’ultimo di una serie di tentativi che provano ad introdurre misure penalizzanti e discriminatorie nei confronti dei nostri prodotti: ecco perché invitiamo il Governo ad aprire un tavolo di confronto permanente tra Ministero dell’Agricoltura, Ministero della Salute e Ministero degli Esteri per definire al meglio una posizione italiana di equilibrio e moderazione, in vista dei prossimi appuntamenti internazionali».

«Dal Nutriscore allo zucchero, dalle carni rosse ai formaggi ai prodotti alcolici – conclude la numero uno di Federvini – molte categorie di prodotti ed un intero modello di consumo e stile di vita italiano, è messo sotto attacco. Chiediamo inoltre che il Governo tutto, al di là dei Ministeri competenti, a partire dal Presidente del Consiglio Mario Draghi, inserisca questo dossier tra quelli prioritari nell’agenda istituzionale dei prossimi mesi».

Vino e alcolici banditi nella lotta al cancro: produttori europei preoccupati dalle misure Ue

LA POSIZIONE DI COLDIRETTI

Sull’approvazione da parte del Parlamento europeo della relazione della Commissione Beca – The Special Committee on Beating Cancer interviene oggi anche Coldiretti. «È del tutto improprio assimilare l’abuso di superalcolici tipico dei Paesi nordici al consumo moderato e consapevole di prodotti di qualità ed a più bassa gradazione come la birra e il vino», tuona il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.

La relazione dell’Europarlamento «colpisce ingiustamente il vino Made in Italy che ha conquistato la leadership in Europa per produzione ed esportazioni con un fatturato record di 12 miliardi nel 2021 – continua -. Il vino in Italia è diventato anzi l’emblema di uno stile di vita “lento”, attento all’equilibrio psico-fisico che aiuta a stare bene con se stessi, da contrapporre proprio all’assunzione sregolata di alcol».

«Il giusto impegno dell’Unione per tutelare la salute dei cittadini – evidenzia Prandini – non può tradursi in decisioni semplicistiche che rischiano di criminalizzare ingiustamente singoli prodotti indipendentemente dalle quantità consumate. L’equilibrio nutrizionale va infatti ricercato tra i diversi cibi consumati nella dieta giornaliera e non certo condannando lo specifico prodotto».

BECA: PREOCCUPATA ANCHE ALLEANZA COOPERATIVE AGROALIMENTARI

Malumori per Beca anche da parte di Alleanza Cooperative Agroalimentari. «Anche se non siamo ancora davanti a proposte legislative concrete – commenta Luca Rigotti, coordinatore del settore Vitivinicolo – la votazione odierna del The Special Committee On Beating Cancer rappresenta un elemento di grande preoccupazione per il comparto vitivinicolo e per i Paesi produttori».

Introdurre il principio “no safe level” è assolutamente equivoco per il consumatore, oltre che dannoso per un intero settore che guida, in termini di commercio estero e di fatturato, il comparto agroalimentare Made in Italy».

«L’auspicio – conclude Rigotti – è che quando il dossier passerà nelle mani dell’aula plenaria del Parlamento Europeo, gli eurodeputati introducano elementi di maggiore equilibrio che mettano nella giusta prospettiva il consumo del vino, senza demonizzare il prodotto come tale”, conclude il Coordinatore vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari».

LA POSIZIONE DEL BECA -THE SPECIAL COMMITTEE ON BEATING CANCER

L’istituzione del Beca – The Special Committee On Beating Cancer risale al 2020. «Questo comitato mette in risalto l’importanza della lotta contro il cancro per il futuro dell’Ue», spiegava nel settembre dello scorso anno Bartosz Arłukowicz, a capo del Comitato.

Si stima che nel 2020 saranno diagnosticati 2,7 milioni di nuovi casi di cancro e 1,3 milioni di persone saranno morte di cancro nell’UE. Si prevede che oltre 100 milioni di europei riceveranno una diagnosi di cancro nei prossimi 25 anni. Queste cifre mostrano l’immensa portata del problema che ci aspetta».

«L’impegno dei membri del Parlamento europeo nella creazione di un quadro comune di lotta al cancro è un’espressione della nostra solidarietà – continuava Bartosz Arłukowicz – ma anche della nostra responsabilità per il benessere dei nostri concittadini europei. Dovremmo sostenere i ricercatori, i medici, gli infermieri, gli assistenti sociali e fornire un aiuto concreto ai pazienti che lottano contro il cancro e a quelli che ne sono usciti».

Il tutto nell’annunciare che i successivi 12 mesi sarebbero stati «dedicati a stabilire una serie di raccomandazioni concrete per gli Stati membri e le istituzioni dell’Ue», al fine di «rafforzare la nostra resistenza contro il cancro». Una visione che si scontra con il Made in Italy. Nel terreno della pratica e della stessa scienza.

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Approfondimenti

Vernaccia di San Gimignano più forte della pandemia

Nonostante la pandemia e le misure di contenimento messe in atto su scala mondiale, la Vernaccia di San Gimignano chiude il 2021 con una promozione da parte dei mercati. Il grande vino bianco della provincia di Siena ha incremento le sue quote del 12% rispetto al 2019, l’anno che ha preceduto l’arrivo del Covid.

Nei primi undici mesi del 2021 sono stati imbottigliati 36.589 ettolitri di Vernaccia di San Gimignano. Nel 2020, l’anno dei lockdown, erano stati 31.028. Significativo è proprio il confronto con il 2019, quando gli ettolitri imbottigliati furono 32.497.

IL COMMENTO DEL CONSORZIO DELLA VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO

«Siamo contenti e moderatamente ottimisti – dichiara Irina Strozzi, presidente del Consorzio del Vino Vernaccia di San Gimignano – il 100% di ottimismo lo avremo quando il capitolo Covid potrà dirsi definitivamente chiuso.

Stiamo vivendo un momento espansivo, il nostro vino è richiesto dal mercato, stiamo entrando nelle carte dei vini dei migliori ristoranti italiani e anche dall’estero c’è richiesta».

Il Consorzio rende noto che il prezzo del vino sfuso Vernaccia di San Gimignano della vendemmia 2019 oscilla tra i 130 e i 150 euro ad ettolitro. Quello del 2020 è tra i 135 e i 155 euro ad ettolitro, la stessa quotazione con cui al momento è trattato il vino della vendemmia 2021.

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Export vini Borgogna verso il record storico: crescita su tutti i mercati nel 2021

L’export dei vini della Borgogna cresce su tutti i mercati nel 2021: + 21,8 % in volume e + 26,4 % in valore, mettendo a confronto i primi nove mesi 2019 e 2021. Eppure, il Bureau Interprofessionnel des Vins de Bourgogne invita alla cautela, «visto soprattutto il periodo di incertezza».

I numeri parlano chiaro anche per l’Italia. Le esportazioni della nota denominazione francese nel Bel Paese segnano un +54,9% in volume e un +40,6% in valore. Nel quadro complessivo, la crescita maggiore per l’export dei vini della Borgogna si registra in Corea del Sud (+187,0% in volume e +171,9% in valore), seguita da Israele (rispettivamente +124,4% e +128,5%) e Nuova Zelanda (+112,9% e +77,8%).

Incremento da record anche nei Paesi dell’Est Europa, con al vertice Polonia (+109,6 e +150,8%) e Lettonia (+76,2% e +115,9%) e Lituania (+28,9% e +106,7%). Bene il Nord Europa, guidato dal boom della Danimarca (+ 67,8% in volume e +72,3% in valore) e dell’Irlanda (+51,5% e +43,4%).

Volano anche Paesi Bassi (+44,7% e +79,2%), Lussemburgo (24,1% – 43,4%) e Austria (15,7% – 52,9%). Così come l’Oriente: Cina (30,6% – 79,5%), Taiwan (52,3% – 48,8%) e Singapore (24,1% – 46,3%).

EXPORT VINI BORGOGNA: LE NOTE DOLENTI

Uniche note dolenti, sempre nel confronto tra volumi e valori dei primi nove mesi del 2019 con lo stesso periodo del 2021, il -18,4% e -4,6% della Germania. Il bilancio è lievemente in negativo anche in Spagna, solo per in termini di valore (-0,9%, a fronte del +15,4% dei volumi) e negli Emirati Arabi (+1,7% in volume, ma -32,3% in valore).

«Nel 2021 – commenta il Bureau Interprofessionnel des Vins de Bourgogne – la Borgogna progredisce su quasi tutti i suoi mercati, mostrando addirittura una crescita rispetto al periodo pre-crisi. Nel prossimo anno, tuttavia, le posizioni potrebbero essere messe alla prova da una vendemmia 2021 meno generosa, e dal possibile rallentamento dell’economia globale».

Cautela, dunque. La récolte 2021 è infatti stimata tra i 900 e 950 mila ettolitri, contro gli 1,56 milioni di ettolitri della 2020. Bene le vendite nazionali dei vini di Bourgone. «In Francia – evidenzia il Bureau – i vini di Borgogna continuano a progredire, grazie soprattutto alla loro presenza in tutti i segmenti di vendita, compresa la grande distribuzione organizzata».

CRESCONO LE VENDITE DEI VINS DE BOURGOGNE

In un contesto di calo generale delle vendite tra i primi 10 mesi 2021 e lo stesso periodo del 2020, in particolare dei vini rossi (-3,5% in volume e -0,6% in valore), le vendite di vini fermi di Borgogna sono eccellenti: +5,7% in volume e +8,6% in termini di fatturato.

Nel dettaglio, i vini bianchi sono i grandi vincitori con un + 8,1% in volume. In particolare crescono le Aoc di Chablis (+16,8% in volume); l’Aoc Régionales Bourgogne (esclusa la Bourgogne Aligoté): + 5,3% in volume; e l’Aoc Mâcon: + 9,7% in volume.

Più modesta la creascita dei vini rossi della Bourgogna. Le vendite mostrano un aumento del’1,5% in volume. Sotto la lente di ingrandimento, ecco l’Aoc Régionales Bourgogne (+1,9% in volume); l’Aoc Villages de la Côte Chalonnaise (+4,8% in volume, dopo il calo nel 2020). E l’Aoc Irancy: + 20,6% in volume e + 25,9% in vendite rispetto allo scorso anno.

Impennata anche per gli spumanti Crémant de Bourgogne: bell’aumento del +7,7%. Non abbastanza, comunque, per far tornare la denominazione ai livelli pre-crisi del 2019 il livello del 2019 (-2%). Gli ipermercati e i supermercati, che rappresentano la maggior parte delle vendite di Crémant de Bourgogne (85,3% dei volumi), confermano il trend in aumento: +7,4% in volume su 10 mesi.

EXPORT VINI BORGOGNA: TUTTI I DATI

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Vini al supermercato

Südtirol Alto Adige Doc Gewürztraminer 2020, Kellerei Meran

(5 / 5) Massimo dei voti, ovvero cinque “cestelli della spesa” su cinque, per il Südtirol Alto Adige Doc Gewürztraminer 2020 di Kellerei Meran. Non a caso figura nella Guida Migliori Gdo 2022 di Vinialsuper.

Il vino della cantina cooperativa di Merano si presenta di un giallo paglierino luminoso. Naso dai tratti tipici del vitigno, con le sue note tropicali e di litchi. Ottima la risposta anche al palato.

Il Südtirol Alto Adige Doc Gewürztraminer 2020 di Kellerei Meran si rivela fresco e fruttato, equilibrato. Chiusura leggermente amaricante che invoglia il sorso successivo.

