Categorie
news news ed eventi

“Umbria” in etichetta sui vini di Montefalco e Spoleto

Dopo aver speso l’ultimo biennio a promuovere in giro per l’Europa e per il mondo il brand regionale, l’Umbria si prepara a “comparire” anche sulle etichette dei suoi vini simbolo. Grazie alle modifiche in vista sui disciplinari di produzione, in primis quello del Sagrantino di Montefalco Docg, la parola “Umbria” potrà essere usata dai produttori sull’etichetta dei vini rossi e bianchi per connotarne ancor più l’origine.

L’intenzione del Consorzio tutela Vini Montefalco, come rivela in anteprima a WineMag.it il presidente Filippo Antonelli, è dare seguito al lavoro compiuto dalle autorità regionali per la promozione del brand “Umbria”. Una novità che interesserà anche i vini della zona annessa di recente al Consorzio, quella di Spoleto.

La possibile modifica dei disciplinari di produzione necessaria per poter inserire su base facoltativa la parola ‘Umbria’ in etichetta – commenta Antonelli – è frutto di un’idea nata dal lavoro congiunto con Regione Umbria, per la promozione delle denominazioni di Montefalco e Spoleto soprattutto sul mercato svizzero e tedesco».

Quella del Consorzio umbro non è una scelta isolata nel panorama del vino nazionale italiano. Tra gli ultimi ad aver introdotto la novità a livello italiano ed europeo, nel luglio 2020, c’è l’ente di tutela del Vino Nobile di Montepulciano Docg.

La parola “Toscana” deve infatti comparire non solo sulla Docg, ma anche sulle etichette di Rosso di Montepulciano Doc e Vin Santo di Montepulciano Doc. Un modo in più per distinguere – da quelle abruzzesi – le produzioni toscane che rimandano al “Montepulciano”. Scelta simile anche in Sicilia, che da anni investe sul proprio brand regionale.

IL BILANCIO DEL 2020
In merito invece all’anno appena concluso, le Denominazioni del vino dell’Umbria possono tirare, tutto sommato, un sospiro di sollievo. «I numeri relativi agli imbottigliamenti e alle fascette consegnate – rivela ancora Filippo Antonelli a WineMag.it – dicono che i nostri vini hanno retto piuttosto bene all’urto della pandemia Covid-19, segnando sì un ridimensionamento, ma non drammatico».

Determinante a risollevare le sorti è stata l’estate 2020, in cui abbiamo lavorato parecchio con il turismo locale. Per fortuna i nostri vini possono affinare a lungo, salvo il Grechetto, proposto in larga maggioranza come vino di pronta beva.

Persino il Trebbiano Spoletino, largamente insufficiente a coprire le richieste mercato, guadagna in complessità nel tempo. Il 2020, in definitiva, è stato un anno duro dal punto di vista finanziario, ma a livello di credito e aiuti, lo Stato ha messo a disposizione delle imprese qualche strumento utile.

E il 2021 come è iniziato? «L’Europa del Nord un po’ si muove – commenta Antonelli – e anche gli Stati Uniti mostrano qualche segnale incoraggiante, seppur ancora timidamente. Sono sicuro ci sarà un grande boom e un grande interesse attorno al vino quando usciremo dalla pandemia: si tratta di tenere duro fino a quel giorno».

Categorie
Food Lifestyle & Travel

Valpolicella: 7 aziende su 10 intendono investire in enoturismo

Sette aziende della Valpolicella su 10 intendono investire in enoturismo nei prossimi anni. A dirlo l’indagine interna del Consorzio di tutela vini della dop veneta realizzata in occasione della Valpolicella annual conference, la due giorni di convegni, degustazioni e approfondimenti live in formato completamente digitale del 26 e 27 febbraio.

Secondo i dati raccolti su un campione di circa un terzo delle aziende del territorio, dopo un 2020 chiuso a -9,6% sul fronte delle vendite di vino made in Valpolicella, sarebbe proprio l’ospitalità la chiave di volta per la ripartenza nello scenario post-Covid. Un asset importante, su cui l’area vitivinicola ha ancora molto potenziale inespresso.

Se infatti la vendita diretta al pubblico è una prassi diffusa su tutto il territorio e in ogni tipologia di azienda, praticata dal 98% dei rispondenti, rappresentano solo il 28% le realtà che si sono lanciate nell’hospitality, per lo più con B&B (nel 39% dei casi) e visite e degustazioni in cantina (32%), e ancora meno (il 13%) quelle che offrono servizi di ristorazione. Si tratta inoltre di formule attivate in media da 15 anni, tanto che 2 su 3 tra quelle già inserite nel circuito enoturistico prevedono nuovi investimenti.

«La propensione all’investimento è un dato molto positivo per l’economia di tutto il nostro territorio – dice il un presidente del Consorzio, Christian Marchesini – segnale di rilancio forte che, per concretizzarsi, ha bisogno del supporto di tutti gli attori istituzionali che ruotano attorno alla gestione del prodotto turistico. Il Consorzio sarà in prima fila per supportare le aziende che decideranno di investire in questa direzione attraverso un cospicuo lavoro di rete, ma anche attraverso la formazione e la promozione».

Valutando l’incidenza sul fatturato, le aziende hanno stimato un impatto medio dell’enoturismo pari al 17%, dato che sale oltre al 21% per le aziende con una produzione inferiore a 100 mila unità che, con un terzo già impegnato in attività enoturistiche, sono quelle a dimostrare il più alto tasso di ricettività. La quota scende invece rispettivamente all’11% e 4% per le medie e grandi aziende.

Il Consorzio Vini Valpolicella vanta oltre l’80% della rappresentatività della denominazione. La Valpolicella detiene quasi 8.400 ettari vitati dislocati nei 19 comuni della Doc veronese ed esprime ogni anno un giro d’affari di circa 600 milioni di euro. Aperta a tutte le aziende del territorio, l’indagine censimento ha coinvolto un centinaio di realtà vitivinicole che sono state suddivise in piccole (fino a 100 mila bottiglie prodotte, 71% del campione), medie (100-500 mila bottiglie, 18% del campione) e grandi (più di 500mila bottiglie, 11% del campione).

