La Ministra Bellanova ha firmato il Decreto che destina 5 milioni di euro per la copertura, totale o parziale, dei costi degli interessi maturati nel 2019 sui mutui bancari contratti entro 31 dicembre 2018 dalle imprese del settore oleario.
“Con questo Decreto – dice la Ministra Bellanova – vogliamo contribuire con ulteriori risorse alla ristrutturazione del settore oleario, anche alla luce delle condizioni di particolare criticità produttive e per rilancio della produttività e della competitività”.
“Rispondiamo alle difficoltà che la filiera agroalimentare sta affrontando con un solo obiettivo strategico: mettere in sicurezza l’intera filiera e ogni singolo segmento, condividendo con l’intero settore anche le modalità attuative delle misure quanto a semplificazione e sburocratizzazione perché ogni provvedimento sia capace di rispondere sempre più e meglio alle esigenze e difficoltà specifiche”.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
La Ministra Bellanova ha firmato il Decreto che destina 5 milioni di euro per la copertura, totale o parziale, dei costi degli interessi maturati nel 2019 sui mutui bancari contratti entro 31 dicembre 2018 dalle imprese del settore oleario.
«Con questo Decreto – dice la Ministra Bellanova – vogliamo contribuire con ulteriori risorse alla ristrutturazione del settore oleario, anche alla luce delle condizioni di particolare criticità produttive e per rilancio della produttività e della competitività».
«Rispondiamo alle difficoltà che la filiera agroalimentare sta affrontando con un solo obiettivo strategico: mettere in sicurezza l’intera filiera e ogni singolo segmento, condividendo con l’intero settore anche le modalità attuative delle misure quanto a semplificazione e sburocratizzazione perché ogni provvedimento sia capace di rispondere sempre più e meglio alle esigenze e difficoltà specifiche».
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Vino, formaggi, olio extravergine. E ancora: tartufi bianchi, zafferano, aglione, salumi e carne di bue chianino. I tesori della Val d’Orcia, in particolare quelli della Doc Orcia, oltre a Chianti e Igt prodotti nei Comuni di Pienza e Trequanda, sono a rischio svalutazione per la possibilità che venga costruita una discarica al centro dell’area di produzione della denominazione.
Qualcosa di simile a quanto già realizzato in una nota area vinicola internazionale come l’Aube (nella foto sopra), situata a un’ora e mezza da Parigi e famosa per la produzione di pregiati Champagne (7500 ettari che costituiscono il 22% della Denominazione). La capacità del deposito francese è di un milione di metri cubi.
Secondo Sogin – società di Stato interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze incaricata del decommissioning degli impianti nucleari e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi prodotti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare – la Val d’Orcia avrebbe le caratteristiche ideali per la realizzazione di uno dei 23 siti di smaltimento in programma.
La reazione dei produttori dell’Orcia Doc è decisa: «I territori dei grandi vini della Val d’Orcia non accettano e non accetteranno mai infrastrutture che danneggiano l’ambiente, il paesaggio e l’economia».
Il no è «fermissimo»: «Nessuna discarica, insediamento inquinante, edificazione ad alto impatto visivo può essere costruito in un’area che tutti, cittadini, istituzioni e imprese contribuiscono a salvaguardare con impegno e sacrificio».
Uno sforzo che dura da decenni ed ha contribuito, in modo rilevante, a preservare il patrimonio di cultura, ambiente e bellezza creato nei secoli, un capolavoro che il mondo conosce e ammira. Una cornice intatta che accresce l’immagine internazionale e il valore commerciale di eccellenze enogastronomiche prodotte nello stesso comprensorio».
La posizione unanime del Consiglio di Amministrazione del Consorzio di tutela del Vino Orcia, fa eco all’opinione negativa espressa da tutte le istituzioni toscane. La richiesta è di escludere il territorio dell’Orcia dall’elenco. Promettendo, in caso contrario, una durissima opposizione.
«Sbalordisce e indigna l’idea di individuare nel territorio della Doc Orcia, dove c’è il paesaggio agricolo più preservato e bello del mondo, una qualsiasi forma di discarica» dice la Presidente del Consorzio del Vino Orcia, Donatella Cinelli Colombini,
«La Val d’Orcia è iscritta dal 2004 nel patrimonio dell’Umanità Unesco grazie all’integrità di un contesto storico, culturale e ambientale di enorme pregio. Nel 2018 la campagna introno a Trequanda ha ricevuto dal Ministero delle Politiche Agricole MIPAAF il riconoscimento di ‘Paesaggio rurale storico della Toscana’».
Poco distanti dalla località scelta per depositare rifiuti si trovano alcuni dei luoghi icona della compagna toscana, così come i “set” dove sono stati girati i film “Il paziente inglese” e “Il gladiatore“.
«Un’integrità – continua il Consorzio vini Doc Orcia – che tutti hanno contribuito a preservare assoggettandosi a norme di tutela rigidissime. Vincoli che hanno preservato la miracolosa armonia fa fra storia, natura e lavoro dell’uomo che dura da secoli ed è stata cantata da poeta Mario Luzi».
Una sensibilità talmente accentuata che, nel 2007, il progetto di un gruppo di nuove abitazioni, nei pressi di Pienza, scatenò un autentico putiferio per cui non fu realizzato.
Per questo i produttori Orcia Doc sono sbalorditi e indignati che nel territorio di produzione della loro denominazione ci sia uno dei 23 siti italiani considerati idonei da SOGIN per ospitare un nuovo insediamento largo 178 ettari di cui 110 destinati a ospitare le 90 costruzioni in calcestruzzo che racchiuderanno 78 mila metri cubi di rifiuti.
Eppure, secondo Sogin, «la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI), ovvero il progetto preliminare e tutti i documenti correlati alla realizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e del Parco Tecnologico, permetterà di sistemare in via definitiva i rifiuti radioattivi italiani di bassa e media attività».
TUTTE LE AREE INDIVIDUATE DA SOGIN IN ITALIA
PIEMONTE: Otto zone tra le province di Torino e Alessandria (Comuni di Caluso, Mazzè, Rondissone, Carmagnola, Alessandria, Quargento, Bosco Marengo)
TOSCANA E LAZIO: Ventiquattro zone tra le province di Siena, Grosseto e Viterbo (Comuni di Pienza, Campagnatico, Ischia e Montalto di Castro, Canino, Tuscania, Tarquinia, Vignanello, Gallese, Corchiano)
BASILICATA-PUGLIA: Diciassette zone tra le province di Potenza, Matera, Bari, Taranto (comuni di Genzano, Irsina, Acerenza, Oppido Lucano, Gravina, Altamura, Matera, Laterza, Bernalda, Montalbano, Montescaglioso)
SARDEGNA: Quattordici aree tra le zone in provincia di Oristano (Siapiccia, Albagiara, Assolo, Usellus, Mogorella, Villa Sant’Antonio, Nuragus, Nurri, Genuri, Setzu, Turri, Pauli Arbarei, Ortacesus, Guasila, Segariu, Villamar, Gergei)
SICILIA: Quattro aree nelle province di Trapani, Palermo, Caltanissetta (Comuni di Trapani, Calatafimi, Segesta, Castellana, Petralia, Butera).