Acquistabile presso: supermercati Aspiag, Unicom, Europa, Ali, Emisfero

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Vino e alcolici banditi nella lotta al cancro: produttori europei preoccupati dalle misure Ue

«L’Ue basi le proprie politiche sulla scienza e sulle prove». È l’appello dei produttori di vino europei attraverso Ceev, il Comité Européen des Entreprises Vins, in vista del voto del Parlamento europeo sul cosiddetto Beca, The Special Committee on Beating Cancer, in programma domani, 9 dicembre.

Ceev invita i membri di Bruxelles a riconsiderare una delle affermazioni contenute nel documento, secondo cui «non esiste un livello sicuro di consumo di alcol». Un principio che rischia di scatenare una reazione a catena, facendo saltare – tra l’altro – il banco degli aiuti e dei finanziamenti di Bruxelles ai settori “messi al bando”.

«Non ci sono dati scientifici a sostegno di un aumento del rischio di cancro quando il vino viene consumato con moderazione, durante i pasti, come parte della dieta mediterranea e come parte di uno stile di vita sano», controbattono i produttori di vino europei.

Il cancro – prosegue Ceev – è una malattia multifattoriale e i fattori di rischio del cancro devono essere valutati nel contesto dei modelli culturali, del bere, del mangiare e dello stile di vita. L’evidenza scientifica indica che bere vino con moderazione, con un pasto, come parte di una dieta di stile mediterraneo può contribuire a una maggiore aspettativa di vita e a una minore incidenza di malattie importanti come le malattie cardiovascolari, il diabete e il cancro».

Lotta al cancro: per l’Europa vino, sigarette e Coca Cola sono la stessa cosa

Sempre secondo i produttori europei, «l’ipotesi che non ci sia “un livello sicuro” è fuorviante e semplicistica, in quanto non considera i modelli di consumo e altri fattori dello stile di vita».

E non è solo fuorviante, «ma anche controproducente, poiché il consumo moderato di vino, in particolare come parte della dieta mediterranea e come parte di uno stile di vita sano, è associato a una maggiore longevità e alla prevenzione delle malattie».

La proposta di “nessun livello sicuro” di Beca si basa su un singolo studio. Quello del Global Burden of Diseases (Gbd) pubblicato da The Lancet nel 2018, che è stato duramente criticato dalla comunità scientifica per i suoi «difetti di analisi».

Si tratta di uno studio di modellazione basato su ipotesi, sottolinea Ceev, «che non prende in considerazione lo stile di vita, non presenta tutte le prove scientifiche esistenti e, di conseguenza, non può essere l’unica base per trarre conclusioni sul consumo di alcol e il rischio di cancro».

Vino, Alleanza Cooperative Agroalimentari: «Le misure dell’Ue preoccupano i produttori»

Il settore vinicolo europeo si impegna d’altro canto a continuare a promuovere un consumo responsabile di vino e a ridurre il consumo eccessivo e irresponsabile. Ceev sostiene il piano dell’Ue per combattere il cancro e il suo obiettivo generale di ridurre l’uso dannoso dell’alcol.

«Ma l’accento – avverte il Comité Européen des Entreprises Vins – deve essere posto sul consumo nocivo, poiché la maggior parte delle prove europee e internazionali mostra una chiara correlazione tra il consumo moderato come parte di una dieta e di uno stile di vita sani e gli esiti positivi per la salute». Qualcosa che il cosiddetto Beca sembra invece ignorare nella relazione che sarà presentata domani da Véronique Trillet-Lenoir.

Infine – evidenziano gli imprenditori vitivinicoli – chiediamo al Parlamento europeo di evitare la convenienza politica e di riconoscere che più tasse, restrizioni di marketing e avvertenze sanitarie sono cattivi sostituti delle politiche che affrontano le cause profonde del bere dannoso».

«Come europei, dovremmo essere orgogliosi della nostra cultura gastronomica, di cui il vino è una componente inestricabile. La nostra “art de vivre” – conclude Ceev – consiste nel godere di una grande varietà di cibi, compreso il vino con moderazione, se lo si desidera, in un ambiente conviviale. Promuovere questo stile di vita è di gran lunga preferibile a soluzioni normative semplicistiche e in definitiva inefficaci».

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degustati da noi vini#02

Vermentino di Sardegna Doc 2019 Su Puddu, Cantina Alinos

Qualità a buon prezzo per il Vermentino di Sardegna Doc 2019 Su Puddu di Cantina Alinos. Un vino ben raccontato dalla grafica in etichetta, tanto accattivante quanto in grado di richiamare in maniera molto diretta il territorio di provenienza.

LA DEGUSTAZIONE

Nel calice, il Vermentino di Sardegna Doc 2019 Su Puddu di Cantina Alinos si presenta di un giallo paglierino candido. Naso elegante, dominato dal bel botta e risposta tra mineralità e macchia mediterranea. Si distingue nettamente il rosmarino, in un bouquet che comprende anche alloro e un tocco aromatico di salvia.

Nel quadro anche ricordi di frutta esotica perfettamente matura, agrumi e un bel profilo floreale fresco, di mandorlo. Al palato, Su Puddu 2019 ha tutto ciò che deve avere un Vermentino Doc. Ovvero agilità di beva, carattere, frutto e mineralità. Caratteristiche che si fondono perfettamente con la morbidezza glicerica, all’insegna dell’equilibrio.

Bell’allungo sapido, prima dell’altrettanto tipica chiusura giustamente ammandorlata, morbida. Un vino bianco perfetto a tutto pasto, che dà il meglio di sé sui piatti di mare, come le linguine allo scoglio. Perfetto anche in accompagnamento a zuppe di pesce della tradizione sarda, ligure o toscana.

LA CANTINA ALINOS

Cantina Alinos è una realtà famigliare della provincia di Olbia-Tempio, nella zona Nord-Est dell’isola, non lontano dalla splendida Costa Smeralda. Oltre al Vermentino di Sardegna Doc 2019 Su Puddu, l’azienda produce un Vermentino di Gallura Docg, denominato Ghisu, e un Cannonau di Sardegna Doc. L’obiettivo di Alinos è farsi portavoce dei vitigni e del terroir dell’isola e privilegiare l’agilità di beva.

Punti fermi imprescindibili, eppure non gli unici. Oltre alla tipicità dei propri vini, che richiamano in maniera netta il territorio isolano, questa piccola cantina di Olbia riesce a proporre sul mercato etichette dall’ottimo rapporto qualità prezzo. Il Vermentino Su Puddu ne è un fulgido esempio, con un prezzo che si aggira attorno ai 9 euro.

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Amaro Lucano e Mancino Vermouth: la fusione è realtà

«Cosa vuoi di più dalla vita? Un Amaro Lucano Mancino». Potrebbe suonare così la nuova pubblicità del noto drink della famiglia Vena, che ha rilevato la maggioranza di Mancino Vermouth. «Una data che non dimenticheremo mai», commentava ieri sui social l’imprenditore lucano Giancarlo Mancino, che ricoprirà il ruolo di consigliere con delega allo sviluppo del business.

Inizia un nuovo capitolo e non potremmo essere più felici di condividere finalmente questa notizia con il mondo intero. Mancino Vermouth e Amaro Lucano sono ora una famiglia. Stessa eredità lucana, stessa passione per la qualità, stessi ideali e stessa visione del futuro. Il viaggio è appena iniziato, e siamo già più che entusiasti di abbracciare tutte le avventure che il futuro ci riserva. Ci vediamo tutti, come sempre, al bar».

La fusione di Mancino con lo storico marchio guidato da Leonardo Vena era un sogno condiviso dalle due imprese. L’operazione consentirà a Gruppo Lucano di arricchire la sua offerta con una selezione di sette etichette di Vermouth piemontese.

La volontà di creare un progetto comune ha preso avvio nel 2013, durante un incontro a Chicago. Negli anni i rapporti si sono susseguiti e consolidati, grazie anche alle innumerevoli fiere in cui Mancino e Lucano sono presenti. Nel 2021 si è così «concretizzata l’opportunità di lavorare insieme».

L’influenza nel mercato on trade luxury di Mancino Vermouth e la sua presenza ben distribuita nel territorio asiatico, spiegano le due aziende, hanno rappresentato un plus molto importante per Lucano e per i suoi obiettivi di crescita e di sviluppo in altri mercati.

Contestualmente l’azienda Mancino, il cui fatturato è per il 90% sviluppato nel mercato estero (più del 50% tra Far East e Usa), entra a far parte di una delle più importanti realtà italiane nella produzione e commercializzazione di Spirits. L’obiettivo è «una crescita significativa, confermando il suo posizionamento nel mercato on trade luxury».

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Sudafrica, braccio di ferro senza fine tra governo e vignaioli: «In fumo 560 milioni»

La Corte suprema di Città del Capo ha rigettato poche ore fa le contestazioni mosse al governo del Sudafrica da Vinpro. I giudici erano chiamati a esprimersi in merito alle misure anti-alcol varate da Pretoria in piena emergenza Covid-19, all’inizio del 2021. Un ritorno al proibizionismo giudicato penalizzante dall’associazione che tutela gli interessi di 2.575 aziende del settore vitivinicolo.

Secondo Rico Basson, managing director di Vinpro, «l’approccio ottuso del governo, l’indisponibilità a consultarsi e la mancanza di trasparenza riguardo ai dati empirici usati nel processo decisionale, ha causato danni irreversibili all’industria del vino e del turismo sudafricana». Si stima una voragine da 560 milioni di euro.

LA DENUNCIA DI VINPRO: «SENTENZA IN RITARDO»

Ora la beffa in Tribunale. «La Corte suprema – denuncia Basson – ha ripetutamente posticipato unilateralmente le date delle udienze. E ha poi espresso il suo giudizio solo ora, ovvero dopo che le restrizioni sulle vendite di vini e liquori fossero state rimosse».

L’industria non solo ha perso più di 10 miliardi di Rand di fatturato, ma ha anche visto una significativa perdita di posti di lavoro e ha subito danni alla reputazione internazionale. L’unico modo per le imprese legate al vino di recuperare e ricostruire è la creazione di un ambiente favorevole alla crescita sostenibile. Questo include politiche governative che si basino su dati empirici approfonditi e trasparenti, implementati in modo coerente e applicati rigorosamente».

Sudafrica, divieto vendita e consumo vino: i produttori portano il Governo in Tribunale

TIMORE PER I LIVELLI OCCUPAZIONALI

Vinpro si definisce «estremamente delusa» dalla sentenza dell’Corte suprema di Città del Capo. «La nostra associazione è stata ascoltata dal 23 al 25 agosto 2021 – spiega Rico Basson – periodo nel quale il divieto di consumo di alcolici era stato solo parzialmente revocato. La corte ha quindi ritenuto irrilevanti le richieste di Vinpro, dato che i regolamenti sono da allora cambiati e ha stabilito che ogni parte deve essere responsabile delle proprie spese legali».

Nel timore che un eventuale appello venga trattato alla stessa stregua, l’associazione che tutela i produttori di vino sudafricano non è intenzionata a opporsi alla decisione del Tribunale. «Vogliamo confermare che l’industria continua a lavorare a stretto contatto con tutti i portatori di interesse del settore, per aiutare il governo a prendere decisioni consapevoli nella lotta al Covid-19, tutelando al contempo i livelli occupazionali del nostro settore e del suo indotto, compreso l’enoturismo».

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Grandi Langhe 2022 a Torino: Barolo e Barbaresco tendono la mano al grande pubblico

Grandi Langhe 2022 si prepara ad accogliere i professionisti del mondo del vino a Torino il 31 gennaio e 1° febbraio 2022. Buyer, enotecari, ristoratori e importatori italiani e internazionali possono iscriversi alla più grande degustazione dedicata alle denominazioni di Langhe e Roero, accedendo al sito web ufficiale della manifestazione.