Categorie
Approfondimenti

Enoteche, preoccupazione per bozza nuovo Dpcm 6 marzo su divieto asporto vino

Divieto di asporto del vino dalle enoteche dalle ore 18. La norma, contenuta nella bozza del nuovo Dpcm 6 marzo 2021 che sta circolando in rete e dovrebbe essere approvata entro il 5 marzo, preoccupa Vinarius. L’associazione che raggruppa gli enotecari italiani è già costretta a fare i conti con la stessa misura sino alla scadenza del Dpcm 15 gennaio 2021, attualmente in vigore.

Verrebbe dunque «reiterato l’errore ampiamente denunciato e messo in luce» fin da subito proprio da Vinarius, relativo al divieto di vendita per asporto di qualsiasi bevanda alcolica e analcolica da parte di tutti i negozi specializzati con codici Ateco 47.25.

Siamo seriamente allarmati e increduli – spiega Andrea Terraneo, Presidente Vinarius – all’idea che si possa nuovamente incorrere in quello che è stato in tutta evidenza un equivoco contenuto nel precedente decreto che aveva penalizzato l’operatività delle enoteche, dopo le ore 18.

In effetti le enoteche che hanno il 47.25 non sono enoteche di mescita ma negozi di vendita al dettaglio esattamente come la Grande distribuzione organizzata (i supermercati, ndr), gli alimentari non specializzati, fruttivendoli, macellerie che giustamente non sono stati colpiti da questa norma».

Un equivoco sottolineato alla Camera anche dall’onorevole Andrea Dara (Lega-Salvini premier), attraverso una interrogazione parlamentare. «Aveva fatto ben sperare gli enotecari italiani la risposta del ministro Patuanelli – sottolinea Vinarius – il quale ha dato prova che si fosse trattato di una svista».

Anche il senatore Gian Marco Centinaio (Lega Nord), ex ministro dell’Agricoltura, ha chiesto lumi sulla questione al governo. Ma i tempi al Senato, anche per l’inizio della crisi di governo, non hanno ancora visto la calendarizzazione dell’interpellanza.

Il Dpcm 16 gennaio mette Enoteche contro Supermercati. Vinarius: «Noi discriminati»

Ora che le forze politiche che ci hanno supportato in questo difficile iter sono al Governo – sottolinea Andrea Terraneo – è necessario intervenire fattivamente per una totale risoluzione del problema. Preghiamo pertanto le forze politiche di andare a rileggere la definizione del Codice Ateco 47.25».

La preoccupazione degli enotecari è acuita dal fatto che il nuovo provvedimento potrebbe interessare un periodo cruciale per le vendite di vino, come quello delle festività della Pasqua.

Le attività con Ateco 47.25, di fatto, dalle 18 alle 20 vedono mediamente il 30% del fatturato giornaliero, che diventa ancora più sostanzioso in concomitante delle festività, come quella pasquale.

«Ho apprezzato che molte altre associazioni si siano unite in queste ultime settimane al nostro richiamo di attenzione, che per primi ci siamo sentiti di denunciare. Ora noi tutti in Vinarius ci auguriamo che quella che è stata diffusa on line sia solo una bozza errata e che invece il nuovo Dpcm eviterà fattivamente una riedizione di questa stortura fortemente discriminatoria».

Categorie
Approfondimenti

Covid-19, tiene l’Amarone ma calano Valpolicella e Ripasso

Tiene l’Amarone, calano Valpolicella e Ripasso. Va meglio l’export rispetto al mercato interno, sorridono le grandi aziende ma non le piccole, con il prezzo medio che cala un po’ per tutti. La Valpolicella va in altalena sui mercati nell’anno del Covid-19 e tutto sommato chiude l’anno tirando un sospiro di sollievo.

La principale denominazione rossa del Veneto regge infatti l’urto dell’emergenza e chiude le vendite di vino a valore nel 2020 con un -3,3%, frutto di un risultato stabile dell’export (-0,1%) e di un calo sulla domanda italiana del -9,6%.

È il quadro di sintesi presentato oggi dal responsabile di Nomisma-Wine Monitor, Denis Pantini in occasione della Valpolicella annual conference, la 2 giorni digitale organizzata dal Consorzio tutela vini Valpolicella in chiusura oggi.

L’indagine, condotta su un campione di aziende che rappresenta circa la metà della capacità produttiva dell’area e una media pro-capite di 1,1 milioni di bottiglie vendute, segnala per l’Amarone un mercato double face, con una crescita importante (+7%) nel valore dell’export a fronte di una contrazione del 13% sulla piazza nazionale.

Le destinazioni internazionali, che rimangono meta dei 2/3 delle vendite, accusano un calo nel prezzo del re della Valpolicella di circa il 5%.

«In generale – ha sottolineato il presidente del Consorzio tutela vini Valpolicella, Christian Marchesini – considerata la congiuntura la performance è da considerare positiva per il nostro vino di punta, che chiude l’anno meglio rispetto al trend nazionale».

Ma ciò che preoccupa sono le disparità all’interno del dato generale, con le piccole imprese di qualità che pagano pesantemente la chiusura dell’horeca, con perdite medie del 10% per l’export e del 28% sulla domanda interna. Dinamica questa che colpisce direttamente il dna del nostro tessuto produttivo e che si riflette anche nelle altre Doc osservate dall’indagine».

Sul fronte delle vendite per canale in Italia è evidente come la presenza in Gdo (principale canale di sbocco con un’incidenza del 44% sul totale) delle piccole aziende sia limitata al 10% del totale del loro business, a fronte di una quota elevatissima (47%) di vendite effettuate attraverso la figura del grossista, in gran parte destinata alla ristorazione.

In linea con la media nazionale, l’influenza delle vendite dirette (7%) e di quelle online (3%). Sul fronte export, gli Usa si confermano primo buyer per l’Amarone con una quota di mercato del 14%; a seguire Svizzera (12%), Regno Unito (11%), Canada e Germania (10%). Bene il trend della piazza statunitense a valore (+9%), positive anche le performance nelle altre top 5 piazze, con incrementi dal 4% al 7%.

Valpolicella alla Beaujolais accanto a Ripasso e Amarone sempre più di terroir

Ancora più alta (73%) la propensione all’export per il Ripasso, dove però si registra un calo del 5% a valore. In rosso anche le vendite in Italia che segnano un -6%. Cali pesanti, rispettivamente del 23% e del 25% per le piccole aziende.