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il 2021 si apre con una una notizia che stimola la curiosità degli amanti della birra: è prevista per la seconda metà di gennaio l’esordio sul mercato di Sinergia ’21, la prima birra trappista nata dalla sinergia di tre differenti monasteri.
Sinergia ’21 sarà infatti una Dubbel frutto della collaborazione tra il birrificio dell’Abbazia delle Tre Fontane (Roma) ed i due storici nomi del mondo trappista belga Westmalle e Rochefort la cui produzione avverrà presso l’impianto del complesso badiale italiano.
Si preannuncia come una birra molto vicina allo stile Dubbel tradizionale, forse lo stile più iconico per le trappiste, ma in cui saranno riconoscibili i tratti caratteristici dei tre birrifici.
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Solo bottiglie numerate e solo vini della Valpolicella. La filosofia produttiva della cantina Rubinelli Vajol è tangibile, certa, verificabile come un calcolo matematico. E si riflette su tutti i vini ottenuti dai vitigni autoctoni Corvina, Corvinone, Rondinella, Molinara e Oseleta. Come sul Valpolicella Doc classico 2019.
LA DEGUSTAZIONE
Risplende di un rosso rubino psichedelico il calice che ospita quello che, per molte cantine della zona, è il cosiddetto “vino base” o “d’entrata” della linea. Eppure di elementare o basico, qui, non c’è proprio nulla.
Non è scontata la riscontrabile trasparenza cromatica del nettare, nel contesto di una Denominazione che non disdegna la produzione di massa e la conseguente uniformità visiva, prim’ancora che olfattiva e gustativa.
Dopo il colore è il naso a convincere, fungendo da navigatore come saprebbe fare neppure Google Maps: narici-Valpolicella in Porsche, zero cento in 3 secondi. Senza deviazioni o pit-stop.
Altrettanto immediata la riconoscibilità e tipicità al gusto del Valpolicella Doc Classico 2019 Rubinelli Vajol. Si ripresentano eleganti note fruttate di ribes, lampone, di una maturità perfetta; ben attorniate da sbuffi di spezia nera, come pepe e ginepro.
In chiusura, composte note di chiodo di garofano donano ulteriore freschezza al vino, contribuendo a un finale asciutto, capace di chiamare in maniera irresistibile il sorso successivo e ricordare la matrice “povera” del terreno.
Vino “glu glu” per antonomasia, si abbina bene al frigorifero, d’estate. Ma è perfetto in ogni stagione, in accompagnamento all’antipasto, ai salumi, o a piatti non troppo strutturati a base di carne. Sorprende la vena “bardoliniana” di questo Valpolicella Doc Classico, che sin dal descritto colore chiama l’abbinamento col pesce.
LA VINIFICAZIONE
L’uvaggio è composto al 45% da Corvina e completato dal 35% Corvinone, 15% Rondinella e 5% Molinara, allevate a Pergola veronese e Guyot. Le piante affondano le radici in terreni di natura calcarea, tufacea e argillosa.
Le uve vengono raccolte a settembre e immediatamente pigiate. Fermentazione e macerazione avvengono in acciaio inox per 8-10 giorni, a temperatura controllata. Per l’affinamento del Valpolicella Doc Classico 2019, Rubinelli Vajol ha scelto ancora i serbatoi d’acciaio.
Prima della commercializzazione, la scelta degli enologi Gianmaria Ciman, Enrico Nicolis e Filippo Cengiarotti è quella di far riposare il vino in bottiglia, nella fresca e buia cantina scavata nel tufo, sotto la collina del Vajol che dà il nome all’azienda.
La cantina Rubinelli Vajol, con sede a di San Pietro in Cariano (VR), è stata inserita proprio con il Valpolicella Doc Classico 2019 nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2021 edita con cadenza annuale da WineMag.it.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Tra gli ultimi atti dell’amministrazione Trump sarà ricordata la cancellazione dello Champagne dalla lista dei prodotti sottoposti a dazi aggiuntivi, in risposta all’applicazione della Francia della cosiddetta “Digital Tax” che colpisce colossi americani del web come Google, Facebook, Amazon e Apple.
Oltre ai pregiati spumanti, salvi anche altri beni di lusso Made in France. Quello ufficializzato martedì dall’Ustr è in realtà un rinvio delle tariffs che sarebbero dovute entrare in vigore mercoledì 6 gennaio 2021. E l’Italia? Anche Roma è interessata dalla temporanea tregua diplomatica.
Eppure Confagricoltura avverte: «L’indagine avviata dall’Amministrazione Usa nel giugno 2020 sulle disposizioni contenute all’articolo 1, paragrafo 678 della legge italiana n. 160 del 27 dicembre 2019 (Legge di Bilancio 2020) stabilisce che la tassa sui servizi digitali varata dall’Italia è contraria ai principi prevalenti nella tassazione a carattere internazionale e discrimina le imprese degli Stati Uniti d’America».
In attesa di una decisione condivisa in ambito Ocse, è stata disposta una tassa con un’aliquota del 3% sui ricavi dell’anno precedente sulle grandi imprese digitali con un fatturato globale di almeno 750 milioni e incassi on line in Italia di 5,5 milioni di euro.
Per il momento – sottolinea il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – non è previsto il varo di misure di ritorsione, ma nel comunicato dell’Ufficio del Rappresentante Usa per i negoziati commerciali (Ustr) diffuso il 6 gennaio scorso si precisa che tutte le possibili opzioni restano aperte. Compresa l’imposizione di dazi aggiuntivi sulle esportazioni agroalimentari del nostro Paese».
Sempre secondo Giansanti «vanno assunte tutte le iniziative per evitare un contenzioso diretto tra Italia e Stati Uniti, che andrebbe ad aggiungersi a quelli già in atto a livello europeo. Gli Stati Uniti sono il primo mercato di sbocco fuori dalla Ue per il Made in Italy agroalimentare, con un fatturato annuale che sfiora i 5 miliardi di euro. In particolare, siamo i primi fornitori di vini sul mercato statunitense».
Nel complesso, le esportazioni italiane si attestano attorno a 45,5 miliardi. Da ottobre 2019, nel quadro del contenzioso sugli aiuti pubblici ai gruppi Airbus e Boeing, sono in vigore dazi aggiuntivi Usa su alcuni prodotti agroalimentari esportati dalla Ue.
Per l’Italia i dazi aggiuntivi, pari al 25% del valore, colpiscono formaggi, tra cui Parmigiano Reggiano e Grana Padano, agrumi, salumi e liquori per un controvalore di circa 500 milioni di euro.
«Ci auguriamo che con l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca possa ripartire la collaborazione tra Stati Uniti e Unione europea per mettere fine ai contenziosi bilaterali e per rilanciare il sistema multilaterale di gestione del commercio internazionale, grazie anche a una profonda riforma del WTO. Le intese commerciali – conclude Giansanti – sono sempre la soluzione migliore rispetto ai dazi e alle misure di ritorsione».
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Passa dai social agli studi legali la guerra tra associazioni della sommellerie italiana. Fisar ha dato mandato allo studio legale dell’avvocato Andrea Duretti di Ghezzanno (PI) di inviare una lettera di diffida alla Scuola italiana sommelier presieduta da Nicola Ferrazzano.