Per la prima volta anche i privati consumatori potranno accedere alla manifestazione, durante una sessione a loro interamente dedicata, lunedì 31 gennaio dalle 18.30 alle 21.30. In questo caso, l’iscrizione è possibile sul sito di Ais Piemonte.

GRANDI LANGHE 2022: LA NUOVA LOCATION DI TORINO

Con l’apertura ai privati il Consorzio prosegue la sua strategia promozionale volta a stabilire «un filo sempre più diretto con i consumatori finali», che per la prima volta dalla nascita della manifestazione potranno degustare oltre 1500 etichette presso le Officine Grandi Riparazioni – Ogr di Torino.

Saranno accolti a Torino anche 50 buyer selezionati provenienti da Usa, Canada, Regno Unito e Scandinavia. Ben 220 cantine del territorio presenteranno le proprie etichette nei suggestivi spazi di Corso Castelfidardo, 22. Una location scelta strategicamente, «sia per riflettere la crescita della manifestazione che per garantire il rispetto delle normative sul distanziamento».

Il Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani e il Consorzio Tutela Roero, con il supporto della Regione Piemonte, sono i promotori della manifestazione, giunta alla sesta edizione dopo lo stop del 2021.

LE ASPETTATIVE DEI CONSORZI DI LANGHE E ROERO

«Siamo entusiasti di portare Grandi Langhe a Torino per la prima volta. La manifestazione è cresciuta molto negli anni e si è posizionata tra gli appuntamenti imperdibili del calendario enologico italiano», spiega Matteo Ascheri, Presidente del Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco.

Il 2021 è stato purtroppo un anno di pausa forzata – continua -. I nostri produttori non vedono l’ora di poter tornare a incontrare i propri clienti di persona. Abbiamo preso tutte le misure necessarie per garantire a espositori e utenti un’esperienza sicura, piacevole e soprattutto di altissimo livello».

«La decisione di portare Grandi Langhe a Torino, città simbolo del Piemonte e già Capitale d’Italia, dimostra l’importanza assunta dall’evento», aggiunge Francesco Monchiero, presidente del Consorzio Tutela Roero.

«Grandi Langhe 2022 sarà l’occasione per incontrare gli operatori del settore – continua – piemontesi e non, che giocano un ruolo chiave nell’identità del nostro vino. Grazie alla partecipazione di 50 buyer provenienti dall’estero, si creeranno nuove opportunità di sviluppo in paesi consolidati o emergenti».

GRANDI LANGHE 2022: INFORMAZIONI IN BREVE

  • Le porte di Grandi Langhe 2022 apriranno per i professionisti di settore il 31 gennaio e 1° febbraio.
  • Dove e quando: dalle 10 alle 17 presso la Sala Fucine di OGR a Torino, in Corso Castelfidardo 22.
  • I privati consumatori e gli appassionati potranno acquistare il biglietto di ingresso sul sito web di Ais Piemonte.
  • I partecipanti dovranno necessariamente iscriversi in anticipo sul sito web. Quindi stampare e presentare il proprio biglietto d’ingresso, unitamente alla certificazione verde Covid-19 (green pass).
  • È obbligatorio indossare la mascherina all’interno durante i momenti in cui non si degusta.
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Addio ad Andrea Franchetti, titolare di Tenuta di Trinoro, Sancaba e Passopisciaro

«Mi piace fare vino. È un opera d’arte che cambia ogni anno». Resterà una delle frasi più celebri di Andrea Franchetti, titolare in Toscana di Tenuta di Trinoro e Sancaba, nonché della cantina Passopisciaro, sull’Etna, scomparso poche ore fa a Roma, per via di una malattia.

Situata al principio della Val d’Orcia, Tenuta di Trinoro è nota per i suoi ricchi e complessi vini rossi da invecchiamento a base di Cabernet Franc, Merlot, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot. I 200 ettari dell’azienda si trovano in una zona priva di tradizione vitivinicola, vicino a Sarteano, dove la Toscana si fonde con l’Umbria e il Lazio.

Andrea Franchetti ha acquistato la proprietà negli anni Ottanta e ha cominciato a impiantare qui i primi vigneti nei primi anni Novanta. Dieci anni dopo, nel 2000, l’imprenditore ha deciso di restaurare un antico baglio con cantina sulle pendici dell’Etna, in Sicilia.

La cantina si trova a circa mille metri di altezza sopra al piccolo paese di Passopisciaro nel comune di Castiglione di Sicilia, sul versante nord del vulcano. Il suo primo merito è stato di recuperare i vigneti terrazzati abbandonati da tempo e piantarne di nuovi.

CON FRANCHETTO LA NUOVA ERA DEI VINI DELL’ETNA

L’avvento di Andrea Franchetti sull’Etna segna un punto di svolta nello slancio dei vini del vulcano siciliano, oggi conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Non si tratta comunque dell’ultimo investimento.

Nel 2011 Carlo Franchetti acquista dei terreni nel Comune di San Casciano dei Bagni, dove trova un vigneto di Pinot nero piantato dal precedente proprietario. La prima vinificazione nel 2012, interamente casalinga, rivela subito un vino di grande carattere e potenzialità.

L’anno successivo Andrea Franchetti inizia a supervisionare la produzione, spostandola proprio a Tenuta di Trinoro, sotto il cappello della nuova avventura commerciale denominata Vini Franchetti Srl.

Numerosi nelle ultime ore i ricordi commossi dell’imprenditore scomparso a Roma. Tra i più commossi Alberto Aiello Graci, collega di Franchetto sull’Etna. «Oggi piango per la morte di un grande uomo, di un amico», scrive.

«Per me era e resterà sempre un mito – continua Graci – cultore di una bellezza alta, senza fronzoli. Generoso. Uomo magnetico, poetico, passionale. Sono stato fortunato ad averlo conosciuto, l’Etna del vino senza di lui non sarà più la stessa».

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Barbaresco Cn_Centoundici 2018: Orlando Abrigo riscopre il Nebbiolo Rosé

Biotipo Nebbiolo Rosé, dal vigneto Mga Meruzzano di Treiso (350 m s.l.m.), impiantato nel 1995 con esposizione Sud-Ovest . Terreno calcareo-limoso e potatura corta a Guyot (8-9 gemme per ceppo). Densità di impianto di 4.500 piante per ettaro, con resa di 55 quintali (37 ettolitri). Ci sono casi in cui la carta d’identità del vigneto racconta il vino, ancor prima dell’etichetta e della bottiglia. Uno di questi è il Barbaresco Docg Cn_Centoundici di Orlando Abrigo.

Si tratta infatti di uno dei pochi “esemplari” di Barbaresco ottenuti dal biotipo Nebbiolo Rosé, in purezza. «Fino ad ora pochissimi produttori di Langa hanno deciso di utilizzare esclusivamente questo clone di Nebbiolo per ottenere un vino», spiega Giovanni Abrigo, dagli anni Ottanta al timone dell’azienda fondata dal padre Orlando, a Treiso d’Alba (CN).

Rispetto al più diffuso Lampià, infatti, la sottovarietà che dà vita a Cn_Centoundici non riesce a conferire al vino un colore particolarmente intenso, quanto sfumature più trasparenti, e quindi si è sempre preferito unirlo in blend».

LA VINIFICAZIONE DI CN_CENTOUNDICI

Dalla valorizzazione del vigneto alla massima attenzione in vinificazione, il passo è breve. Tutto inizia dalla pigiatura soffice delle uve Nebbiolo Rosé, con macerazione sulle bucce per circa 35/40 giorni in legno, a cappello sommerso.

Dopo alla svinatura il vino svolge la fermentazione malolattica in tonneaux (un quarto di legno nuovo), continuando negli stessi l’affinamento per altri 15 mesi. L’obiettivo? Mantenere la freschezza e l’eleganza tipiche del Barbaresco da Nebbiolo Rosé.

Imbottigliato nel mese di agosto, il Barbaresco Cn_Centoundici affina ulteriormente per un minimo di 6 mesi in bottiglia, prima della commercializzazione. «L’aromaticità di questo Nebbiolo – garanrtisce Giovanni Abrigo – è molto fine ed elegante. La struttura è meno potente perché dotata di tannini più sottili, in grado di far emergere il lato più minerale e fresco di questo nobile vitigno.

«UN BARBARESCO VERSATILE E LONGEVO»

Il Nebbiolo Rosé è presente per un 5% all’interno dei vigneti della cantina Orlando Abrigo. Ed è sempre stato vinificato separatamente. «Lo studiamo da tempo – spiega il vignaiolo di Treiso d’Alba – poiché tutte le parcelle dei nostri cru vengono vinificate singolarmente. È stato naturale, dunque, comprendere e apprezzare i suoi indiscussi pregi negli anni. Abbiamo quindi pensato fosse arrivato il momento di imbottigliarlo separatamente, dando origine ad una nuova etichetta».

Il tutto senza rinunciare alla caratteristiche primaria del vino rosso “fratello” del Barolo: la longevità. «È un Barbaresco delicato e suadente, verticale e fine – conclude Giovanni Abrigo – che riesce ad essere molto godibile e versatile a tavola già in gioventù. Al contempo, Cn_Centoundici 2018 ha tutte le doti per poter evolvere, come da tradizione di questa denominazione, con il passare degli anni».

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Quando metteremo Rovolon sulla mappa dei grandi vini rossi italiani?

EDITORIALE – C’è un territorio del Veneto ancora fuori dalla mappa dei grandi vini rossi italiani. Sono i Colli Euganei e, in particolare, la sottozona di Rovolon. Siamo nella parte settentrionale della denominazione, nell’area più fresca del Parco Regionale. La macchia mediterranea, tipica della zona sud, lascia spazio a varietà che amano climi più temperati, come il castagno. E se anche da queste parti la vera “star” è il Fior d’arancio Docg, dal classico spumante alle versioni passito e secco, sono i vitigni bordolesi a sorprende con le loro note del tutto uniche.

Se ne parla poco. Troppo poco. Ma siamo al cospetto di un vero e proprio unicum. Gli Euganei sono l’unica zona delle Venezie in cui riemergono abbondanti lave acide ricche di silice, molto viscose. Terreni con alte percentuali di riolite, trachite e latite non sono rari da queste parti, così come il basalto.

Gli antichi strati del fondo marino sono riemersi a macchia d’olio, circa 35 milioni di anni fa. Movimenti di Madre Natura che hanno modificato per sempre il mare che copriva l’intera Pianura padana. Una “gioia” per il carattere dei bordolesi, di casa sui Colli Euganei dall’Ottocento.

ROVOLON E I COLLI EUGANEI: SVOLTA CON LE NUOVE GENERAZIONI

Lo ha compreso bene Martino Benato, appassionato vignaiolo che da anni sperimenta in vigna e in cantina, per trarre il meglio dai propri Cabernet Franc, Merlot e Carmenere. Quelli della cantina Vigne al Colle sono vini rossi di territorio, di annata, di cru. Di cuore e di savoir faire. Capaci come pochi di riflettere nel calice non solo le caratteristiche varietali e del microclima di Rovolon, ma anche la vena minerale-vulcanica che caratterizza i Colli Euganei.

Benato è l’anello di raccordo tra le vecchie e le nuove generazioni di produttori. La consacrazione di Rovolon come terra di grandi vini rossi italiani passa da lui, tanto quanto dall’importante ricambio generazionale in corso in quest’areale di 2.300 ettari (solo mille rivendicati a Doc), incastonato tra le province di Padova e Vicenza.

Con il ritorno a casa del figliol prodigo, di fatto, un’altra azienda di Rovolon è ormai pronta a spiccare il volo, prendendo a sua volta per mano i Colli Euganei. È Reassi, guidata da Diego Bonato. Il classe 1982 ha raccolto l’eredità dei genitori, che vendevano al 95% vino sfuso, trasformando la cantina e i suoi 6 ettari in una gemma.