Il Canada (+1% le vendite nel 2020) si conferma di gran lunga prima destinazione per il Ripasso con il 23% degli acquisti totali, seguito da Svezia (quota all’11%) e a pari merito da Svizzera, Germania e Regno Unito (9%). In Italia la Gdo è nettamente il primo canale, con il 62% delle vendite a valore.

Vira in negativo anche il Valpolicella, che paga a valore un -3% all’estero (67% l’incidenza export) e un -8% sul mercato nazionale, dove la Gdo rappresenta quasi 2 bottiglie vendute su 3 ma che vale solo il 9% del fatturato delle piccole imprese, in evidente difficoltà sia sulle piazze interne (-21%) che negli scambi internazionali (-21%). Anche qui il Canada si conferma sbocco principale con oltre 1/3 delle vendite totali, seguita dagli Usa (19% la quota) e Norvegia (9%).

Per il responsabile di Nomisma-Wine Monitor, Denis Pantini: «La pandemia ha generato uno scenario di mercato spaccato in due, dove la linea di demarcazione è data principalmente dalle dimensioni aziendali che a loro volta determinano il posizionamento dei propri vini nei diversi canali distributivi».

Quello che è accaduto per la Valpolicella trova analogie in tutti i vini del Belpaese e «sta portando i produttori – ha aggiunto Pantini – a rivedere le proprie strategie commerciali in un’ottica di maggior diversificazione sia di mercato che di canale, come anche emerso dalla stessa indagine svolta nell’ambito dell’Osservatorio sui vini della Valpolicella”.

Categorie
Food Lifestyle & Travel news news ed eventi

Ristoranti chiusi, Zaia: «Covid non è Dracula». Attriti Veronafiere-Uiv su ripartenza

I 222 miliardi di euro del Recovery Fund? Dovranno servire ad aiutare anche le imprese del vino, che hanno giacenze di magazzino importanti per via delle chiusure della ristorazione internazionale. È quanto sottolineato dal presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, in collegamento poco fa alla Valpolicella Annual Conference 2021. Non solo.

«Gli operatori dell’Horeca sono stati massacrati – ha aggiunto Zaia – ma rappresentano il settore in sui le nostre imprese vitivinicole generano il loro fatturato. Dobbiamo mettere le imprese nelle condizioni di ripartire. Non si capisce poi perché la ristorazione debba rimanere chiusa la sera, come se il virus, come Dracula, col buio uscisse allo scoperto».

Zaia ha poi affrontato il nodo dei vaccini: «Alla fine avrò ragione io. Sono della teoria che “male non fare, paura non avere”, per questo bisogna andare al Vedo. Non è possibile che 20 intermediari continuino a dire che i vaccini ce li hanno».

«Con questo ritmo – ha concluso Zaia alla Valpolicella Conference – finiremo di vaccinare tra 2 anni, mentre noi in 100 giorni saremmo in grado di vaccinare 5 milioni di veneti. Serve fare in fretta perché chi si vaccina per primo acquisirà i mercati».

Restando in Veneto, il presidente del Consorzio tutela Vini Christian Marchesini ha annunciato un «accordo con un noto istituto bancario, grazie al quale sarà garantito del credito alle piccole imprese in difficoltà, non meno di 258 cantine sulle 329 totali.

I dettagli saranno forniti nelle prossime settimane, ma potrebbe trattarsi di una misura simile a quella intrapresa nelle Langhe dal Consorzio di Tutela di Barolo e Barbaresco.

LA RIPRESA
Sul fronte delle tempistiche della ripresa, da segnalare le differenti visioni di Veronafiere e Unione italiana vini. Mentre Giovanni Mantovani, general manager di Veronafiere, continua a ritenere strategico lo svolgimento di Vinitaly dal 20 al 23 giugno prossimi, il segretario generale di Uiv, Paolo Castelletti, individua nella fine del 2022 il momento nel quale si riuscirà a uscire dalla pandemia, tornando alla situazione pre Covid-19.

«Il sistema sta reggendo – ha affermato Castelletti – dal momento che il settore vitivinicolo italiano è fatto di aziende ben patrimonializzate. Ma il perdurare della crisi le porterà in sofferenze. Per questo, il migliore auspicio è una pronta ripresa dell’Horeca: un segmento che, su scala mondiale, vale 176 miliardi di dollari, ovvero il 52% del valore complessivo. Calcoliamo che il danno cumulato dal 2020 al 2022 supererà i 100 miliardi di dollari».

Castelletti ha annunciato inoltre un incontro con il ministro Patuanelli, in cui Uiv ribadirà – tra gli altri argomenti – la sua contrarietà al divieto di asporto di vino da parte delle enoteche, dalle ore 18.

VINITALY 2021

«Stiamo registrando da parte di nostri interlocutori sui mercati europei e internazionali una grande aspettativa di poter partecipare a Vinitaly, perché Vinitaly manca», ha sottolineato Giovanni Mantovani intervenendo alla Valpolicella Annual Conference.

Pensiamo a un Vinitaly a fine giugno diverso da quello visto in passato a cui hanno preso parte oltre 100 mila visitatori. L’intensità sarà diversa da quella a cui siamo abituati».

«Una manifestazione – ha precisato Mantovani – in cui a partire dagli stand, ovvero allo spazio riservato agli espositori, ci sia il più grande rispetto delle misure di distanziamento e, in generale, sia garantita la massima salubrità per le persone».

«Per cogliere il vantaggio competitivo con i mercati già vaccinati, immaginiamo un evento molto focalizzato a ospitare buyer selezionati dall’Europa e soprattutto capace di guardare con molta attenzione ai mercati extraeuropei che potranno essere presenti in quel momento», ha concluso il rappresentante di Veronafiere.

FRONTE EUROPA
Sempre alla Valpolicella Wine Conference, l’intervento dall’europarlamentare Paolo De Castro, sul tema dei dazi Usa, del piano anti cancro della Commissione Ue, e sulla Brexit, definita «una enorme sciocchezza dei cittadini britannici, che noi comunque rispettiamo per la loro decisione».