La Federazione italiana Sommelier, Albergatori e Ristoratori chiede la rimozione del post che pubblicizza il terzo livello del corso, in cui viene citata appunto la Fisar, oltre ad Ais (Associazione italian sommelier).
«Scrivo la presente su incarico di Fisar in relazione alla pubblicazione apparsa su un vostro canale social ove si legge: “Corso online per sommelier professionale di 3° livello in 8 lezioni per chi ha già frequentato il 1° e 2° livello Ais o Fisar”».
Si precisa che il marchio Fisar è un marchio registrato e viepiù che nessuna autorizzazione è stata concessa da Fisar alla Vostra scuola al fine di utilizzare, per proprio profitto, il marchio Fisar e/o comunque la denominazione della società da me rappresentata»
«Premesso quanto sopra, ad ogni effetto di legge e segnatamente al fine di interrompere la prescrizione, sono con la presente ad intimare la immediata rimozione di qualsiasi riferimento a Fisar nei vostri post o attività promozionali. Il tutto con riserva di adire competenti autorità al fine di vedere tutelati i diritti della Fisar da Voi violati mediante l’inserzione citata», conclude l’avvocato della Federazione.
Di tutta risposta, Ferrazzano ha pubblicato sui social la lettera dell’avvocato, citando nuovamente il «Corso online per sommelier professionale di 3° livello anche per chi ha già frequentato il 1° e 2° Livello Ais o Fisar o Fis o Aspi». E aggiungendo un sintetico: «Voi cosa ne pensate??». Fuochi d’artificio in ritardo per il 2021 della sommellerie italiana.
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Diventare sommelier dalla vasca da bagno, sorseggiando un calice di vino recapitato a casa in delivery e seguendo le lezioni online, dal proprio smartphone, tablet o computer portatile. Tra le bolle di sapone. Un sogno? Non più, forse. Non a caso ha scatenato un polverone l’iniziativa della Scuola Italiana Sommelier.
La pubblicità di un corso online a prezzi popolari e fortemente concorrenziali rispetto a quelli “canonici”, ha causato la reazione di diversi rappresentanti delle altre compagini della sommellerie, tirate in ballo senza giri di parole.
Le lezioni, infatti, sono riservate a chi ha già conseguito l’attestato del I e II livello in associazioni come Ais, Fisar e Fis. Senza bisogno di alcun “test d’ingresso” o verifica ulteriore delle competenze già date per acquisite.
Nell’occhio del ciclone è finito così Nicola Ferrazzano, presidente nazionale della Scuola Italiana Sommelier e ancor più l’uomo che rischia di passare alla storia – perdonino i renziani, ancor più in tempi di paventate crisi di Governo – come il “Rottamatore” della Sommellerie italiana.
«Lungaggini e prezzi esagerati e ingiustificati degli altri corsi», i fili conduttori della filippica renziana, pardon “ferrazziana”. Insomma, poco da star sereni. La filosofia della Sis pare chiara e sintetica, per arrivare presto al risultato.
Il terzo livello del «Corso online per sommelier professionale» ha un costo di 320 euro, «tutto compreso». Il corsista riceve a casa «16 bottiglie di vino, libri di testo, un tastevin, una cravatta o foulard di pura seta e un kit di 9 sentori». Data di inizio fissata per le ore 20.30 di lunedì 18 gennaio. Dove? Dove vi pare. Purché il WiFi sia stabile.
Il 4 gennaio, l’Associazione italiana sommelier (Ais) si è affrettata a precisare sui propri canali social che «i corsi di 1°, 2° e 3° livello già programmati nel 2021 saranno nuovamente calendarizzati e pubblicati appena possibile», rimandando ai delegati provinciali per ulteriori informazioni: «Sono a vostra disposizione».
Lo stesso giorno, Fisar ha lanciato la campagna tesseramenti 2021: «Entra nella famiglia Fisar e scopri un mondo di eventi, degustazioni, corsi e contenuti. Scopri come tesserarti», il messaggio affidato a Facebook, seguito dagli binomio di hastag ufficiali: #NoiFisar, #GetFisar. Insomma, acque agitate in vista dell’auspicabile ripartenza dei corsi “in presenza” interrotti a causa di Covid-19.
Presidente Nicola Ferrazzano, è ormai consapevole di aver sollevato un polverone promuovendo un “corso online” per diventare sommelier. Qual è il suo punto di vista e cosa ha spinto la Scuola italiana sommelier a promuovere corsi online per il terzo livello, invitando allievi di altre associazioni?
Debbo fare una doverosa premessa per far meglio comprendere tutte le mie argomentazioni. La nostra associazione è l’unica che ha nel proprio nome uno specifico riferimento alla didattica: infatti siamo la Scuola Italiana Sommelier. Le altre sono Associazioni o Federazioni o Fondazioni che contengono solo un significato di aggregazione e non di istruzione.
La Scuola Italiana Sommelier non pone barriere, non crea ostacoli agli appartenenti di altre associazioni, ma accetta indistintamente chiunque voglia farne parte a prescindere dalla provenienza o appartenenza.
Noi promuoviamo Corsi di 1°, 2° e 3° Livello e i nostri Corsi, come precisato prima, sono aperti agli appartenenti di qualsiasi associazione senza l’obbligo di iniziare dal primo livello solo per questioni economiche.
Gli argomenti di base sul vino sono sempre quelli, sempre gli stessi, uguali per tutte le associazioni. Basta confrontare i programmi. Ben vengano, quindi, ai nostri Corsi anche gli iscritti di altre associazioni. La pubblicità e la concorrenza sono l’anima dello sviluppo, anche economico.
Si potrebbe pensare che vogliate “sfruttare” le difficoltà del momento delle altre associazioni, i cui corsi sono “fermi” a causa dell’emergenza Covid-19
Perché sfruttare le difficoltà del momento? Il Corso di 3° Livello è regolarmente programmato da mesi dopo aver svolto il 1° e il 2° Livello. È da anni che svolgiamo la doppia attività didattica in aula e online.
Se gli altri hanno fermato la loro attività in aula (come abbiamo fatto anche noi) senza l’alternativa della didattica online non è colpa nostra. Anzi ciò amplifica il nostro merito nel rispetto dei vari Dpcm per aver continuato la formazione didattica a distanza.
Noi rappresentiamo il futuro. I nostri Corsi online non sono più facili, ma sono solo più comodi e più accessibili in tutte le parti d’Italia, d’Europa e nel Mondo. Abbiamo studenti italiani dalla Danimarca, Germania, Inghilterra, Romania e persino dall’Australia.
Come è nata la Scuola italiana sommelier?
Dopo aver conosciuto nei minimi dettagli l’attività delle altre associazioni frequentando i loro Corsi (Sommelier Ais, Sommelier Fisar, Master Sommelier Fis) abbiamo creato con un gruppo di amici, il 30 maggio 2017, la Scuola Italiana Sommelier in alternativa alle altre esistenti con lo scopo di eliminare le lezioni superflue di un Corso che contribuivano solo ad allungare il percorso per meri scopi economici e commerciali.