DIEGO BONATO: «VARIABILITÀ DEI SUOLI PARI SOLO A MONTALCINO»

Dopo aver girato il mondo (Australia, Francia, Nuova Zelanda e Toscana, da Tolaini), il giovane winemaker è tornato alle radici. «Sono partito con l’idea di tornare, per dare una mano all’azienda di famiglia. Ma più giravo, più mi rendevo conto dell’unicità di Rovolon, dei Colli Euganei e delle loro potenzialità ancora inespresse», dice a WineMag.it.

Mentre lavoravo in Toscana, in sella alla mia biciletta, ho visitato ogni cantina di Bolgheri, porta a porta. Secondo la mia esperienza, la variabilità dei suoli e dei microclimi dei Colli Euganei è paragonabile solo a quella di Montalcino. Neppure sull’Etna, altra zona vulcanica che ho visitato di recente, c’è una tale eterogeneità».

Una consapevolezza dolce e allo stesso tempo amara. «Quello che mi chiedo – continua Diego Bonato – è quando cominceremo, noi produttori euganei, a renderci conto delle nostre potenzialità e a promuovere tutti assieme una zona in cui un Merlot piantato a Rovolon è completamente diverso e riconoscibile rispetto a uno piantato a Sud, così come a Est e a Ovest dei Colli?».

LA CHANCE DI ROVOLON

Gli fa eco Martino Benato. «Per molti anni, i degustatori nazionali si sono concentrati sulla zona sud dei Colli euganei, a mio avviso perdendo la vera essenza della nostra denominazione, ovvero la sua “biodiversità”. Dove possiamo arrivare oggi a Rovolon? Rispondendo a questa domanda potrei esagerare, o al contrario minimizzare».

So solo che le sorprese saranno grandi, perché un clima come il nostro, al centro della Pianura padana, su suolo vulcanico focalizzato sui bordolesi, è qualcosa di unico: non ce n’è un altro. Le nuove generazioni hanno capito che non si può vivere di rendita, con i vini d’annata. La controtendenza è già iniziata. E fare sacrifici premia. Non subito, ma premia».

Ai grandi vini poderosi, grassi e ricchi di terziari sin troppo caratterizzanti, tipici della zona sud dei Colli Euganei, si contrappone l’eleganza, la vena erbacea delicata e balsamica, la spezia fine e la mineralità dei bordolesi di Rovolon. «Chiacchierando con alcuni amici al Consorzio – rivela Benato – concordavamo sul fatto che questa sottozona è un po’ la Borgogna dei Colli Euganei, capace cioè di mostrare l’anima fine della denominazione, oltre alla potenza».

LE VERTICALI DI VIGNE AL COLLE

Le verticali dei rossi di Vigne al Colle parlano chiaro. Dal “vino d’entrata”, il Colli Euganei Doc Rosso, base Merlot (60%) con Cabernet Franc e Carmenere a dividersi equamente il resto dell’uvaggio (40%), si evidenziano in maniera netta i profili delle annate 2016, 2017, 2018 e 2020. La crescita del livello nella sperimentazione è evidente, con Martino Benato che sta dando sempre più “del tu” a Rovolon. E con i vigneti che, “invecchiando”, sono in grado di regalare fotografie sempre più nitide del terroir euganeo.

Nel calice, l’annata 2016 vira su profili d’arancia sanguinella, senza rivelare l’attesa complessità. La 2017 è timida, chiusa, di primo acchito. Si apre piano, tendendosi come un arco verso un futuro luminoso, spinta da un naso molto espressivo e da un palato che sa di Rovolon.

Duemiladiciotto dal frutto denso, su cui danza un tannino fine, in un quadro balsamico, mentolato, reso ancor più tipico da elegantissime venature minerali ed erbacee. Un vino “bambino”, all’inizio del suo percorso. Esattamente come il Colli Euganei Doc Rosso 2020, con terziari di cioccolato bianco e una gran matericità, in termini di fruttato e peso palatale.

VARIETÀ BORDOLESI SUGLI SCUDI NEI COLLI EUGANEI

Le grandi emozioni di casa Vigne al Colle arrivano con il Merlot Poggio alle Setole, che si dimostra in grande spolvero in occasione della verticale. Grafite, balsamicità ed eleganza per la 2016. Spezia scura, liquirizia nera, ciliegia e gran freschezza per la giovanissima vendemmia 2017.

Da applausi una 2019 in cui Benato ha portato sì in cantina il 50% delle uve (quelle risparmiate dalla grandine) ma in stato di salute eccezionale. Il naso è un concerto d’origano e macchia mediterranea, frutto fresco e note dettate dall’affinamento in legno, che al palato lasciano il palco a croccantezza, finezza e mineralità.

Un fuoriclasse, poi, il Colli Euganei Doc Rosso Riserva 2018 (35% Cabernet Franc, 35% Carmenere, 30% Merlot) già premiato dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it. A riprova che la denominazione del Veneto si stia muovendo nella direzione giusta, anche le due new-entry di casa Vigne al Colle. Un bianco e un rosso, “Crea Bianca” (Pinot Bianco e Incrocio Manzoni, fifty-fifty) e “Crea Rossa” (Refosco, Merlot e Cabernet Franc), che dietro alla “facciata” dell’agilità di beva celano il carattere vero e unico della zona.

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Svizzera, enotecario aggredisce chi compra vino estero (video)

Un uomo di si avvicina agli scaffali del vino estero di un’enoteca. Sceglie una bottiglia di vino spagnolo, ma l’enotecario lo aggredisce con un placcaggio da rugby. Di lì a poco una coppia scherza davanti all’espositore di vini iberici. L’imponente enotecario gonfia il petto, minaccioso. E fa loro desistere, indirizzandoli verso lo scaffale del vino svizzero. È lo spot diffuso nelle ultime ore dall’Office de promotion dell’Interprofession de la Vigne et du Vin du Valais, organismo che rappresenta i viticoltori del canton Vallese.

Ad accompagnare il video, realizzato da un e-commerce e wine tour operator locale, è una frase emblematica: «Voici un petit rappel de la mère et du père Noël, valable pour tous les vins du Valais». Tradotto: «Ecco un piccolo promemoria di mamma e Babbo Natale, valido su tutti i vini del Vallese».

Lo spot cela di fatto il grave stato di crisi della viticoltura nel cantone di Sion. Secondo quanto riferisce l’emittente radiofonica svizzera Rts, i viticoltori locali si stanno liberano delle loro vigne addirittura «per la cifra simbolica di un franco».

CEMENTO AL POSTO DELL’UVA: PERSI 800 ETTARI IN 35 ANNI

Sempre secondo l’inchiesta, si prevede che entro il 2022 saranno abbandonati 300 ettari di vigneti. Un dato fornito ad Rts dalla stessa Interprofession de la Vigne et du Vin du Valais, sulla base di un sondaggio effettuato fra i viticoltori locali.

L’abbandono dei vigneti riguarda soprattutto le aree meno meccanizzabili. La viticoltura eroica non costituisce dunque un’attrattiva per il governo svizzero e per le autorità del Vallese. A dimostrarlo sono i 500 ettari di vigneti spariti dal 1989 al 2019, in favore di progetti edili, più redditizi.

Cemento al posto dell’uva, insomma, in un’areale che oggi conta 4.804 ettari complessivi (dato 2018), pari al 33% della superficie vitata della Svizzera. Le varietà più allevate nel Vallese (61%) sono quelle a bacca rossa (tra cui Pinot Noir, Gamay, Syrah e Cornalin) accanto a un 39% di varietà a bacca bianca, perlopiù autoctone (Chasselas, Sylvaner, Arvine, Savagnin Blanc).

Per tentare di salvare la viticoltura del Vallese, l’Interprofession de la Vigne et du Vin du Valais, presieduta da Yvan Aymon, ha scritto al Consiglio di Stato, «proponendo una serie di misure, fra cui il raddoppio dei pagamenti diretti».

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Alghe per abbattere le emissioni di Co2: l’idea di un birrificio australiano

Il mondo della birra si fa sempre più green, puntando su sostenibilità e zero emissioni. Il birrificio indipendente Young Henrys di Newtown (Sidney, Australia) in collaborazione con la University of Technology Sydney ha dato via ad un innovativo progetto. Il birrificio ha infatti installato un bioreattore per la coltivazione di alghe allo scopo di assorbire l’anidride carbonica generata dalla produzione della birra.

La strana sostanza verde fosforescente contenuta nel serbatoio non sarebbero altro che 20 mila miliardi di cellule di microalghe che hanno la proprietà di assorbire la Co2 prodotta dal birrificio. Le alghe, inoltre, produrrebbero la stessa quantità di ossigeno di un ettaro di bosco. «È come avere una mini foresta nella fabbrica» dicono i ricercatori della University of Technology Sydney.

BIRRA E CO2, UNA SFIDA CHE È POSSIBILE VINCERE

Secondo lo studio di Young Henrys e UTS la produzione di una lattina di birra bionda è responsabile dell’emissione di tanta Co2 quanta ne riesce ad assorbire un albero in due giorni. Se si considera che al mondo vengono prodotti circa 2 miliardi di ettolitri di birra all’anno è ben comprensibile l’impatto ambientale. Impatto che questo progetto vorrebbe idealmente annullare.

«Vorremmo arrivare al punto di avere un sistema interno di cattura dell’anidride carbonica. In sostanza andiamo a formare un circuito chiuso nel birrificio – dice Oscar McMahon, uno dei titolari di Young Henrys -. C’è ancora parecchia strada da fare, ma una volta che ci saremo riusciti ci piacerebbe che anche altri birrifici lo adottassero».

LE ALGHE E LE LORO ILLIMITATE APPLICAZIONI A FAVORE DELL’AMBIENTE

«Le alghe offrono numerose soluzioni. Sono convinto che il potenziale per il loro utilizzo in un futuro sostenibile sia illimitato», dice il professor Peter Ralph del Climate Change Cluster, dipartimento interdisciplinare della UTS.

Gli allevamenti di bestiame sono responsabile del 14% delle emissioni mondiali di metano. Young Henrys e UTS stanno collaborando ad un progetto che prevede di aggiungere alghe ai grani esausti della produzione brassicola utilizzati dagli allevatori come mangime.

Questo dovrebbe contribuire ad abbassare le emissioni di metano da parte del bestiame. Inoltre il Climate Change Cluster sta studiando le alghe come materiale in sostituzione dei prodotti derivati dal petrolio.

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Mercato Fivi Piacenza 2021, più luci che ombre: parlano i vignaioli

Clima di ottimismo quello che si è respirato al Mercato dei vini dei vignaioli indipendenti Fivi 2021, a Piacenza lo scorso 27, 28 e 29 novembre. Dopo un anno di stop dovuto alle restrizioni, i vignaioli esprimono tutta lo la loro soddisfazione per un evento tanto atteso quanto voluto.

«Una bellissima edizione, secondo me anche sopra le aspettative. Buonissimo il primo giorno, il sabato. Buonissima la domenica, ma è il lunedì che mi ha sorpreso. Non è assolutamente “un lunedì”. C’è gente e non solo operatori del settore. C’è voglia di uscire, di scoprire, di vedere e conoscere. Dopo una gran pioggia esce sempre il sole», dice Martino Benato di cantina Vigne al Colle (Colli Euganei).

«Penso che dal punto di vista dell’utente questa fiera sia impareggiabile – fa eco Raimondo Lombardi della cantina Martilde (Oltrepò pavese) -. Il pubblico è contento e competente. È una manifestazione diversa da quelle commerciali, come può essere il Vinitaly. È una fiera per appassionati, dove c’è un contatto diretto fra produttore e consumatore».