«Sul tema dei dazi Usa-Ue – ha detto il primo vice presidente della commissione Agricoltura – proprio in questi giorni abbiamo avuto un confronto in commissione con il responsabile del Commercio, Valdis Dombrovskis che ha assicurato l’impegno europeo per una moratoria di 6 mesi su tutti i dazi che intercorrono tra i 2 alleati. La speranza è ora che la richiesta europea sia accolta dall’amministrazione Biden, con cui lavoreremo non appena la sua squadra si insedierà definitivamente».

Sul discusso piano anticancro delle Commissione Ue, che punirebbe alcolici e carni rosse, equiparandole a sigarette p bevande gassate ricche di zuccheri: «Si tratta di un piano sacrosanto che però può avere declinazioni pericolose per alcuni prodotti del made in Italy e della dieta mediterranea, come carne rossa e vino».

Abbiamo in atto una serie di iniziative a partire da quella importante in programma nei prossimi giorni a Bruxelles assieme a Coldiretti e Filiera Italia con esperti da tutta Europa per far capire quanto è importante affrontare questo tema in maniera seria.

Come Parlamento europeo e commissione Agricoltura lavoreremo per evitare che ci siano conseguenze sia sul versante promozione che sull’etichettatura su un piano che a oggi non ha alcuna proposta legislativa”.

Sul nodo della la Brexit, che per Paolo De Castro «si sta rivelando un dramma, non solo per noi ma soprattutto per i britannici, che se ne stanno accorgendo ogni giorno di più, registriamo molte problematiche di ordine burocratico-amministrative, quali strascichi che a fronte del positivo no-deal».

L’europarlamentare ha infine annunciato che con l’Intergruppo vino ha richiesto «una sospensione fino alla messa a sistema di una piattaforma elettronica per i certificati di esportazione, accettati ora solo in forma cartacea, che risolva i grandi problemi che stiamo accusando nell’export vitivinicolo».

Categorie
a tutto volume

Terroir nel whisky: ecco la prova

Sono stati resi noti i risultati dello studio “The Impact of Terroir on the Flavour of Single Malt Whisk(e)y New Make Spirit” (L’impatto del terroir sul sapore del distillato bianco dei Single Malt Whisk(e)y). La ricerca, fortemente voluta e guidata dall’irlandese Waterford Distillery, pioniera della discussione sul whisky-terroir, è stata pubblicata lo scorso 18 febbraio 2021 su “Foods – international, scientific, peer-reviewed, open access journal of food science”.

Autori della pubblicazione sono: Maria Kyraleou e Kieran N. Kilcawley, Food Quality & Sensory Science Department del Teagasc Food Research Centre di Moorepark (Irlanda); Dustin Herb, Crop and Soil Science Department della Oregon State University (Usa); Grace O’Reilly e Neil Conway, Waterford Distillery (Irlanda); Tom Bryan, Boortmalt, Athy (Irlanda).

LA RICERCA
La ricerca ha analizzato due varietà di orzo, Olympus (LGB 11-8339) e Laureate (SY 412-328), coltivate in due diverse aziende agricole d’Irlanda in due anni diversi, il 2017 e il 2018, ottenendo 32 diversi campioni di micro-malto e micro-distillazione.

Questi campioni di distillato sono stati quindi analizzati utilizzando i più recenti metodi di gascromatografia olfattometrica a spettrometria di massa (GC/MS-O), nonché testati da un gruppo di esperti di analisi sensoriale altamente qualificati.

L’analisi ha identificato oltre 42 diversi composti aromatici, metà dei quali «sono stati direttamente influenzati dal terroir dell’orzo» dimostrando, al di là del rifiuto o dell’intuizione, l’incidenza del terroir nel whisky.

Questo studio interdisciplinare – dice il professor Dustin Herb – ha indagato le basi del terroir esaminando i meccanismi genetici, fisiologici e metabolici dell’orzo che contribuiscono al sapore del whisky. Utilizzando protocolli standardizzati di maltaggio, fermentazione e distillazione, abbiamo osservato sapori distinti associati agli ambienti di prova e anche variazioni di anno in anno, indicando che il terroir contribuisce in modo significativo al sapore del whisky».

LA SODDISFAZIONE DI WATERFORD DISTILLERY
Mark Reynier, Ceo di Waterford Distillery, si dichiara molto soddisfatto dei risultati, «L’orzo – dice – rende il whisky di malto lo spirit più ricco di sapore al mondo e a Waterford stiamo cercando di creare il più ricco di tutti. Per farlo abbiamo rifiutato l’omogeneità ed esaltato l’individualità. Identificare, proteggere e mostrare gli straordinari sapori naturali dell’orzo significa esplorare i terroir dell’Irlanda meridionale, fattoria per fattoria».

Alcuni nel settore, per ragioni oscure e nonostante le prove crescenti, negano l’esistenza del terroir nell’orzo e nel distillato che ne deriva – prosegue Reyner – eppure questo studio dimostra una volta per tutte quello che sapevamo da sempre: non solo il terroir influenza i composti aromatici nell’orzo, ma il suo effetto permane anche lungo il processo di produzione influenzando il sapore del whisky single malt».

«La nostra ricerca – conclude – è una piattaforma per diffondere, per la prima volta in 50 anni, nuove varietà (di orzo) basate sul sapore piuttosto che sulla resa, abbinando idealmente sapori e profumo al suolo e ai microclimi».

Questo primo articolo esplora l’impatto del terroir attraverso un whisky prodotto in modo neutro, maltato in laboratorio e distillato in modo uniforme per rimuovere eventuali variabili di produzione. Waterford ha già annunciato una nuova ricerca, che sarà pubblicata nel 2022, che esplorerà il ruolo del terroir all’interno dei prodotti commerciali della distilleria.

LE CONCLUSIONI DELLA RICERCA
«Questo studio – si legge nelle conclusioni della ricerca – ha tentato di determinare l’influenza del terroir sul sapore dei distillati di nuova fabbricazione valutando il contributo della varietà di orzo e del suo ambiente di crescita nell’arco di due stagioni attraverso analisi sensoriali e olfattometriche».

«È stato notato che la varietà, l’ambiente e l’interazione di varietà per ambiente hanno influenzato il carattere sensoriale dei nuovi distillati, con attributi sensoriali di frutta fresca e pungenti influenzati da tutti i fattori (varietà, ambiente e stagione). Tuttavia l’impatto dell’ambiente e l’interazione di varietà per ambiente risultano più pronunciati rispetto alla sola varietà sugli attributi sensoriali in entrambe le stagioni».