Più sono le lezioni svolte (circa 15 -17 per livello) e più saranno i costi a carico degli iscritti. Un costo di € 600/700 per livello (pari a € 1800-2100 complessivi) non è più accettabile. Come non è più accettabile un Corso che duri 2 o tre anni.
Solo tre esempi di lezioni superflue: che senso ha fare una lezione di due ore solo sulla tecnica della degustazione visiva oppure una lezione sull’abbinamento cibo vino dedicata interamente alle uova e alle salse. oppure un’intera lezione dedicata alle insalate, all’olio e all’aceto? I nostri Corsi sono più essenziali e senza fronzoli.
Quanti iscritti conta la Scuola, ad oggi, e in quali regioni?
Le nostre sedi fisse sono a Genova, Brescia, Verona, Roma, Palermo, Cosenza e Bari. Online, invece, non abbiamo confini inviando direttamente a casa degli allievi ben 50 bottiglie di vino da 750 cl, 27 sentori per allenare l’olfatto, libri di testo, la Tavola degli Aromi, i Colori del Vino.
Quanti iscritti ai nostri 12 Corsi? Mi lasci dire con orgoglio: migliaia di iscritti all’anno, anche per i nostri bassi costi. Prezzi popolari per una cultura a portata di tutti.
Dal punto di vista burocratico e ufficiale, la Scuola italiana sommelier opera alla stessa maniera degli altri “enti” e associazioni di formazione?
La nostra tipologia, con codice fiscale e codice Ateco, è la stessa di tutte le associazioni, come previsto dalla legge. Ma badi bene, perché quello che sto per dirle ora farà scalpore, ma servirà a fare chiarezza. Tutte le altre associazioni (Ais, Fisar, Fis) aggiungono in calce ai loro Attestati (non diplomi) la seguente dicitura: “Riconoscimento giuridico con decreto n…”.
Questa dicitura è solo uno “specchio per le allodole”, in quanto farebbe intendere che l’Attestato abbia un qualche riconoscimento giuridico. Alcune loro pubblicità recitano addirittura così: “Corsi legalmente riconosciuti dalla Presidenza della Repubblica Italiana”.
Questa dicitura è assolutamente ingannevole, in quanto non esiste alcun attestato da sommelier che sia mai stato “legalmente riconosciuto dalla Presidenza della Repubblica”. Come mai? E cos’è allora il riconoscimento giuridico?
Il “riconoscimento giuridico” di un’Associazione attiene solo al “conseguimento della personalità giuridica patrimoniale”, attraverso l’iscrizione nel relativo registro presso le prefetture che altro non è, appunto, che una mera garanzia patrimoniale dell’associazione, con il deposito di circa 80-100.000 euro accettato dallo Stato con relativo decreto. La Prefettura di Genova, per esempio, chiede il deposito di € 80.000.
Quindi, nulla a che vedere con la ventilata “validità giuridica dell’attestato”, che non esiste per nessuno. Il riconoscimento giuridico di un’associazione attiene solo al patrimonio e non conferisce alcuna valenza aggiuntiva all’attestato. Nulla ha a che vedere con la capacità professionale o didattica dell’associazione stessa. Morale: nessun attestato di Sommelier ha il riconoscimento giuridico.
Qual è la sua professione?
Sono un imprenditore in pensione, laureato in Scienze Geologiche, ex dirigente di azienda, stella di bronzo al merito sportivo del Coni, Presidente Nazionale della Commissione Gare della Fitet (Federazione Italiana Tennistavolo).
Per passione Degustatore Onav, Sommelier Ais, Sommelier Fisar, Direttore di Corso Fisar, e Master Sommelier Fis, con l’incarico di Presidente Regionale Fis Liguria. Ideatore e titolare della Collana Vinario e autore del Manuale Pratico per il Novello Sommelier, della Tavola degli Aromi e di Liguria, tutti i vini in rassegna.
Il suo incarico di presidente nazionale della Scuola italiana sommelier è in palese contrasto con gli statuti di alcune delle associazioni da lei menzionate, se non altro in termini di concorrenza diretta. Nessuna di queste ha avviato procedimenti come ammonizioni, sospensioni o proceduto all’espulsione nei suoi confronti?
In realtà mi hanno espulso da tutte queste associazioni private perché se uno fa parte di un’altra associazione non può più farne parte. Che assurdità. Vorrebbero considerare la tessera culturale come l’appartenenza ad un partito politico.
Ma qui casca l’asino: non è che uno è Sommelier Ais o Fisar solo sino a quando paghi la quota sociale, si è Sommelier Ais o Fisar a vita, a prescindere dal rinnovo o meno della tassa annuale, perché quest’attestato lo hai ottenuto dopo aver pagato 1800 euro e superato un esame finale.
È solo una gabola per farti continuare a pagare la quota associativa. Il titolo non decade mai. Alle associazioni conviene far credere questo solo per continuare ad introitare le quote di iscrizioni annuali. Ad onor del vero solo Fis e Sis (Scuola Italiana Sommelier) rilasciano l’attestato di “Sommelier per Sempre”.
Nella sua opinione, cosa manca alla sommellerie “tradizionale” e in che modo la sua iniziativa creerebbe “valore aggiunto” al settore e non ulteriore confusione tra chi vuole avvicinarsi?
La nascita di nuove Associazioni culturali non crea mai confusione, al contrario amplia il panorama delle opportunità. È la paura del nuovo, la paura di perdere consensi che blocca l’evoluzione delle “vecchie” associazioni tradizionali.
Col passare del tempo il termine Sommelier, che identificava per antonomasia l’esperto del vino, ha oggi subito, in positivo, una contaminazione culturale con la nascita del Sommelier dell’Olio, della Birra, del Tè e persino dell’Acqua Minerale.
Qual è il nostro valore aggiunto? L’essenzialità dei nostri Corsi senza fronzoli ma soprattutto l’utilizzo della didattica a distanza che consente di portare la nostra cultura ovunque, specie nei piccoli paesi che mai avrebbero potuto partecipare ad un Corso per Sommelier.
Abbiamo Chef stellati che si iscrivono ai nostri Corsi così come proprietari di Cantine, di frantoi per i Corsi di Sommelier dell’Olio, di negozianti che non avrebbero avuto il tempo di partecipare se non attraverso i nostri Corsi online.
La nostra intuizione è stata l’arma vincente ovvero quella di spedire direttamente a casa le bottiglie di vino o i vari Kit di degustazione per far seguire rigorosamente in diretta (mai nulla di registrato) le nostre lezioni degustando tutti lo stesso identico prodotto.
Un ulteriore ed importante valore aggiunto è il riconoscimento della validità della didattica svolta dalle altre associazioni concorrenti (Ais, Fisar, Fis, Aspi, Onav) che consentono agli allievi di continuare e terminare un percorso iniziato anche presso altre associazioni senza dover iniziare tutto daccapo per meri scopi economici.
Termino dicendo che tutti i nostri Docenti sono Sommelier di rango, con grande esperienza alle spalle, che ci consentono di proporre corsi per Sommelier del Vino, dell’Olio, della Birra, del Tè, del Caffè, del Cioccolato, del Miele, dei Distillati, del Sakè, dell’Aceto, dell’Acqua Minerale e Mixology.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Fresca, beverina, immediata e con la vena amarognola tipica del suo stile. La Ipa, Italian Pale Ale, di Birra del Borgo non tradisce le aspettative e si conferma una birra quotidiana e regolarmente reperibile nelle maggiori insegne Gdo.