CONDIVISIONE: LO SPIRITO DELLA FIERA FIVI

Una fiera che non è solo “il Mercato della Fivi di Piacenza”, ma che è vissuta anche come occasione di incontro e confronto. «Si incontrano belle persone, come sempre. La fiera diventa quasi una festa tra amici e colleghi che non si vedono da due anni. Ci si rincontra, si sorride e si beve un calice», sottolinea l’altro vignaiolo oltrepadano Giorgio Perego, della cantina Perego & Perego.

Gli fa eco David Navacchia di cantina Tre Monti, che sottolinea come per i vignaioli sia importante condividere pensieri ed esperienze: «Se c’è un filo logico comune che lega questi 600 vignaioli, ed anche gli altri 600 non presenti, è che si tratta di aziende che vivono del loro lavoro».

I vignaioli – continua il produttore dell’Emilia Romagna – seguono interamente la propria filiera aziendale. Lavorano quasi esclusivamente con le proprie uve e anche commercialmente seguono in prima persona il proprio prodotto.

Tutta questa comunanza di fattori comporta il più delle volte anche una comunanza di obiettivi, di politiche e di pensiero. Fivi tiene insieme queste aziende. È un approccio non invadente».

VIGNAIOLI E LOCKDONW: NUOVE IDEE PER UN PERIODO DIFFICILE

«Devo dire che il lockdown ci ha aiutati a tirare fuori una nuova creatività e anche un nuovo modo di lottare». Nelle parole di Giovanna Tantini, titolare dell’omonima cantina di Mischi, nell’areale del lago di Garda veronese, tutto il senso di due anni vissuti senza riferimenti precisi. Un momento storico difficile, dal quale i vignaioli hanno imparato a trarre comunque il meglio.

«Il Covid ci ha insegnato a non metterci in standby ed aspettare. Traggo un bilancio professionalmente positivo da questi sue anni», aggiunge Navacchia che al Mercato Fivi 2021 di Piacenza pone l’accento sulla necessità di svestire i panni dell’intransigenza per abbracciare una maggiore apertura culturale.

Il lockdown ci ha insegnato che diversificare i mercati ed i canali può essere molto complicato per un’azienda familiare, ma è ciò che ti salva. Occorre essere meno snob – aggiunge – meno schizzinosi, a non stracciarci le vesti se il nostro vino è sullo scaffale di un supermercato. Perché se c’è alle condizioni giuste, ci può stare».

«Essere umili ci ha insegato ad andare a consegnare anche solo 6 bottiglie alla volta al privato che era chiuso in casa. Ad incassare 50€ o 60€ alla volta senza problemi», conclude il titolare di Tre Monti, cantina reperibile anche sugli scaffali di alcune insegne della Grande distribuzione.

LE DIFFICOLTÀ INTERNE ALLA FEDERAZIONE

Nonostante l’evidente ottimismo e la soddisfazione per un Mercato dei vignaioli 2021 in presenza e dall’indubbio successo, permane qualche perplessità in seno alla Fivi. È Giorgio Perego a farsi portavoce dei malumori.

«Ho visto entrare in Fivi delle aziende che, secondo me, non sono completamente in linea con la filosofia dei “vignaioli indipendenti”. Se noi guardiamo il nostro logo c’è un vignaiolo con una cesta d’uva in testa ed una bottiglia in fianco», evidenzia il vignaiolo oltrepadano. Un tema già affrontato da WineMag.it, a giugno 2021 (leggi qui).

Se qualcuno acquista uve per un 30% o 40% la cosa va un po’ a decadere. Fivi dovrebbe essere un’associazione ristretta a chi produce le sue uve, le lavora in cantina, imbottiglia e vende. Parlavo di questo con altri colleghi e non sono l’unico a sostenere che si sta prendendo una “deviazione” non consona. Sono sicuro che il Direttivo correggerà il tiro».

Perego esprime qualche riserva anche relativamente alla gestione del Mercato Fivi 2021 di Piacenza. Nelle sue parole il disappunto per alcuni “dettagli” sull’organizzazione e sulla comunicazione.

Quest’anno abbiamo due padiglioni. Vedo tanta gente che viene qui e non sa che c’è un padiglione 2, semplicemente perché non c’è un cartello che te lo dice. Sarebbe bastato un cartellone in alto, nel mezzo, con la scritta “Padiglione 2” ed una bella freccia».

«A questo si lega un altro dettaglio che sembra abbastanza strano: i membri del Direttorio Fivi hanno tutti il banchetto in centro al padiglione 1, vicino all’isola del merchandising. Siccome i posti dovrebbero essere assegnati a caso, la coincidenza sembra un po’ strana», conclude Perego.

L’ANNATA 2021 E LE PROSPETTIVE PER IL FUTUTO

«Per l’annata 2021, dal punto di vista viticolo, chi si lamenta è un falso». Va dritto al punto Luca Moser di Agricola Mos, cantina dell’anno Nord Italia 2022 per la Guida Top 100 Migliori vini italiani di Winemag.it. Per il vignaiolo della Val di Cembra, l’ottima qualità delle uve compensa ampiamente i cali produttivi che si sono verificati in tutt’Italia.

«Certo il periodo non è facile, fra chiusure, approccio “zero alcol” e quant’altro. Ma noi siamo sul pezzo, andiamo avanti! Puntiamo anche a produrre 3 o 4 mila bottiglie quest’anno. Siamo fiduciosi», conclude Moser dal suo stand del Mercato 2021 di Piacenza.

Un 2022 che si prospetta all’insegna della ripresa, agli occhi dei vignaioli. Ma la macchina che si riattiva rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio alla luce della scarsa vendemmia di quest’anno (vedi il caso dell’Australia). È ancora una volta David Navacchia di cantina Tre Monti a sintetizzare bene la situazione.

Sarà un anno complicato – afferma – paradossalmente il più complicato di tutti. Veniamo da una vendemmia molto difficile dove le aziende hanno subito un calo di produzione in alcuni casi anche del 40%».

«Dovremo gestire il prodotto, che è meno del solito, a fronte di una ripresa che probabilmente sarà veloce. Rispondere in maniera adeguata sarà una sfida imprenditoriale mica da poco», conclude il vignaiolo.

Di lì a poche ore, è il Consorzio Vino Chianti ad alzare la prima bandiera bianca in tal senso. Notizia di ieri è la richiesta avanzata dall’ente nei confronti di Regione Toscana, per poter mettere in commercio la vendemmia 2021 già a gennaio 2022. Due mesi di anticipo che dicono tanto. E provano che, tutto sommato, i problemi del settore accomunano vignaioli come quelli riuniti a Piacenza e grandi realtà. Almeno nell’ultimo pazzo biennio.

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Il Solaris 2020 di Weingut Plonerhof è il miglior vino italiano da vitigni resistenti Piwi

Sono stati resi noti questa mattina i risultati della prima rassegna nazionale dei vini Piwi, ottenuti da varietà resistenti alle malattie fungine. Il vincitore assoluto, ovvero il miglior vino italiano da Piwi, è risultato il Solaris 2020 di Weingut Plonerhof, cantina di Marlengo (BZ), in Alto Adige.

Di seguito i primi tre classificati nelle categorie Vini Frizzanti, Vini Spumanti, Vini Bianchi, Vini Orange e Vini Rossi, oltre ai vini che si sono aggiudicati la menzione. Alla prima rassegna vini Piwi sono stati iscritti un totale di 95 vini prodotti da 55 cantine italiane.

  VINI FRIZZANTI
classificato Nome azienda Nome vino
3 Cantina Pizzolato Hoppa 2020
2 Sartori Organic Farm Diadema 2020
1 Azienda Agricola Dellafiore Achille Johanniter 2020
  VINI SPUMANTI
classificato Nome azienda Nome vino
Menzione Azienda Agricola Filanda de Boron Lauro 2020
Menzione Cantina Montelliana “4.07”
Menzione Lieselehof Brut 2017
Menzione Tenuta Crodarossa Derù 2020
3 Cantine Umberto Bortolotti Oltre 2018
3 Cantina Sociale di Trento Santacolomba 2019
2 Le Carezze Iris 2020
1 Le Carline Resiliens

 

  VINI BIANCHI
classificato Nome azienda Nome vino
Menzione Azienda Agricola Ceste Franco Ratio 2018
Menzione Terre di Ger Feltro Bianco 2020
Menzione Il Brolo Società Agricola I Cavalieri della seta
Menzione Cantina Kurtatsch Bronner 2020
3 Lieselehof Vino del Passo 2020
3 Villa Persani Aromatta 2019
2 Terre di Ger Arconi Bianco 2020
1 Weingut Plonerhof Solaris 2020

 

  VINI ORANGE
classificato Nome azienda Nome vino
Menzione Azienda Agricola Doladino Sbreg 2020
Menzione Azienda Agricola Filanda de Boron Tre 2019
Menzione Casa Vinicola la Torre Vagabondo Bianco le Anfore 2018
3 Azienda St. Quirinus Planties Amphora 2017
2 Giannitessari Società Agricola Rebellis 2019
1 Lieselehof Julian Orange 2019

 

  VINI ROSSI
classificato Nome azienda Nome vino
Menzione Parco del Venda Cigno nero 2019
Menzione Terre di Ger Caliere rosso 2019
3 Cantina Pizzolato Novello 2021
2 Le Carezze Urano 2019
1 Terre di Ger El Masut 2019

 

  VINCITORE ASSOLUTO
  Nome azienda Nome vino
  Weingut Plonerhof Solaris 2020

Moio e Scienza: «Futuro Piwi nelle Dop Ue passa da ricerca, terroir ed enologia leggera»

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Chianti 2021 sul mercato da gennaio 2022: la richiesta del Consorzio

Il Consorzio di Tutela Vino Chianti chiede alla Regione Toscana di anticipare di due mesi l’immissione sul mercato dell’annata 2021, spostandola al 1 gennaio 2022. Una mossa necessaria, secondo il Consorzio, «per evitare scarsità di prodotto in vendita alla luce del calo della produzione».

L’anticipo di due mesi potrà essere adottato in modo volontario da parte delle aziende, e per quelle produzioni che avranno già acquisito le caratteristiche qualitative previste dal disciplinare di produzione: riguarderebbe anche i vini Chianti delle sottozone e Chianti Superiore.

I primi riscontri provenienti dalle cantine sociali indicano per la vendemmia 2021 perdite dei conferimenti uve fra il 30% e il 35%, a causa della gelata dello scorso aprile, e della siccità patita nei mesi estivi.

Considerato anche il buon andamento delle vendite di Vino Chianti, le giacenze previste per fine 2021 saranno «al livello minimo registrato dal 2005 a oggi». Le uve del Chianti hanno raggiunto quotazioni fra i 90 e i 105 euro al quintale, contro i 55-70 euro del 2020.

«I prezzi sono già aumentati del 25% – spiega il direttore Marco Alessandro Bani – e la domanda continua ad aumentare: non possiamo permetterci di far rimanere il mercato senza prodotto. E non possiamo far uscire il Vino Chianti Dogc dagli scaffali della grande distribuzione, a favore di altre denominazioni concorrenti che vengono commercializzate a prezzi più contenuti.

«Per rientrare sugli scaffali – conclude il dirigente del Consorzio Vino Chianti – occorrerebbero anni e una politica di prezzi al ribasso. Avere un mercato con prezzi fortemente altalenanti non è nell’interesse di nessun attore della nostra filiera, e non è positivo nemmeno per la Denominazione stessa”.