«Quarantadue composti volatili sono stati rilevati come potenziali odoranti che contribuiscono al sapore degli alcolici di nuova fabbricazione; tuttavia, otto sono stati considerati i più influenti: (E)-2-nonenale, β-damascenone, 3-metil-1-butanolo, furfurolo, etil-esanoato e un composto non identificato (sconosciuto 10 con un carattere erbaceo / erboso)».

«Anche altri quindici hanno avuto un impatto sull’aroma, ma in misura minore, e questi sono costituiti principalmente da esteri, sebbene non sia stato possibile identificare sei composti a causa della co-eluizione, della bassa abbondanza o del fatto che erano al di sotto dei limiti di rilevamento mediante spettrometria di massa. L’analisi chemiometrica dei dati volatili e sensoriali ha inoltre concluso che sia l’ambiente che la stagione hanno avuto un impatto maggiore sul carattere sensoriale aromatico dei nuovi distillati rispetto alla sola varietà».

«Gli ambienti sono stati scelti per questo studio in base a diverse condizioni pedoclimatiche, mentre le varietà di orzo sono state scelte in base a varietà commerciali comunemente in uso in Irlanda al momento dello studio, queste varietà condividono un patrimonio genetico simile che potrebbe averne limitato l’impatto sulla diversità dei sapori nel nuovo spirito di fabbricazione».

«Questo studio ha chiaramente dimostrato le variazioni nel contributo dei volatili aromatici attivi e degli attributi sensoriali in questi nuovi alcolici, che riflettono i cambiamenti nella crescita dell’orzo in relazione agli elementi ambientali, inclusi i nutrienti del suolo e le condizioni meteorologiche stagionali prevalenti; rivela quindi un effetto “terroir”».

«Ciò non è stato determinato in precedenza e crea la possibilità di produrre whisk(e) di diverse “vendemmie” con spirit di nuova fabbricazione che racchiudano i fattori che incidono sulla crescita della varietà d’orzo tanto quanto i parametri di lavorazione successivi».

«Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere meglio l’impatto ambientale specifico sulla crescita dell’orzo e sulla sua gestione e lavorazione rispetto ai meccanismi genetici, fisiologici e metabolici che contribuiscono all’espressione del terroir non solo nel distillato nuovo, ma anche nel whisk(e)y per determinare l’importanza del terroir a valle del processo di maturazione».

L’intera ricerca è consultabile sulla pagina di Foods.

Categorie
news news ed eventi

Valpolicella alla Beaujolais accanto a Ripasso e Amarone sempre più di terroir

Sono terminate da poco le tre sessioni di degustazione della Valpolicella Annual Conference 2021, l’evento digitale organizzato dal Consorzio che tutela i vini rossi veneti capeggiati dall’Amarone. Diversi gli spunti di riflessione anche sul “base” Valpolicella e sul Ripasso, tutti sotto all’ombrello della parola “cambiamenti“: climatici, di mercato e d’approccio, sia sul fronte dei consumatori che della produzione.

Come nei film di successo, dove il finale è inatteso e tiene incollati allo schermo gli spettatori, gli spunti più interessanti sono arrivati dall’ultimo dei tre tasting. Merito, soprattutto, dell’intervento di Gabriele Gorelli, il primo Master of Wine italiano (nomina avvenuta proprio in mattinata), che ha parlato delle prospettive per il vino “base” della zona, il Valpolicella per l’appunto.

Secondo Gorelli, l’esempio da seguire è in Francia. Il Valpolicella avrebbe la grande opportunità di divenire “vino di terroir” guardando all’esempio del Beaujolais, ovvero attraverso un lavoro sui cru. Un percorso, c’è da dirlo, già avviato brillantemente da un’altra (vicina) denominazione del Veneto, quella del Bardolino e delle sue sottozone.

Si può essere “uncomplicated” (semplici, ndr) ma al contempo molto interessanti – ha suggerito il primo Master of Wine d’Italia – cambiando il paradigma e usando il concetto di “village” come opportunità. La Valpolicella, di fatto, viene considerata zona di produzione di vini da ricetta, di metodo, più che di terroir: attraverso il vino che sta alla base della piramide qualitativa, si potrebbe dare valore alla Denominazione».

Non a caso, come annunciato in occasione del secondo tasting in programma quest’oggi, il Consorzio ha varato la modifica del disciplinare che consente ai produttori di utilizzare lo screwcap, ovvero il tappo a vite, non solo sui Valpolicella – come consentito dal 2019 – ma anche sui vini con menzioni quali “Classico”, “Superiore” e “Valpantena”.

«L’obiettivo – ha spiegato Alberto Brunelli, enologo e advisor del Consorzio – è quello di aumentare le potenzialità dei vini in alcuni mercati». Il riferimento, per rimanere in Europa, è chiaro: Paesi come la Norvegia, dove un quinto dei rossi consumati annualmente proviene dal Veneto (parola di Tone Veseth Furuholmen, senior product manager del Vinmonopolet As, il monopolio norvegese) accoglie già senza ritrosie questa tipologia di chiusura.

Durante i tasting sono state ribadite poi le modifiche che riguardano il disciplinare del Ripasso (denominazione cresciuta del 128% nel decennio 2008-2018) introdotte sempre nel 2019 ma ancora poco note, anche tra i 100 professionisti collegati alla Valpolicella Annual Conference da 25 Paesi del mondo.

Tra queste, nell’ottica di una sua migliore qualificazione nell’ambito della piramide qualitativa che vede in testa l’Amarone, l’eliminazione del cosiddetto “contoterzismo” delle uve/vinacce atte alla produzione (devono provenire tutte da pertinenze aziendali); la presenza di una percentuale obbligatoria di un minimo del 10% e di un massimo del 15%, di vino atto a diventare Amarone e/o Recioto lasciato sulle vinacce dopo la loro svinatura.

O, ancora, l’obbligo di effettuare la pratica del “ripasso” in un’unica soluzione, con macerazione di almeno 3 giorni. «Regola che assicura l’estrazione delle componenti più nobili – ha ricordato Alessandro Bellotto, winemaker e advisor di Giotto Consulting – ma che non vieta di procedere oltre, in base alle scelte stilistiche dei produttori».