LA DEGUSTAZIONE
Di colore dorato carico con schiuma fine, bianca e soffice. Al naso giungono immediati profumi di agrumi freschi, figli dell’abbondante luppolatura, e note di frutta gialla. Di corpo snello in bocca è incredibilmente scorrevole, quasi sfuggente. Il finale, non lunghissimo, gioca sull’amaro del luppolo ed un leggero sentore di resina.
Una birra che fa della leggerezza e facilità di beva la propria chiave di lettura. Soli 4% e corpo sottile, contornati dall’amaro aromatico tipo dello stile, la rendono compagna ideale di bevute spensierate.
BIRRA DEL BORGO
Il Birrificio artigianale Birra del Borgo nasce nel 2005 a Borgorose (Ri), nella riserva naturale dei monti della Duchessa, per volere di Leonardo di Vincenzo. Una crescita continua tanto in fama quanto in produzione che porta all’apertura di un nuovo birrificio nel 2009 ed alla riconversione del vecchio impianto in laboratorio sperimentale.
Fama e qualità che non passano inosservati, tant’è che nel 2016 AB Inbev, la più grande multinazionale della birra, acquisisce Birra del Borgo con una clamorosa operazione di mercato. A fronte dell’acquisizione Birra del Borgo non può più fregiarsi del titolo di “Birra Artigianale”, pur mantenendo la propria indipendenza stilistica.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Le chilocalorie (Kcal) sull’etichetta del vino e degli alcolici, oltre a nuove possibili indicazioni nutrizionali, sono uno dei temi caldi del 2021 per i prodotti agroalimentari. Non solo nell’Unione europea, ma in giro per il mondo.
Di fatto, a indicare sulla bottiglia livelli calorici del vino italiano c’è già l’insegna britannica Tesco, presente con i suoi supermercati e ipermercati nel Regno Unito e in Paesi come Irlanda, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, nonché in Asia.
Tra i produttori italiani coinvolti ci sono “big” come Cavit e Fratelli Martini, che realizzano anche alcuni vini della linea a marchio privato “Tesco Finest“, avviata con successo circa 20 anni fa dal colosso britannico del retail.
Si apprende così che il Pinot Grigio Vigneti delle Dolomiti Igt 2019 Blush (12,5 % alcol in vol.) registra “Typical values per 100 ml Energy 284 kJ / 69 Kcal”, e “355 kJ / 86 Kcal” per un calice da 125 ml glass.
Le stesse del Prosecco Doc Vino Spumante Brut “Dino” (11 % alcol in vol.): “Typical values per 100 ml: Energy 285 kJ / 69 Kcal; per 125 ml glass: Energy 356 kJ / 86 Kcal”, si legge sulla retro etichetta.
Prodotti simili recano le medesime indicazioni. Il Côtes de Provence Rosé 2018 (12,5 % alcol in vol.), per esempio, ha “typical values per 100 ml Energy 286 kJ / 69 Kcal; per 125 ml glass: Energy 357 kJ / 86 Kcal”.
Si sale, invece, con il Riesling Mosel Steillage 2018 (12,5 % alcol in vol.): “Typical values per 100 ml: Energy 292 kJ / 70 kcal; per 125 ml glass: Energy 357 kJ / 86 Kcal”. A incidere su questi risultati sono due fattori: la percentuale d’alcol in volume (circa 7 calorie per grammo) e il residuo zuccherino (circa 4).
Un argomento affrontato in Italia senza remore dalla Famiglia Cecchi, che sul proprio sito web fornisce la formula esatta per il calcolo delle calorie del vino: «Considerando che un bicchiere di vino ha una capienza di 150 ml, se vogliamo calcolare le calorie che assumiamo bevendo un vino di 13°, avremo: 0,15 x 13 x 7,9 x 7 = 107 calorie».
Ma poi avverte: «Adesso che sapete calcolare le calorie nel vino, dimenticatevi tutto! Non ha senso farsi del male mentre si beve una buona bottiglia di vino con gli amici». Molto più pragmatica di Cecchi e già prontissima a cavalcare l’onda “no kcal” del vino è La Gioiosa, azienda di Crocetta del Montello, in provincia di Treviso.
La cantina veneta vende negli Uk una versione “light” – oltre che vegan – del Prosecco Doc: 11% d’alcol in volume e un contenuto e tenore inferiore alle 63 chilocalorie per un calice da 100 ml. Il tutto ben indicato in etichetta, sotto al logo della cantina e alla Denominazione di origine controllata, la cui scritta è più piccola della “K” di “kcal” (evidenziata in grassetto).
Dal canto suo Tesco, come molte insegne della Grande distribuzione internazionale, è invece piuttosto vaga e approssimativa nel fornire informazioni sulle proprie logiche di prodotto e di marketing.
«Le bottiglie di vino importate nel Regno Unito e presenti sui nostri scaffali – riferisce l’ufficio stampa britannico a WineMag.it dopo parecchie insistenze – riportano l’etichettatura valevole negli Uk. In Tesco, la salute dei nostri clienti è estremamente importante: vogliamo aiutarli a compiere scelte consapevoli su cibo e bevande che consumano».
Una ricerca ha suggerito che molte persone nel Regno Unito non sono consapevoli del contenuto calorico dell’alcol, tuttavia si stima che rappresenti quasi il 10% delle calorie consumate da coloro che bevono alcolici».
La scelta di adottare l’etichettatura energetica su vino e alcolici è dunque dell’insegna. «Lo abbiamo fatto in linea con il nostro obiettivo di aiutare i clienti a fare le scelte giuste», continua Tesco. A compiere le analisi su chilocalorie e chilojoule sono i produttori, ad eccezione dei vini della marca privata “Finest”, per i quali provvede lo stesso retailer.
Un esempio seguito anche da discount come Aldi, che anzi hanno rincarato la dose. Nel 2017, infatti la catena presente dal 2018 in Italia ha lanciato “Featherweight“, letteralmente “Peso piuma”.
Si tratta di una linea di “vini” dal basso tenore alcolico (5,5%) e calorico (la media è di 50 chilocalorie a bicchiere, circa la metà dei vini tradizionali) per il mercato britannico e irlandese: Sauvignon Blanc, Pinot Grigio, Zinfandel bianco e Merlot. Il prezzo? 4,49 euro.
Intanto, associazioni come Coldiretti invitano a non abbassare la guardia sul fronte dei risvolti sull’agroalimentare. «Circa l’85% in valore del Made in Italy a denominazione di origine, Dop e Igp, è messo a rischio dalla proposta di nuovi sistemi di etichettatura», denuncia il presidente Ettore Prandini.
Etichettature come la nutriscore francese, così come quella a semaforo adottata in Gran Bretagna influenzano il consumatore, attraverso con un bel verde, a scegliere prodotti con ingredienti di sintesi e a basso costo spacciandoli per più salutari».