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Moio e Scienza: «Futuro Piwi nelle Dop Ue passa da ricerca, terroir ed enologia leggera»

A partire da gennaio 2022 i vitigni resistenti Piwi potranno essere inseriti nelle Dop del vino dell’Ue. Lo ha ricordato questa mattina il prof Attilio Scienza, in occasione del convegno scientifico organizzato da Fondazione Edmund Mach (Fem) a San Michele all’Adige (TN). Tra gli interventi anche quello del presidente dell’Oiv, il prof Luigi Moio, che ha ricordato come il futuro dei Piwi passi prima tutto dalla loro qualità organolettica, «ovvero dall’esaltazione del terroir, attraverso un’enologia leggera, non invasiva».

L’occasione di abbinare profilo sensoriale e peculiarità “green” dei Pilzwiderstandfähig (letteralmente “viti resistenti ai funghi”) è stata offerta dalle premiazioni della prima rassegna nazionale dei vini ottenuti da varietà resistenti alle malattie fungine (qui i vincitori). Un concorso organizzato proprio da Fem, supportato dal Consorzio Innovazione Vite e dall’associazione Piwi international.

VINI PIWI E DI TERROIR: MOIO INDICA LA STRADA

«Questa data è importante nella storia della viticoltura italiana – ha dichiarato il prof Scienza – perché da questo momento abbiamo tutti molta più fiducia sul fronte del breeding. Anche perché dal primo gennaio 2022 la comunità europea consentirà l’uso dei vitigni resistenti nelle Dop. Responsabili di Consorzio e denominazioni si mettano tutti quanti in linea, per chiedere al Comitato l’inserimento dei vitigni resistenti nei loro vini».

Le sperimentazioni sui Piwi, in corso in Italia, sono dunque a un punto di svolta. «Ma non bisogna perdere di vista l’aspetto olfattivo estetico – ha avvertito il prof Luigi Moio -. Le varie correnti di  cosiddetti “vini veri” e “vini naturali” portano qualcuno a pensare che i difetti non siano più difetti».

Bisogna sempre mantenere e, anzi, amplificare l’identità sensoriale dei vini. Perché il vino è un modello di diversità che la nostra società, spesso votata all’omologazione, si sta imponendo. Il vino è differente da qualsiasi altra bevanda alcolica e dall’identità sensoriale legata al territorio di provenienza passa anche il futuro dei Piwi».

I VITIGNI RESISTENTI ALLA PROVA DEL CALICE

Un percorso non senza ostacoli. «Diversi studi hanno dimostrato che non ci siano grandissime differenze analitiche ed organolettiche tra i vini ottenuti da vitigni resistenti e quelli da varietà classiche», ha sottolineato il prof. Fulvio Mattivi, ordinario di Chimica degli Alimenti all’Università di Trento, in Fondazione Mach dal 1987.

«Di certo – ha aggiunto – non possiamo pretendere adesso dai Piwi lo stesso livello di qualità dato dai vitigni classici, che hanno trovato da centinaia di anni la loro perfetta combinazione con il territorio».

Serve una continua sperimentazione e una stretta collaborazione tra centri di studio europei internazionali, perché è stato dimostrato che i resistenti cambiano drammaticamente profilo anche se spostati di poco, a livello per esempio di altimetria. La crescita dei Piwi ci sarà. Ma non potrà prescindere dalla loro qualità, in quanto vini».

Di rilievo anche un altro punto toccato dal prof Fulvio Mattivi nel suo intervento. «Molti ritengono che i vitigni resistenti alle malattie fungine siano una novità – ha evidenziato – ma già nel 1929 lo studioso Ernest Pée-Laby descrive i patogeni di ben 202 nuovi vitigni.

PIWI, L’AVVERTIMENTO DEL PROF. MATTIVI

Tra questi, quattro sono i principali: peronospora, oidio, antracnosi e marciume nero. Gran parte dei Piwi attuali considerata solo 2 o 3 di questi, non tutti e 4. Va data una risposta completa, perché quando si riesce a portare a zero i trattamenti per peronospora e oidio, grazie alle caratteristiche del genotipo, si rischia l’attacco da parte degli altri due patogeni».

Un aspetto tutt’altro che secondario, se si vuole continuare a considerare i Piwi la risposta “più green” a disposizione della viticoltura del futuro. Un movimento che, tra mille tentennamenti, si allarga in Italia. Con Emilia Romagna, Marche e Abruzzo ultime regioni italiane ad aver autorizzato l’allevamento di alcune varietà resistenti, al momento solo per la produzione di vini da tavola o Igt.

L’avallo dell’Ue, che dal primo gennaio 2022 dà appunto il via libera all’inserimento dei Piwi nei vini Dop, ovvero nelle Denominazione di origine protetta, potrà dare ulteriore slancio alla nicchia. Prima, però, si dovrà passare dal recepimento della direttiva nei disciplinari di produzione. Un percorso che si preannuncia lungo e non privo di (ulteriori) ostacoli.

“Vino naturale? Terroir e ossidazione non possono convivere”. Parola di Luigi Moio

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degustati da noi vini#02

La longevità dei Franciacorta Bèlon du Bèlon: Riserva del Fondatore Pas Dosè 2001 e 2009

Franciacorta Docg Riserva Pas Dosè 2001 e 2009 di Bèlon du Bèlon sono due delle rarità premiate dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it. Solo 1.500 bottiglie per quella che è una chicca assoluta, frutto del millesimo 2001: “merce rara” in Italia, con i suoi 240 mesi sui lieviti (20 anni). Non raggiunge le 3 mila bottiglie (2.900 per l’esattezza) la vendemmia 2009. Altra “Riserva del Fondatore” ed altro pezzo da novanta della cantina di Erbusco guidata da Paolo Perin: 120 mesi sui lieviti, ovvero 10 anni.

LA DEGUSTAZIONE
Franciacorta Docg Riserva Pas Dosè 2001 “Riserva del Fondatore”, Bèlon du Bèlon

A comporre la cuvèe, 90% di Chardonnay accanto a un 10% di Pinot Nero. Un millesimo 2001 che reca sboccatura “novembre 2019”. Il piacere dell’attesa, insomma. Naso correttamente evoluto, che si snoda tra la frutta esotica matura, un’elegantissima speziatura e i ricordi di camomilla e fiori di campo. Si ritrova tutto in un palato ancora vivo, complesso e profondo. Ricordi di miele millefiori e radice di liquirizia connotano una chiusura salina, elegante, lunghissima.

Franciacorta Docg Riserva del Fondatore Pas Dosè 2009 “Riserva del Fondatore”, Bèlon du Bèlon

Stato di forma eccezionale per la cuvée di Chardonnay (90%) e Pinot Nero (10%). È proprio il “Noir” a conferire gran carattere a un nettare che sa farsi ricordare per eleganza, nerbo, cremosità e tensione. Le note dominanti sono quelle di agrumi, che regalano freschezza da vendere a un Franciacorta lungo, sapido, dalla beva irresistibile e di gran gastronomicità. Una luce accesa tra le punte di qualità assoluta della Denominazione bresciana

LA CANTINA

Bèlon du Bèlon è il marchio creato nel 2000 da Paolo Perin, «come espressione della forte passione per i vini di eccellenza». «L’ambizione – spiga Perin – è il cuore dell’impresa. Produrre un vino capace di interpretare al meglio uno dei più ricchi terroir al mondo, lavorando in maniera impeccabile solo le uve migliori». Il tutto, fondendo il sapere della tradizione ereditata dal papà, con le tecniche più innovative.

«Seguo con convinzione ed orgoglio la strada imboccata tanti anni fa da mio padre Umberto – commenta l’imprenditore franciacortino -. I vini d’eccellenza fanno parte del mio vissuto, della mia storia, fin dall’infanzia. Bèlon du Bèlon è il frutto spontaneo del mio percorso di vita. È l’espressione della mia passione per il vino, è il piacere di un’esperienza che si tramanda».

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Dalla Lombardia alla Calabria: i “magnifici sette” nuovi Ristoranti del Buon Ricordo

La Locanda Capolago di Colico (Lecco) e i ristoranti Torcolo di Verona, La Fratta di Verucchio (Rimini), Romanè e Trattoria Santa Pupa di Roma, Al Pescatore di Gallipoli (Lecce), Da Ercole a Crotone. Sono i “magnifici sette” nuovi Ristoranti del Buon Ricordo. Si aggiungeranno, dal 2022, a una lista che comprende in totale 108 locali, di cui 9 all’estero fra Europa e Giappone.

Le new entry dell’Unione Ristoranti del Buon Ricordo, fondata nel 1964 per salvaguardare e valorizzare lo straordinario mosaico delle tradizioni gastronomiche italiane, porteranno con sé altrettante specialità.

LE NUOVE SPECILITÀ DEI RISTORANTI DEL BUON RICORDO
  • Riso e persico, in un raviolo! (Locanda Capolago di Colico)
  • Bollito veronese (Ristorante Torcolo di Verona)
  • Passatelli gratinati con ragù di coniglio, fonduta di formaggio di fossa ed erbette di stagione (Ristorante La Fratta di Verucchio)
  • Pollo alla cacciatora (Ristorante Romanè di Roma)
  • Ravioli d’arzilla alla Vittoria (Trattoria Santa Pupa di Roma)
  • Spaghettone biologico Senatore Cappelli, con tartare di tonno, aglio, capperi e spolverata di bottarga artigianale (Al Pescatore Hotel&Restaurant di Gallipoli)
  • Carbonara pitagorica (Ristorante da Ercole di Crotone)

Lo Statuto del Buon Ricordo prevede che i ristoranti possano cambiare periodicamente la loro specialità. Per il 2022, lo fanno in quattro. Le nuove proposte sono: il Morone al sale, salsa ai limoni nostrani, sfoglie di patate e caviale del Ristorante Manuelina a Recco (Genova).

E ancora: i Ravioli al San Daniele in salsa Montasio del Ristorante Osteria La Pergola a San Daniele Del Friuli (Udine), i Tagliolini al burro delle vacche rosse e culatello di Al Cavallino Bianco a Polesine Zibello (Parma), i Ferrazzuoli alla Nannarella dell’Hostaria Baccofurore 1930 a Furore (Salerno).

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I Chiaretto di Bardolino di Le Fraghe e Guerrieri Rizzardi nell’associazione Rosés de Terroirs

Le Fraghe e Guerrieri Rizzardi sono stati invitati a far parte di Rosés de Terroirs con i loro Chiaretto di Bardolino. Dal gruppo francese arriva così un riconoscimento della valorizzazione dei vini rosé da parte di due cantine italiane. «La sensazione – commenta il presidente del Consorzio di tutela del Chiaretto e del Bardolino, Franco Cristoforetti – è simile a quella che credo abbiano provato i Måneskin, quando sono stati invitati ad aprire il concerto dei Rolling Stones».

Guerrieri Rizzardi, con sede a Bardolino (VR), è guidata dai fratelli Agostino e Giuseppe Rizzardi, quest’ultimo vicepresidente del Consorzio del Chiaretto. Le Fraghe di Cavaion Veronese (VR) è invece la creatura della vignaiola Matilde Poggi, attuale presidente Fivi (Federazione italiana vignaioli indipendenti) e numero uno di Cevi – Confédération Européenne des Vignerons Indépendants, che riunisce e rappresenta i vignaioli indipendenti europei.

Poggi ha partecipato lo scorso 30 novembre alla prima assemblea generale dell’Association Internationale des Rosés de Terroirs, svoltasi a Tavel, cittadina nota per aver dato nome alla prima denominazione di origine al mondo dedicata esclusivamente al rosé, nel 1936. E non è un caso se il Chiaretto di Bardolino 2020 biologico “Rodon” di Le Fraghe sia presente nella Guida Top 100 Migliori vini italiani di WineMag.it, che valorizza proprio i vini di terroir, specie se frutto di parcelle e cru.