E l’Amarone? Se ne è discusso in occasione del tasting di apertura, alle ore 14. Alta la qualità dei vini presentati in forma anonima in batteria, ognuno con le proprie specificità, utili a dimostrare le diverse sfaccettature di un vino che è sì “di metodo”, ma che è in grado di preservare le caratteristiche intrinseche del terroir della Valpolicella.

Territorio e scelte dei produttori, come confermato dall’enologo Enrico Nicolis e dal professore di Enologia dell’Università degli Studi di Verona, Maurizio Ugliano, consentono infatti di presentare sul mercato vini rossi capaci di incontrare il gusto dei consumatori moderni.

La vera sfida dell’Amarone della Valpolicella è di fatto questa: restare al passo dei consumatori che prediligono sempre più vini rossi connotati dalla freschezza e da una beva non troppo impegnativa.

Tratti che possono essere assicurati anche dal “re dei vini del Veneto” (lo dimostrano le scelte stilistiche delle ultime Anteprime alla Gran Guardia di Verona), attraverso un attento lavoro in vigna volto alla ricerca della perfetta maturazione e a uno stile che predilige la freschezza all’abbondanza e opulenza glicerica.

Le altitudini non mancano nelle valli della Valpolicella e la presenza di uve autoctone naturalmente ricche di “rinfrescanti” componenti speziate, gioca dalla parte dei produttori. La sfida al mondo è aperta, senza perdere di vista la tipicità.

Al via la Valpolicella Annual Conference: il vino italiano ha retto alla pandemia

Categorie
news news ed eventi

Giovan Battista Basile è il nuovo Presidente del Consorzio Tutela Vini Montecucco

È Giovan Battista Basile il nuovo Presidente del Consorzio Tutela Vini Montecucco. Napoletano “naturalizzato” maremmano, Basile si trasferisce con la famiglia a Cinigiano (GR) alla fine degli anni ’90, nel cuore del Montecucco, proprio nel momento in cui la Denominazione muoveva i primissimi passi nel mondo dell’enologia italiana. Qui acquisisce un terreno incolto per avviare, da zero, quella che oggi è la sua Azienda Agricola Biologica.

Laureato in legge, non ha mai praticato la professione di avvocato, poiché, proprio dopo gli studi, si è innamorato di questa terra che lui stesso ama definire «selvaggia e ancora tutta da scoprire», capace di regalare espressioni uniche sia nella proposta enologica sia in quella turistica.

«Sono estremamente lieto della fiducia accordatami dai Consiglieri e raccolgo con entusiasmo la responsabilità di questa Denominazione che porto nel cuore – dichiara il neoeletto Presidente Basile – Sono soprattutto onorato di raccogliere un’eredità importante lasciata da Claudio Tipa che ringrazio sentitamente per aver creduto e per continuare a credere nella nostra Denominazione, per averla fatta crescere, per averci aiutato a portarla nel mondo e, non ultimo, per essere stato dal 2006 un vero e proprio faro per tutti noi produttori».

«I nostri obiettivi – prosegue Basile – sono molto chiari ed in linea con il precedente mandato, ma lavoreremo soprattutto per rafforzare il senso di collegialità e di partecipazione. Il nuovo Consiglio si troverà ad affrontare un momento congiunturale difficilissimo, per il comparto in generale e per la nostra filiera in particolare, che dialoga quasi esclusivamente con il canale horeca e che è in trepida attesa di una ripartenza, frenata purtroppo dai ritardi della campagna vaccinale».

«Sarà certamente un mandato che io ed il nuovo Consiglio svolgeremo con grande attenzione e cautela – aggiunge il neopresidente – impegnandoci a fidelizzare maggiormente il mercato domestico e il consumatore italiano, soprattutto quello locale e aumentando l’impegno nelle attività Pr tradizionali e digital, ma anche sfruttando momenti di confronto online con i professionisti del settore e i media internazionali, fino a quando non torneremo, si spera presto, al ‘faccia a faccia’ con il pubblico».

Gli asset fondamentali del Consorzio restano senz’altro la sostenibilità, elemento caratterizzante della Doc e Docg che registra circa il 70% di produzione biologica, l’unicità del Sangiovese – il re della Denominazione, dalla personalità ben distinguibile e di livello e potenziale molto elevati – e, non ultimo, il territorio del Montecucco e il suo marchio collettivo.

«Sono questi i punti di forza che ci permetteranno di consolidare il trend positivo registrato negli ultimi anni e di rafforzare ulteriormente la nostra presenza nei mercati mondiali, a partire dall’Italia», conclude il Presidente.

Il cambio al vertice è stato deliberato ieri sera a seguito del Consiglio di Amministrazione, che dà il benvenuto anche ai nuovi membri Giorgio Patrizi di Tenuta Piani Rossi, Giampiero Pazzaglia di Collemassari, Claudio Vigni di Società Agricola Maciarine e Marco Salustri dell’Azienda Salustri, mentre riconferma Patrizia Chiari di Tenuta L’Impostino, Marco Innocenti di Peteglia, Daniele Rosellini di Agricola Campinuovi e Leonardo Sodi di Azienda Agricola Parmoleto.

Vanno invece a formare il nuovo Collegio Sindacale Gionni Guerrieri, alla Presidenza, Stefano Alessandri dell’Azienda Agricola Rigomoro e Silvio Mendini di Podere Montale.

Categorie
news news ed eventi

Nasce l’Osservatorio Etna Doc

Conoscere in modo approfondito l’organizzazione delle cantine che operano all’interno del territorio etneo e al contempo fotografare lo stato dell’arte dell’offerta rivolta ai turisti. Con questo obiettivo il Consorzio Tutela dei Vini Etna Doc ha dato vita ad un Osservatorio permanente e avviato una indagine rivolta ai produttori, in collaborazione con la Strada del Vino e dei Sapori dell’Etna.

Un’attività di monitoraggio che consentirà di ottenere una puntuale e completa panoramica delle aziende vitivinicole alle pendici del vulcano, grazie alla raccolta di informazioni relative non solo alle loro dimensioni ed all’approccio in vigna e cantina, ma anche alle strutture presenti in azienda e che consentono di fornire un’adeguata offerta ai numerosi turisti del vino che ogni anno visitano questo angolo di Sicilia unico al mondo.