Non si parla di vino, ma dal formaggio alle chilocalorie del calice il passo è più breve di quello che potrebbe sembrare. «Tra le proposte in discussione – ammonisce Prandini – ci sono sistemi fuorvianti, discriminatori e incompleti, che finiscono per escludere paradossalmente dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole. per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta».
Insomma, avanti di questo passo, l’Europa rischia di mettere sempre più in tavola prodotti di gomma, spacciati per salutari. E brindare a Coca Cola e Sprite, invece di Champagne e Franciacorta. Dal vetro alla plastica. Cin, cin.
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Il 2020, l’annus horribilis della ristorazione italiana, si è chiuso con 37,7 miliardi di euro di perdite, circa il 40% dell’intero fatturato annuo del settore andato in fumo. Per questo la Fipe – Confcommercio, Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, insieme alle principali sigle sindacali del Commercio e del Turismo, Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, ha scritto al Ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, chiedendo un incontro urgente.
La ristorazione italiana – dichiara Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe-Confcommercio – non ha pace: ogni volta che si avvicina la scadenza delle misure restrittive, ne vengono annunciate di nuove e si riparte da zero. Così anche il primo provvedimento del 2021 ha disposto la chiusura di bar e ristoranti nei fine settimana, lasciando gli imprenditori nell’incertezza dall’11 gennaio in poi, con i danni e le distorsioni che ne conseguono”.
Chiediamo a Governo e Comitato Tecnico Scientifico di dare prospettive diverse, più certe ma anche più motivanti, ad un settore che ha pagato un prezzo altissimo, ma soprattutto che ha già dimostrato di poter lavorare in totale sicurezza».
L’incontro, richiesto al ministro Patuanelli allo scopo di elaborare un piano organico di interventi per le imprese e i lavoratori dei Pubblici Esercizi per poter programmare una riapertura in sicurezza dei locali, avrà come punto di partenza i conti di fine anno elaborati dall’Ufficio Studi di Fipe, che mostrano come il colpo più duro al settore sia arrivato dalle chiusure di novembre e dicembre.
Storicamente, nel periodo delle festività dicembrine per una parte rilevante dei locali si arriva a generare fino al 20% del fatturato annuo: nel quarto trimestre 2020, invece, le perdite registrate hanno superato i 14 miliardi di euro, con un meno 57,1% dei ricavi, peggio ancora di quello che era successo nel secondo trimestre, quello del primo lockdown.
Questa fine anno ha di fatto vanificato gli sforzi estivi che pure avevano portato ad un contenimento delle perdite in alcune aree turistiche del Paese. Le grandi città, ed in particolare le città d’arte, dove ha pesato di più l’assenza del turismo internazionale, non hanno invece beneficiato nemmeno della tregua estiva, registrando perdite complessivamente superiori all’80%.
«Non è più accettabile – prosegue Stoppani – che i pubblici esercizi, insieme a pochi altri settori, siano i soli a farsi carico dell’azione di contrasto alla pandemia, richiesti di un sacrificio sociale non giustificato dai dati e non accompagnato da adeguate e proporzionate misure compensative».
«È indubbio – conclude – che per uscire da questa crisi ci sia bisogno del contributo di tutti, ma proprio per questo non si può imputare sulle spalle sempre delle stesse categorie il peso del contenimento della pandemia, affossando nel frattempo un settore strategico per l’economia del Paese e per la vita quotidiana delle persone».
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Ha effetto dal primo gennaio 2021 l’abolizione dei dazi sui vini italiani ed europei in Ucraina. L’annuncio arriva dal Dipartimento per il commercio internazionale e la cooperazione economica e l’integrazione europea, organismo che risponde al Ministero per lo Sviluppo economico, del Commercio e dell’Agricoltura guidato da Igor Rostislavovich Petrashko.
Lo scorso anno, l’ex Repubblica sovietica ha importato vino per un valore di circa 147 milioni di dollari dall’Unione europea. I dazi all’importazione erano compresi tra 0,3 e 0,4 euro al litro.
La loro eliminazione è la ciliegina sulla torta – in ambito vitivinicolo – degli accordi politici e commerciali dell’Ucraina con l’Ue. Un percorso avviato a tutto tondo nel 2014 e divenuto effettivo nel 2017, non senza ostacoli. Di fatto, Kiev ha così segnato in maniera ancora più profonda il solco con la Russia.
L’agreement con Bruxelles liberalizza gradualmente il commercio, consentendo l’accesso illimitato ai 500 milioni di consumatori del blocco, il mercato unico più grande e ricco del mondo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
L’ultimo vino bevuto prima del ricovero all’ospedale di Borgosesia, Corrado Pasqualin, sommelier e docente Fisar, se lo ricorda benissimo: «Un Tenuta Guado al Tasso del 2000, niente male direi». Sorride, il 53enne della provincia di Vercelli, oggi che «il peggio è passato» e «la strada verso la completa guarigione dal Covid è ormai in discesa».
«Spero nei prossimi giorni di riuscire finalmente a ritornare a casa e riabbracciare mia moglie Monica e la mia figlia 20enne Giulia, che non vedo da parecchio tempo», ammette. «La sensazione è ancora quella di un senso di svuotamento, unita alla consapevolezza che tutto può succedere a tutti: nessuno è intoccabile».
Guardando i notiziari è tanta la tristezza e la superficialità con cui la situazione della pandemia viene affrontata. Alla stragrande maggioranza della popolazione sembra più stare a cuore la movida e fare shopping che non preservare la propria salute. Sono favorevole al vaccino, mi sembra sia una delle poche armi che abbiamo a disposizione per difenderci».
In attesa del primo tampone negativo, Corrado Pasqualin non può fare a meno che ripensare al calvario iniziato poco prima di Natale 2020. «Ho scoperto di essere positivo il 19 dicembre – racconta – a seguito di un tampone molecolare. Il mio sospetto è nato alcuni giorni prima, per presenza di una leggera febbre”.
Lo stesso giorno, il sommelier Fisar vercellese è stato ricoverato all’ospedale Santi Pietro e Paolo di Borgosesia, il comune in cui vive con la famiglia, cittadina a metà strada tra Varese e Biella, a cavallo tra Lombardia e Piemonte.
«I medici mi hanno messo subito in terapia intensiva – spiega – intuendo che la situazione sarebbe peggiorata. Dopo febbre e spossatezza, non avrei mai immaginato di finire in poco tempo in una situazione davvero angosciante, che in alcuni momenti mi ha fatto anche pensare al peggio».
Ora sono in via di guarigione, ma i primi giorni di ricovero mi hanno obbligato ad indossare un casco con supporto di ossigeno. Ho passato 7 giorni senza mangiare, bevendo acqua tramite cannuccia ovviamente con il supporto del personale ospedaliero. Un’esperienza terribile e disarmante».
«La terapia mi ha messo in difficoltà dal punto di vista psicologico – racconta ancora il sommelier Fisar – poi il quadro clinico fortunatamente è migliorato, con diminuzione progressiva della quantità di ossigeno».
Con i medici, Pasqualin ha stretto «un rapporto umano» che definisce senza mezzi termini «incredibile». «Ci tengo a ringraziare di cuore tutto il personale dell’ospedale di Borgosesia che si è adoperato nella mia assistenza in condizioni, credetemi, davvero difficili, mettendomi sempre in una posizione psicologica favorevole».