«Siamo orgogliosi che il vino rosa del lago di Garda veronese rappresenti il nostro Paese tra i più prestigiosi dei rosé francesi. È il segno ulteriore del successo della nostra denominazione, leader di mercato in Italia», continua il presidente del Consorzio di tutela del Chiaretto e del Bardolino.

Chiaretto di Bardolino: 2021 anno di svolta per il “vino rosa” del Lago di Garda

L’ASSOCIAZIONE ROSÉS DE TERROIRS

L’associazione Rosés de Terroirs è nata dai produttori di Tavel nel 2020. L’idea era quella di fondare un movimento dedicato alla promozione del rosé di territorio, concretizzatasi nella primavera di quest’anno. «Il rosé – spiega la coordinatrice del gruppo, Sandra Gay-Moulines – è ormai diventato uno stile di vino a sé stante, ma deve ancora farsi spazio nel mondo dei vini di terroir. I rosé di terroir esistono, ma la loro visibilità e la loro valorizzazione rimangono insufficienti».

L’obiettivo dell’associazione è dunque quello di «accelerare il riconoscimento dei rosé di terroir in Francia e nel mondo». E di «sviluppare un vero e proprio segmento di mercato dedicato a questo tipo di rosé». Vini caratterizzati, come il Chiaretto di Bardolino, da una profonda radice storica e da una fortissima identità territoriale, sottolineata anche dall’immenso lavoro compiuto dal Consorzio con l’individuazione delle tre sottozone del Bardolino, il rosso di casa gardesana.

Presidente dell’associazione Rosés de Terroirs è Guillaume Demoulin di Château de Trinquevedel, celebre produttore di Tavel, mentre il vicepresidente è Etienne Portalis di Château Pradeaux, uno dei nomi più conosciuti della denominazione di origine del Bandol, in Provenza.

Tra i fondatori del sodalizio compaiono aziende famosissime del rosé francese, come Château de Pibarnon, La Bastide Blanche, Domaine La Suffrène, Domaine de Terrebrune, Château de Roquefort. Ora ne fanno parte anche Le Fraghe e Guerrieri Rizzardi, con il Chiaretto di Bardolino a fare da capofila degli storici vini rosati italiani di territorio. La prima uscita pubblica avverrà a Wine Paris & Vinexpo Paris 2022, in programma a Parigi dal 14 al 16 febbraio.

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Vendemmia e raccolta mele: un’azienda su quattro con lavoratori in nero in provincia di Bolzano

Un’azienda su quattro ricorre a lavoratori in nero in vendemmia e nella raccolta delle mele in provincia di Bolzano. Una media che imbarazza l’Alto Adige, in seguito ad oltre 100 controlli svolti dai Reparti della Guardia di Finanza. Ben 70 i lavoratori irregolarmente impiegati, dei quali 52 completamente “in nero”.

Tra questi diversi italiani, ma anche rumeni, bulgari, polacchi, slovacchi e, in misura minore, africani, asiatici, albanesi e pakistani. È stato anche accertato l’impiego irregolare di 6 braccianti privi del permesso di soggiorno. Dunque di clandestini presenti sul territorio nazionale, impiegati nei campi e nei vigneti della provincia di Bolzano.

I datori di lavoro sono stati denunciati alla Procura della Repubblica di Bolzano. Le pene prevedono la reclusione da 6 mesi a tre anni, con multa di 5 mila euro per ogni lavoratore impiegato. La mancata comunicazione preventiva all’Ispettorato del Lavoro, prevede inoltre l‘applicazione della cosiddetta “Maxisanzione”, che oscilla da un minimo di 1.800 a un massimo di 43.200 euro per ciascun lavoratore irregolare, in base ai giorni di effettivo impiego.

Solo in un caso emerso durante i controlli in vendemmia e nella raccolta delle mele in provincia di Bolzano l’irregolarità ha riguardato la mancata comunicazione all’Inps dell’impiego di una bracciante agricola. La donna era impiegata senza l’utilizzo del cosiddetto “Libretto Famiglia”, che deve essere attivato nei casi di prestazioni lavorative svolte in modo sporadico e saltuario. La sanzione amministrativa varia nello specifico da 500 a 2.500 euro per ogni prestazione lavorativa giornaliera.

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Vitigni autoctoni della Toscana: via libera al Nocchianello Nero riscoperto da Sassotondo

Una vecchia vigna, quella del “San Lorenzo”. Una famiglia di vignaioli toscani, il duo Benini-Ventimiglia, in arte Sassotondo. Una scoperta, dettata dalla cocciutaggine di chi vuole valorizzare la tradizione. Ed avere sottomano la carta d’identità di ogni granello di terra che calpesta; di ogni foglia di vite dalla quale produce vino.

Rinasce così o, meglio, viene riscoperto così il Nocchianello Nero, tra i vitigni autoctoni della Toscana dalle maggiori potenzialità. Ne è riprova Monte Rosso, una delle chicche prodotte da Sassotondo tra le colline di tufo di Sovana e Pitigliano.

Siamo in provincia di Grosseto, in Maremma. Così come cantina e bottaia sono scavate nella roccia vulcanica, Carla Benini e il marito Edoardo Ventimiglia hanno “scavato” nel Dna di quelle piante rinvenute a macchia di leopardo nel vecchio vigneto del loro Ciliegiolo di punta, il San Lorenzo.

Grazie alle analisi, hanno scoperto che si trattava proprio del Nocchianello. In realtà “famiglia di vitigni”, sia bianchi che rossi, citati per la prima volta nel 1975, in una ricerca dei professori Scalabrelli e Grasselli.

IL NOCCHIANELLO VERSO LA CONSACRAZIONE

Oggi, i suoi primi interpreti sono pronti a scrivere nuove pagine dell’autoctono toscano. Regione Toscana ha dato il via libera al vitigno mediante il decreto n. 491 del 18 gennaio 2018, recependo l’iscrizione nel Registro nazionale delle varietà di vite avvenuta il 2/11/2017 (G.U. n°256). Nelle ultime settimane anche Artea, l’Azienda Regionale Toscana per le erogazioni in agricoltura, ha inserito il Nocchianello Nero (e Bianco) in elenco.

Un provvedimento che permetterà a chiunque di poterne riportare il nome in etichetta. Non senza strascichi polemici. «Finalmente il vitigno è stato iscritto – commenta Ventimiglia – ma le segnalazioni e richieste ripetute ad Artea negli ultimi 3 anni, guarda caso, hanno dato i loro frutti solo a fronte dell’interessamento degli organi di stampa. Che si tratti di poche bottiglie non può essere una scusante».

«Tralasciando la burocrazia e concentrandoci sul vitigno – spiegano Carla Benini e il marito – l’uva che regala è molto bella, pruinosa, resistente e croccante. Buono l’accumulo di zuccheri, con l’acidità che rimane ragionevole. In vinificazione non c’è molta cessione di colore. Abbiamo fatto piccole vinificazioni a partire dal 2011, la più interessante nel 2015. Un’annata benedetta dal clima, che ci ha dato quantità e qualità mai più ritrovate negli anni successivi. Fino al 2019».

L’ultima annata di Monterosso è stata infatti premiata dalle degustazioni alla cieca di WineMag.it, con l’inserimento nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022. Un riconoscimento all’eccellenza del calice, innanzitutto. Ma anche un premio alla testardaggine di Sassotondo. «Abbiamo riportato alla coltivazione il Nocchianello nel 2010 – ricordano Benini e Ventimiglia – ben consapevoli che si trattasse di un vitigno totalmente autoctono, senza alcuna parentela genetica con vitigni conosciuti».

Oltre che da qualche vecchia pianta ritrovata nella Vigna San Lorenzo, insieme al nostro vecchio Ciliegiolo, siamo ricorsi alla collezione del Crea di Arezzo, che lo aveva a suo tempo recuperato dai vecchi vigneti della zona, innestandolo su qualche filare».

IL NOCCHIANELLO MATURA DOPO IL SANGIOVESE

«È un vitigno che, negli ambienti di origine, ovvero nei magri tufi di Pitigliano – continuano i patron di Sassotondo – ha caratteristiche agronomiche piuttosto diverse rispetto alle fertili piane aretine, dove si trova la collezione del Crea di Arezzo. Il grappolo è piuttosto piccolo e mediamente compatto. La fertilità delle gemme basali non è alta. L’acino è duro e occupato da semi piuttosto grossi. Forse da qui il nome “Nocchianello”: da “nocchia”, ovvero “nocciola”».

Una varietà vigorosa, che ha le carte in regola per resistere piuttosto bene alle principali malattie della vite. La foglia spessa ricorda la foglia del fico. I tralci crescono e si allungano molto, come le pianta da pergola. L’uva matura tardivamente, almeno 10 giorni dopo il Sangiovese.

«Un aspetto – precisano Benini e Ventimiglia – che può essere interessante in queste situazioni di clima impazzito, con anticipo della maturazione generalizzato. La possibilità di avere una vite che matura l’uva con temperature non eccessive, teoricamente, permette una migliore espressione degli aromi». Dalla teoria alla pratica il passaggio è breve a Sassotondo, cantina certificata biologica dal 1994 che, dal 2007, ha introdotto alcune pratiche di viticoltura biodinamica. Il Nocchianello, da queste parti, è in buone mani.

LA DEGUSTAZIONE
Toscana Igt 2019 Monterosso, Sassotondo (dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it)

Nocchianello Nero in purezza. Nel calice si presenta di un rosso rubino luminoso, mediamente penetrabile. Al naso, l’ampio ventaglio di spezie (netto il pepe) e le precisissime percezioni vegetali (radice di liquirizia, accenni di muschio) stuzzicano un frutto rosso di croccante maturità. Un quadro che si ripresenta in maniera del tutto corrispondente al palato, trascinato da un torrente di vulcanica sapidità.

Non a caso il vino è stato dedicato da Carla Benini ed Edoardo Ventimiglia all’omonimo “Monte Rosso”, parte del complesso vulcanico dei Monti Vulsini. I vigneti di Sovana ne riflettono perfettamente le caratteristiche, attraverso un vino che rende onore all’antico vitigno delle città del tufo.

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Cotarella nel triumvirato che guida l’Union Internationale des Oenologues

Rinnovate le cariche dell’Union Internationale des Oenologues (Uioe), si allarga la co-presidenza: ai confermati Riccardo Cotarella (Italia), e Serge Dubois (Francia), si è aggiunto lo spagnolo Jordi Santiago . L’assemblea generale dell’Uiœ – che raggruppa e rappresenta a livello mondiale le associazioni nazionali professionali dei tecnici del settore vitivinicolo con sede a Parigi – si è svolta lo scorso 25 novembre 2021 presso la sede di Assoenologi a Milano. Un appuntamento in presenza che ha visto la partecipazione di 18 delegati, giunti da diversi Paesi del mondo e ha portato al rinnovo di tutte le cariche associative.

Accanto ai tre co-presidenti lavoreranno, come vicepresidenti, il francese Pierre Luis Teissedre e l’italiano Emilio Renato Defilippi. Il tedesco Edmund Diesler è stato eletto segretario generale, mentre la svizzera Simone De Montmollin tesoriere. Due i revisori contabili: Richard Bastien (Canada) e Reinhard Eder (Austria).

LA NUOVA GUIDA DELL’UNION INTERNATIONALE DES OENOLOGUES

L’assemblea è stata l’occasione per ribadire la grande collaborazione tra i Paesi e il sostegno reciproco tra le singole associazioni. Totale è stata l’intesa sulle principali tematiche affrontate e sugli specifici gruppi di lavoro, a iniziare dalla riforma dello Statuto per una maggiore rappresentatività e coinvolgimento delle associazioni non composte da enologi. Inoltre, si è ritenuto opportuno avviare un processo che porti alla valorizzazione dei giovani con una commissione ad hoc.