«Il desiderio di conoscersi sempre meglio è condiviso dalla stragrande maggioranza dei soci del nostro Consorzio e per questo cerchiamo di introdurre strumenti sempre più efficaci per supportare il loro lavoro di imprenditori nel mondo del vino», spiega Antonio Benanti, Presidente del Consorzio Tutela dei Vini Etna Doc.

«Da questa considerazione – continua Benanti – nasce l’idea di preparare un questionario on-line che raccolga una serie di informazioni utili per capire da una parte le caratteristiche generali delle aziende vitivinicole presenti sul territorio etneo e dall’altra come sono organizzate dal punto di vista dell’offerta di servizi ai turisti del vino. Ci auguriamo di ricevere un numero significativo di risposte, e quindi di dati, per poter poi condurre analisi che siano a disposizione di tutti i produttori».

«Un vero e proprio Osservatorio – conclude il Presidente – che a cadenza regolare raccoglierà dati e fornirà indicazioni utili per poter migliorare l’organizzazione interna e l’offerta enoturistica. Uno studio che consentirà nel contempo di ragionare su iniziative e attività che possano rappresentare un vero valore aggiunto per la denominazione e per il territorio».

Il questionario on-line, inviato a tutte le aziende che producono uve o vini Etna Doc, è suddiviso in varie sezioni e sarà possibile compilarlo in forma anonima. Il progetto, nella sua sezione dedicata all’enoturismo, è stato realizzato in collaborazione con la Strada del Vino e dei Sapori dell’Etna, da tempo attiva per la valorizzazione dell’attività di accoglienza alle pendici del vulcano.

«L’istituzione di un osservatorio permanente nasce in primo luogo dall’esigenza di colmare una lacuna poiché a tutt’oggi non ci sono dati relativi ai flussi che riguardano l’enoturismo sull’Etna – afferma Gina Russo, Presidente della Strada del Vino e dei Sapori dell’Etna – In secondo luogo lo consideriamo uno strumento utile ai produttori per capire come migliorare la promozione del nostro territorio, per far crescere il numero di visitatori ed arricchire l’offerta».

Categorie
news news ed eventi

Al via la Valpolicella Annual Conference: il vino italiano ha retto alla pandemia

Al via alle 11 odierne la Valpolicella Annual Conference 2021, con la prima sessione dedicata ai trend internazionali del vino italiano nel 2020, con focus su Horeca, Grande distribuzione ed e-commerce. Il quadro multicanale è a tinte tutto sommato positive per i rinomati vini rossi veronesi. A confermarlo Christian Marchesini, presidente del Consorzio Tutela vini che organizza l’evento digitale.

«Il sistema Valpolicella – ha dichiarato – ha risposto bene al 2020. Possiamo dirci felici, anche se fino a un certo punto, dal momento che abbiamo assistito a uno spostamento delle vendite da determinate aziende ad altre. Gli imbottigliamenti sono in linea con il 2019 e confermano la Valpolicella tra i sistemi più importanti a livello nazionale e mondiale, dal momento che l’80% dei vini prodotti nella nostra zona viene esportato».

In particolare, il 2020 chiude con 18 milioni e 200 mila bottiglie di Valpolicella, 30.3 milioni di Ripasso e 15.3 milioni di bottiglie tra Amarone e Recioto. Numeri che regalano fiducia anche quelli snocciolati da Denis Pantini di Nomisma Wine Monitor.

«L’Italia – ha annunciato – chiuderà il 2020 con un calo dell’export in valore di circa 200 milioni di euro, passando dalla cifra record di 6,4 miliardi a 6,2. Quanto ai mercati principali l’Italia, anche grazie ai dazi applicati ad altri Paesi, ha risposto meglio alla Pandemia da Coronavirus».

Il Paese più colpito, di fatto, è la Francia, che lascia sul campo un 10,8%. L’Italia si ferma a un -2,5% (dato novembre 2020) e riduce così il proprio gap dell’export in valore proprio nei confronti del transalpini, con la cifra record del – 40%, il miglior risultato degli ultimi 10 anni.

Cresce a livello mondiale solo l’export della Nuova Zelanda: +4,5%. Un dato, come spiegato da Denis Pantini, dettato soprattutto dai volumi del vino sfuso esportati nel mercato inglese. Eppure, proprio gli Uk segnano un dato drammatico nei bilanci delle imprese del settore Horeca: -80% rispetto al 2019.

GDO E ONLINE, IL PUNTO
Più in generale, a crescere in Italia sono la Grande distribuzione e l’e-commerce. La prima con un +7%, tasso record da decenni, dovuto in gran parte all’exploit dei discount; l’online invece raddoppia nel 2020, con vendite stimate in 203 milioni di euro.

I pure player, ovvero i siti specializzati nella vendita di vino online, hanno registrato un +83%. Un 2020 col botto anche quello di Amazon, le cui vendite “enologiche” crescono del 141%.

E il futuro? Il vino, come attendibile, sarà sempre più “digital”. Secondo una ricerca compiuta ancora una volta da Nomisma Wine Monitor su un campione di mille consumatori, gli acquirenti aumenteranno i loro clic sul web, assicurandosi a domicilio i vini preferiti, scelti online.

«Sono 8 milioni le persone che hanno compiuto acquisti di vino online nel 2020 – ha precisato Denis Pantini – pari al 27% del totale dei consumatori. Forte predominanza dei Millennial, anche se l’età media si spinge fino ai 50 anni. Hanno tutti un buon reddito medio e hanno spostato online i mancanti acquisti fuori porta, dettati dai lockdown e dalle misure anti Covid-19».

Non sta a guardare la Grande distribuzione organizzata, che lo scorso anno ha superato la soglia del 64% delle vendite complessive totali di vino in Italia, proprio grazie alle chiusure dell’Horeca (ristoranti, wine bar, enoteche).

COOP: PORTE APERTE AI PICCOLI PRODUTTORI
A confermalo Francesco Scarcelli, category buyer di Coop Italia. «L’aumento del segmento vini si assesta sul 5,5%, dato da un +4,8 dei fermi e da un +10,5% degli spumanti. È aumentata anche la battuta media, di circa 1 punto e mezzo, ma non per un fenomeno di speculazione su materia prima, bensì per due ordini di ragioni: in primis, i consumatori hanno deciso di bere un po’ meglio; è poi diminuita la pressione promozionale, di circa il 3%».