Quella del 53enne vercellese è una vita ormai cambiata per sempre, a causa del Covid-19. «Il lungo periodo in ospedale – spiega – mi ha portato a riflettere su come è sottile il filo che ci lega a questa vita terrena e ai nostri cari, la famiglia, gli amici. Adesso credo di avere riscoperto e riassaporato alcuni valori importanti della vita».
Tra i vizi (e le virtù) a cui ha dovuto rinunciare durante la degenza, come nella più scontata delle attese per un sommelier che sta affrontando il Covid, c’è anche quello di un buon calice di vino.
«Devo dire che in questi ultimi giorni la voglia di bere un buon bicchiere è tanta – ammette Pasqualin – personalmente sono di larghe vedute e bevo un po’ di tutto, anche se sono particolarmente legato al vitigno della mia zona: il Nebbiolo. Il primo calice mi concederò? Un bel Metodo classico, ne ho la cantina piena! Cosa di meglio per festeggiare alla salute?».
In attesa del «momento fatidico» del primo tampone negativo, utile a mettere la parola fine al ricovero in ospedale, al 53enne sommelier resta una consolazione: «Fortunatamente il Covid non mi ha causato la perdita di gusto e olfatto – dichiara sollevato – addirittura alcuni giorni prima del ricovero ho condotto delle lezioni Fisar in via telematica, senza nessun problema in fase di degustazione». Un motivo in più per brindare. Al più presto.
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Capita, di rado in verità, di scoprire vini che paiono libri. Li versi nel calice. E sembrano sussurrarti all’orecchio una storia. Un aneddoto segreto, che si svela piano. Sarà forse per quel nome a metà tra la realtà e la fantasia, ma è l’effetto che fanno i Chianti Classico e il Sangiovese di Podere Scheggiolla. Manuali di una filosofia che fa del distacco dal giudizio tecnico il motivo – supremo, altissimo, rivoluzionario – per cercare la perfezione artigianale.
E come ogni antico manuale che si rispetti, non può mancare il bigino. “LP01 Esordio” è il vino che racconta, in poche righe (pardon, “sorsi”), l’evoluzione dell’approccio alla viticoltura di Luciano Pagni e Maria Rosaria Guarini, giunti nel 2000 sui dolci colli toscani di Castelnuovo Berardenga (SI).
Un’etichetta che «nasce da un’urgenza ribelle». Quella di «liberare il nostro vino dal confine dei confronti». «Per noi, enoici amanti del vino – spiega la coppia– ‘LP01’ è il legame con chi lo sceglie, per raccontarci l’emozione». «Si astenga chi ricerca il virtuosismo tecnico e il giudizio supremo», il premuroso avvertimento.
Abbiamo ascoltato la natura imparando ad usare le sue parole e la sua sintassi, ascoltato la forza e le vibrazioni di una terra madre roboante e generosa e, infine, condiviso questa attesa. La condivisione avviene ogni giorno, con chi arriva qui, in questo ‘piccolo stivale’ nello stivale. Con chi beve brindando alla vita. Con chi riconosce questo percorso bevendo nel silenzio il nostro vino e ascoltando».
Una “filosofia” che prende vita tra le 7500 viti di Podere Scheggiolla, nome che deriva dall’omonimo torrente che scroscia poco lontano dalla tenuta, situata a 300 metri sul livello del mare. Radici ben solide le loro, aggrappate a una terra ricca di scheletro, tanto cara all’uva quanto all’ulivo.
«Forse i “grandi progetti”, saggiamente interpretati, aiutano a salvare i nostri cuori, ma in genere i risultati importanti si ottengono con la pazienza delle piccole cose, – sostengono Luciano Pagni e Maria Rosaria Guarini – percorrendo sentieri che passano per il “bello”. Per arrivare ad un obbiettivo, magari senza nemmeno dichiararlo, si deve però cominciare ascoltando. E abbiamo ascoltato». Ecco, forse, perché certi vini sanno di libri.
LA DEGUSTAZIONE
Rosso Toscana Igt 2018 “Lelle”, Podere Scheggiolla: 91/100 La vinificazione in solo acciaio chiarisce l’obiettivo, ancor prima di stappare la bottiglia. Un’esplosione di fiori e frutto, tannino elegantissimo. Beva agile, generosa, quasi “pericolosa”.
Toscana Igt 2015 “LP01 Esordio”, Podere Scheggiolla: 95/100
Il rosso impenetrabile preannuncia tanto la generosità del nettare, quanto la necessità (quasi una preghiera, annegata ma presente sul fondo di quel colore scuro) di saperlo attendere. Un vino che chiede tempo, ma che è in grado di ripagare ogni centesimo di secondo a chi si accosta alla degustazione senza fretta.
Trae in inganno con un naso subito intenso di frutta, che solo l’ossigenazione rende ricco e variegato. Stesso discorso vale per un palato abbondante in ingresso, più per il peso che per l’estensione. Dargli qualche giro di lancetta è un esercizio che ne sgranchisce l’opulenza, riequilibrando il nettare a suon di freschezza e complessità.
Chianti classico Docg Riserva 2012, Podere Scheggiolla: 93/100
Rubino luminoso. Naso ampio, generoso, fresco, balsamico. Si spazia da una ciliegia grondante di succo al muschio, dalla castagna cotta al fungo fresco. Frutti di bosco, ribes, fragolina, marasca, ma anche l’agrume rosso maturo. Una nota ferrosa, sanguigna, unita alla viola mammola.
L’ossigenazione ancora una volta è una preziosa alleata, che libera risvolti umami. Ingresso di bocca denso ma teso, con allungo immediato sul frutto e sul balsamico. Tannino setoso ma presente, in una chiusura dominata dal frutto e dalla spezia, in particolare da ritorni di marasca e pepe nero.
Chianti classico Docg 2013 Gran Selezione, Podere Scheggiolla: 96/100
Si tratta di un cru di solo Sangiovese, frutto di 3 mila viti presenti in una vigna di 1 ettaro e mezzo. Un Chianti classico Gran Selezione che si distingue per opulenza, struttura e concentrazione degli aromi.
Il tutto senza la minima sbavatura e nel segno della consueta precisione, vero tratto distintivo di Podere Scheggiolla. Sorprende, infine, per la prontezza di beva complessiva, data dall’equilibrio perfetto tra le componenti, nonché per le ottime prospettive di ulteriore affinamento, più che mai positivo.
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«I prodotti agroalimentari italiani non sono toccati dalla nuova decisione Usa riguardante i dazi importazioni dalla Ue. Tariffe aggiuntive saranno invece applicate su alcuni vini fermi e liquori in arrivo da Francia e Germania». È quanto precisa Confagricoltura in riferimento all’annuncio, da parte dell’Ufficio del Rappresentante per il commercio internazionale (Ustr) dell’ulteriore sviluppo del contenzioso sugli aiuti pubblici ai gruppi Airbus e Boeing.
Secondo l’amministrazione statunitense, l’Unione europea ha scelto un “metodo ingiusto” per calcolare i dazi sull’import dagli USA in vigore dallo scorso novembre per un ammontare di 4 miliardi di dollari in linea con l’autorizzazione accordata a settembre dall’Organizzazione mondiale del commercio (Wto).