Attenzione è stata posta anche ai concorsi enologici mondiali, dove si ritiene utile avere un rappresentante dell’Union Internationale des Oenologues ,«così da garantire il rispetto delle norme». Rafforzare la comunicazione è un’altra delle decisioni assunte dall’assemblea.

NOVITÀ ANCHE SUL FRONTE DELLA COMUNICAZIONE DELL’UIOE

Allo scopo è stata creata una commissione presieduta da Riccardo Cotarella, che avrà l’importante compito di promuovere l’attività dell’Union attraverso il restyling del sito internet, le piattaforme social e anche scambio di articoli tra le varie riviste nazionali.

Tra le decisioni assunte anche quelle di nominare Paolo Brogioni, attuale direttore di Assoenologi, membro della commissione tecnica dell’Union. Tra i nomi nuovi anche Andrea Zanni, quale giovane coordinatore dell’Associazione giovani enologi italiani, membro della Commissione giovani internazionale.

Infine, sono stati nominati i delegati Uioe anche all’interno delle Commissioni dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (Oiv). L’assemblea generale dell’Union Internationale des Oenologues tornerà a riunirsi in Spagna, in occasione del concorso enologico in Galizia dal 27 al 30 aprile 2022.

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Rinviato il 75° Congresso nazionale di Assoenologi di Verona

Il 75° Congresso nazionale di Assoenologi è stato rimandato al 2022. A confermarlo è lo stesso organismo presieduto da Riccardo Cotarella (nella foto). «L’appuntamento annuale degli enologi enotecnici italiani, annunciato per i giorni del 3, 4 e 5 dicembre prossimi, seppur con tanto dispiacere, è stato rinviato a marzo 2022», riferisce una nota.

La difficile decisione – si legge ancora – è stata all’unanimità assunta dal Cda di Assoenologi, dettata dall’inasprirsi della situazione pandemica, che non permetterebbe di vivere in tranquillità un evento così particolare come la annuale assise degli enologi ed enotecnici italiani».

«Stiamo lavorando sulle date del 4, 5 e 6 marzo – si affretta a precisare il presidente Cotarella – nella speranza di poter vivere tranquillamente e in sicurezza questo evento festoso, che segna anche i 130 anni della nostra associazione».

Il programma del 75° Congresso di Assoenologi sarà quindi riproposto «quasi fedelmente» a marzo, sempre a Veronafiere, con la presenza dei ministri Patuanelli, Garavaglia e Brunetta e i numerosi relatori. Rinviata, dunque, anche la festa (con cena di gala) prevista per i 130 anni dell’associazione e annunciata solo pochi giorni fa.

130 anni di Assoenologi: festa grande a Verona durante il Congresso

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Riapre la storica Caffetteria Vergnano di Chieri

Riapre la storica Caffetteria Vergnano di Chieri, punto di riferimento nella centralissima via Vittorio Emanuele II, 32. Il primo dicembre, dopo quasi due anni di chiusura dovuta alla pandemia Covid-19 il locale riapre le sue porte negli stessi luoghi dove la storia della famiglia Vergnano affonda le sue radici.

La riapertura sarà prevista negli stessi locali in cui tutto ebbe inizio, nel comune di 35 mila abitanti alle porte di Torino, in Piemonte. L’ennesima testimonianza di quanto la storia di Caffè Vergnano sia da sempre sinonimo di tradizione, italianità, passione e famiglia. Nonché dell’importanza di “tenersi strette” le proprie radici, ora più che mai.

RINNOVATI GLI AMBIENTI DELLA CAFFETTERIA VERGNANO DI CHIERI

La caffetteria di Chieri conserva ancora la storica tostatrice, in grado di offrire sul momento un’esperienza unica a tutti i c0ffee lovers. Gli ambienti rinnovati faranno da contorno al gusto dell’autentico caffè: lo stesso da 140 anni.

La dirigenza considera la riapertura della storica Caffetteria Vergano di Chieri «un forte segnale di ripresa per il mondo della torrefazione e del lavoro, mettendo sempre al centro il caffè, fil rouge che abbraccia famiglie, baristi, dipendenti dell’azienda, clienti e consumatori».

LA STORIA DI CAFFÈ VERGNANO

Caffè Vergnano è la più antica torrefazione italiana a livello nazionale. Fondata nel 1882 e ancora oggi guidata dalla famiglia, da quasi 140 anni racconta il rito dell’autentico espresso italiano portando in una tazzina profumi e aromi di tutto il mondo.

Il segreto delle miscele è la tostatura, lenta e tradizionale che valorizza ogni singola origine, nel rispetto della materia prima. Le miscele Caffè Vergnano si trovano nella grande distribuzione, nei migliori bar e negli oltre 160 Caffè Vergnano 1882, la catena di caffetterie all’italiana presente in tutto il mondo.

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Gerardo Cesari, nuova cantina per Amarone e Ripasso in Valpolicella Classica

Nuova cantina a Fumane per Gerardo Cesari, storica azienda veronese fondata nel 1936 e dal 2014 di proprietà del Gruppo Caviro. Il nuovo stabilimento si trova nel cuore della Valpolicella Classica ed è dedicato all’appassimento, alla pigiatura e alla fermentazione dell’Amarone e del Ripasso. Il tutto grazie a un investimento di circa 20 milioni di euro, che consentirà di raggiungere un volume produttivo di 4 milioni di bottiglie all’anno.

I lavori di costruzione sono cominciati quattro anni fa. Nella prima fase è stato realizzato un fruttaio all’avanguardia, tra i più grandi della Valpolicella, dotato di avanzate tecnologie di controllo dell’umidità che incanalano l’aria naturale della valle per massimizzare la qualità dell’appassimento delle uve.

Al fruttaio sono state poi affiancate una cantina di vinificazione, per poter vinificare direttamente in loco e una cantina di stoccaggio interrata, in grado di ospitare fino a 5 annate di Amarone. Completano la struttura un magazzino di imbottigliamento, due sale degustazione e un negozio, progettato e arredato con gli elementi distintivi che richiamano il territorio, come gli espositori semicircolari in legno e ferro, che ricordano l’Arena di Verona.

L’INAUGURAZIONE DELLA NUOVA CANTINA GERARDO CESARI

A tagliare il nastro oggi alle ore 11.00 è stato il Sottosegretario al Ministero delle Politiche Agricole Gian Marco Centinaio, accompagnato dal Presidente di Alleanza Cooperative Agroalimentari Giorgio Mercuri, dal Presidente del Consorzio Valpolicella Christian Marchesini.

«La nuova Cantina di Fumane – ha dichiarato – unisce insieme la tradizione e l’innovazione. Un esempio di come si possa coniugare la sostenibilità ambientale con quella economica, con un’attenzione anche al paesaggio dal punto di vista estetico e architettonico.

L’importante investimento di questa storica azienda non potrà che consolidare la sua posizione in Italia e all’estero, contribuendo a promuovere il Made in Italy di qualità in tutto il mondo e a far conoscere sempre di più i vini pregiati di Verona e della Valpolicella. Al contempo rappresenta una nuova opportunità dal punto di vista occupazionale e dell’indotto del territorio».

«La Nuova Cantina Gerardo Cesari – ha aggiunto Carlo Dalmonte, presidente Gruppo Caviro – rappresenta prima di tutto un atto di fiducia verso il futuro, il territorio e le persone. Il Gruppo ha deciso di investire 20 milioni di euro.

«Un impegno significativo dunque – ha aggiunto il numero uno di Caviro – per realizzare un progetto all’avanguardia perfettamente integrato nel cuore della Valpolicella che ponesse al centro la qualità dei prodotti firmati Cesari nel pieno rispetto delle risorse e dell’ambiente. Sostenibilità e valorizzazione di ciò che proviene dalla terra, ecco i grandi pilastri su cui si regge la nostra struttura».

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Esteri - News & Wine

Wine Australia: due nuovi direttori per fronteggiare il «momento critico»

Due nuovi direttori sono stati nominati nel consiglio di Wine Australia fino al 30 settembre 2024. Lo annuncia il governo, attraverso il ministro dell’Agricoltura e dell’Australia settentrionale, il deputato David Littleproud. Due le nuove figure, John Lloyd e Justin Brown, che si uniranno ai direttori riconfermati Cath Oates, Catherine Cooper, Frances-Anne Keeler e Mitchell Taylor in un «momento critico» per il vino australiano.

«In questo periodo particolare – commenta Michele Allan, presidente del consiglio di amministrazione di Wine Australia – queste sei nomine combinano le competenze necessarie per rappresentare i bisogni e gli interessi del nostro settore».

IL NUOVO CDA DI WINE AUSTRALIA

Dalla sua base nel New South Wales, John Lloyd è stato per 10 anni amministratore delegato di Horticulture Innovation Australia, guidando il dipartimento di ricerca di marketing verso «grandi cambiamenti e una crescita enorme», ha sottolineato Allan a proposito di una delle due new entry.

«Justin Brown, dall’Australian Capital Territory – ha aggiunto il presidente del Cda di Wine Australia – ha una vasta esperienza di mercato, in particolare nelle negoziazioni, avendo perseguito, protetto e promosso numerose opportunità di accesso per l’industria australiana».

Il Cda si concentrerà ora sul posizionamento del settore in termini di crescita e redditività, sulla diversificazione del mercato e su modalità innovative che aiutino ad affrontare le sfide quotidiane, dalla vigna alla cantina. In uscita da Wine Australia gli ex direttori Brian Croser e Mary Retallack, cui va il ringraziamento «per il loro inestimabile contributo negli ultimi sei anni».

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degustati da noi vini#02

Vini dolci per Natale? Gli Sciacchetrà da Top 100 WM 2022 di Heydi Bonanini (Agricola Possa)

«Dove le rocce, il sole, il mare e il vento creano un intreccio magico di colori e profumi» si trova l’Azienda agricola Possa di Heydi Bonanini. Siamo alle Cinque Terre, angolo della Liguria che regala due vini dolci – o, meglio, due Sciacchetrà – perfetti per Natale 2021, direttamente dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it.

Cinque Terre Dop Sciacchetrà 2019, Azienda Agricola Possa, Heydi Bonanini

Naso delizioso, goloso, tra frutta matura (dattero in gran vista), bergamotto, rosmarino. Un’esplosione della macchia mediterranea nel calice. L’ossigenazione libera note di curry e curcuma e intensifica la succosità materica del frutto.

Ci vorrebbe un libro intero per raccontare come questo nettare-capolavoro guadagna in complessità col passare dei minuti nel calice. Non resta che assaggiarlo, concedendosi un regalo (in più) in occasione di Natale 2021. Uno di quei vini, lo Sciacchetrà di Possa, da condividere solo con chi se lo merita davvero.


Cinque Terre Dop Riserva Sciacchetrà 2017, Azienda Agricola Possa – Heydi Bonanini

Frutta secca, sotto sciroppo e terziari si dividono la posta, al naso, in un quadro di grazia assoluta. Giusto il tempo di portare lo Sciacchetrà di Possa alla bocca, per comprendere quanto possa essere lunga una carezza d’albicocca, vaniglia, caramella mou e fondo di caffè.

Chiudi gli occhi e una brezza gentile, di mare, sfiora le labbra. Gran beva. Non è un vino ma il mare, ovunque si voglia. Un nettare più forte del traffico delle metropoli. Una finestra sui terrazzamenti eroici della splendida Liguria. Delle splendide Cinque Terre.

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