In sostanza, sono stati utilizzati i dati commerciali più recenti che hanno risentito delle conseguenze economiche della pandemia. In questo modo, i dazi aggiuntivi UE sono stati applicati su un numero maggiore di prodotti in arrivo dagli Stati Uniti.
La Commissione europea si è rifiutata di rivedere il metodo di calcolo. Pertanto gli Usa hanno deciso di rivedere i dazi doganali in vigore, utilizzando gli stessi riferimenti temporali scelti dalla Ue.
«Vanno eliminate le tariffe doganali che incidono sulle nostre esportazioni di formaggi, tra cui Parmigiano Reggiano e Grana Padano, salumi, agrumi e liquori per un controvalore di circa 500 milioni di euro», sottolinea il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti.
La nuova fase politica che sta per partire negli Usa – prosegue – offre anche l’occasione per far ripartire il dialogo bilaterale sul rilancio del sistema multilaterale di gestione del commercio internazionale.
Dalle prime indicazioni programmatiche risulta che il presidente eletto Biden intenda ridare un ruolo centrale al commercio internazionale delle materie prime agricole».
Dall’ottobre 2019 gli Stati Uniti applicano una tariffa aggiuntiva del 25% sulle importazioni agroalimentari dalla UE. Anche a seguito dei dazi aggiuntivi, da gennaio ad agosto di quest’anno le esportazioni della UE hanno fatto registrare un calo di oltre 690 milioni di euro sullo stesso periodo del 2019.
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Bruxelles non è sola nella battaglia alle tariffs aggiuntive imposte dagli Stati Uniti, in risposta alla controversia Airbus-Boeing. E gli alleati sono proprio all’ombra della Casa Bianca. Attraverso una lettera inviata al neo presidente Joe Biden, duemila chef e ristoratori di tutti gli Stati americani chiedono al Governo Usa di «eliminare i dazi sul vino europeo».
Si tratta della prima delle azioni della neonata Coalition to Stop Restaurant Tariffs, che si batte non solo per il vino ma tutti i prodotti agroalimentari sottoposti a dazi doganali dall’ormai ex presidente Donald Trump.
A capo della “coalizione” ci sono nomi noti della ristorazione americana come Daniel Boulud, Chris Bianco, Nina Compton, Mark Firth, Andrew Fortgang, Thomas Keller, Cheetie Kumar, Mike Lata, Neal mccarthy, Danny Meyer, Kwame Onwuachi, Steven Satterfield, Chris Shepherd, Alice Waters, nonché Mashama Bailey & Johno Morisano. Una battaglia sostenuta dall’Us Wine Trade Alliance (Uswta).
L’associazione guidata da Benjamin Aneff (nella foto sotto) raccoglie importatori, grossisti, agenti di vendita, ristoranti e produttori di vino americani e ha già ottenuto l’appoggio del Washington Post, che attraverso due editoriali ha esortato il presidente eletto Biden a «rimuovere i dazi sul vino europeo nell’ambito di uno sforzo complessivo volto a portare un rapido sollievo all’industria della ristorazione».
Al contempo, l’Us Wine Trade Alliance lavora già ai “commenti” da sottoporre all’attenzione dell’Ustr all’apertura della discussione delle tariffs di febbraio 2021. Un altro appuntamento fondamentale per migliaia di produttori di vino europei, in cui i dazi potrebbero essere rivisti – al rialzo o al ribasso – eliminati, o confermati senza modifiche.
L’obiettivo dell’Alleanza è fare in modo che il team di Joe Biden faccia il suo ingresso all’agenzia del Commercio degli Stati Uniti (Ustr) accompagnato da un largo movimento di protesta contro le tariffs, sostenuto da più fronti.
Una battaglia contro il tempo, dal momento che l’ufficializzazione della candidatura dell’esponente favorito da Biden e dai Democratici per i vertici dell’Ustr, Katherine Tai, non avverrà in tempo per supervisionare il carosello dei dazi di metà febbraio 2021. Attendere agosto 2021, data successiva per la discussione delle tariffs, sarebbe un azzardo.
Dobbiamo convincere il presidente eletto Biden che lo sgravio tariffario dovrebbe essere una delle principali priorità delle sue prime settimane in carica, e questo non è un compito da poco», ammette Benjamin Aneff per conto dell’United State Wine Trade Alliance».
Nel frattempo, il 31 dicembre, l’Ustr ha annunciato la revisione dei dazi a carico di Francia e Germania. Nelle modifiche, che vedono ancora una volta graziato il vino italiano, sono incluse le nuove categorie di vini fermi e distillati come il Cognac, provenienti dai due Paesi.
In precedenza venivano calcolate tariffs del 25% sui vini fermi non oltre i 14% di alcol in volume e con formati non superiori ai 2 litri, provenienti da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito.
Nell’elenco sono stati inclusi anche i vini fermi di Francia e Germania con una percentuale di alcol superiore ai 14% in volume, oltre a quelli di imbottigliati in contenitori superiori ai 2 litri.
Tra i codici doganali inseriti anche quello che riguarda il “vino frizzante” – dunque non lo spumante – non particolarmente in voga nelle importazioni Usa dall’Ue. I vini provenienti dalla Spagna o dal Regno Unito con una percentuale di alcol superiore al 14% o di dimensioni superiori a 2 litri rimangono esenti da dazi. Lo stesso vale per gli sparkling, compreso lo Champagne.
«Questa non è la notizia che volevamo sentire – commenta Benjamin Aneff – ma sottolinea la necessità per l’amministrazione di Joe Biden di apportare modifiche alle politiche tariffarie ricevute in eredità dal suo predecessore, in particolare quelle che arrecano danni sproporzionati alle imprese statunitensi, in questo momento di crisi».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(4 / 5) Qual è il miglior modo di assaporare la Toscana se non gustando un calice di Chianti? Il vino più iconico della regione è, nella versione di Badia di Morrona, I Sodi del Paretaio, un’etichetta da “larghe intese”. Piacevole trovarlo a scaffale in grande distribuzione. Uno di quei vini da mettere nel carrello senza troppe esitazioni.
LA DEGUSTAZIONE Di colore rosso rubino trasparente e luminoso il Chianti Docg I Sodi del Paretaio di Badia di Morrona apre su gradevoli sentori floreali e note fruttate di ciliegia e amarena.
Un naso di media intensità ma di grande pulizia e finezza. Palato centrato sul frutto con lievi speziature e tannini levigati. Sorso succoso ma sottile che non cede su eleganza e finezza al retrolfattivo.
In cucina il Chianti Docg I Sodi del Paretaio di Badia di Morrona si presta a svariati abbinamenti. Perfetto con una zuppa a base di cavolo nero, verdura toscana di stagione reperibile dappertutto. O più semplicemente su una buona bistecca. Rosso chiama rosso.
LA VINIFICAZIONE Prodotto con Sangiovese, Merlot e Syrah il Chianti Docg I Sodi del Paretaio matura in vasche di cemento e/o acciaio per dieci mesi. Badia di Morrona si trova a Terricciola, in provincia di Pisa sulla via del Chianti. Di proprietà della famiglia Gaslini dal 1939 dispone di 110 ettari vitati.
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