I clienti della Gdo sono oggi sempre più consapevoli e chiedono alle insegne brand riconoscibili e riconosciuti per qualità e garanzie di bontà, come è il caso della Valpolicella. Per vini con queste caratteristiche, sono disposti a spendere di più rispetto al passato».

Proprio per questo, Coop sta riorganizzando per quanto possibile il proprio assortimento locale. Scarcelli ha infatti confermato quanto già dichiarato a vinialsupermercato.it nei mesi scorsi, ovvero l’intenzione di ragionare su un assortimento più “local” e attendo alle produzioni medio-piccole, diverso di regione in regione (o provincia).

Abbiamo già isolato i vini da tavola dai vini di qualità superiore, avvicinandoli sempre più al food in logica cross category. Ed ora procederemo all’integrazione di nuove realtà su scala locale, garantendo un polmone a tante aziende penalizzate dalle chiusure dell’Horeca e delle perdite di quote export.

Un percorso, avvisa Scarcelli, non certo semplice: «Le piccole cantine devono essere consce di entrare in un mercato complesso – ha concluso il buyer vini di Coop Italia – dal momento che negli ipermercati contiamo già tra gli 800 e le mille referenze. Non sarà facile per le new entry farsi riconoscere velocemente e sarà molto importante creare un rapporto di fiducia e chiarezza, che ci consentirà di qualificare ulteriormente il nostro assortimento».

Valpolicella alla Beaujolais accanto a Ripasso e Amarone sempre più di terroir

Categorie
Approfondimenti

Busi (Chianti): «Aziende in sofferenza, necessario accesso al credito più facile»

Giovanni Busi, presidente del Consorzio Vino Chianti, intervenendo come relatore al “RestartAgrifood! – Stati Generali dell’Agroalimentare italiano“, evento digitale organizzato da ESG89 Group trasmesso in diretta streaming, ha sottolineato come sia indispensabile agevolare l’accesso al credito alle aziende vitivinicole per far fronte alla crisi.

«La grande distribuzione ci ha salvato – dice Busi – perché ci ha permesso di chiudere l’anno con l’1,2% in più di vendite per quanto riguarda il vino Chianti, ma il problema è che sono poche le aziende che vendono nella grande distribuzione, la maggior parte delle nostre imprese vende nel canale Horeca e sono veramente in grande sofferenza».

«Il momento è molto drammatico e da questa crisi se ne può uscire soltanto andando a ristrutturare le nostre aziende – prosegue il presidente – che significa fare investimenti, ma per farlo è necessario avere accesso al credito che in questo momento non è così facile».

Per Busi «oggi abbiamo una grande opportunità, oltre 200 miliardi di euro che arrivano in Italia dall’Europa, e secondo me molti di questi devono essere spesi per lo sviluppo delle imprese perché se si crea sviluppo, allora si crea anche reddito». Il presidente del Consorzio Vino Chianti ha poi ribadito la richiesta di «abbattere i dazi per facilitare le esportazioni. Come consorzio esportiamo circa il 70% della nostra produzione: sul totale di 100 milioni di bottiglie prodotte in un anno circa 70 milioni vanno all’estero».

Categorie
news news ed eventi

Gabriele Gorelli è il primo “MW” Master of Wine italiano

Gabriele Gorelli è il primoMwMaster of Wine italiano. L’annuncio è dello stesso prestigioso “Institute” londinese, che pochi minuti fa ha comunicato i nomi dei nuovi 10 esperti.

Designer e brand builder nato e cresciuto a Montalcino, in Toscana, Gabriele Gorelli deve al nonno la sua passione per il vino, il più piccolo produttore di Brunello di Montalcino. Laureato in lingue straniere e appassionato di marketing, nel 2004 fonda Brookshaw&gorelli, un’agenzia di design specializzata nella comunicazione visiva del buon vino.

Nel 2015 ha fondato una seconda società di vendita e marketing, KH Wines, con clienti che vanno dalle cantine agli importatori e ristoranti gourmet. Partecipa regolarmente a concorsi enologici nazionali e internazionali come presentatore e giudice.

Oltre all’italiano, Gabriele Gorelli parla inglese e francese e ha competenze di base in tedesco. Viaggiatore appassionato, ama staccare e ricaricare le batterie con il trail running e l’Ashtanga yoga.

Assieme al primo master of wine italiano, sono arrivate le nomine per altri 9 “maestri” da tutto il mondo. Si tratta di James Doidge (Uk), Susan Lin (Usa), Moritz Nikolaus Lueke (Germania), Sophie Parker-Thomson (Nuova Zelanda), Álvaro Ribalta Millán MW (Uk), Melissa Saunders (Usa), Kryss Speegle (Usa), Tze Sam (Uk) and Clare Tooley (Us).

Categorie
news news ed eventi

Nunzio Puglisi e il suo Etna in eruzione: «’A Muntagna? Fa paura pure quando dorme»

Paura, rispetto, speranza, commozione. Poche cose nella vita riescono a suscitare lo stesso turbinio di emozioni dell’Etna in eruzione. Chiedere per credere ai siciliani che vivono alle sue pendici. Chiedere, tra tutti, a Nunzio Puglisi, il vignaiolo di Enò-Trio che a Randazzo (CT) ha famiglia e vigneti, anche a mille metri d’altezza.

Raggiunto telefonicamente da WineMag.it, Puglisi sembra appena uscito da una lavatrice in centrifuga. Nelle sue parole, che riportiamo appositamente senza alcuna revisione, il flusso di coscienza di chi è abituato a mettere le mani nella terra dell’Etna, ogni giorno.

Quella stessa terra che oggi è coperta da lapilli. Come le strade, i tetti delle case, le colture. Uno spettacolo che la Sicilia sta vivendo ora dopo ora senza i suoi turisti, in piena pandemia. Un ritorno alla normalità per i catanesi, nell’eccezione che ha la forma d’una “Muntagna”. ‘A Muntagna.

Veniamo fuori da una situazione “pandemica” poco chiara ma abbastanza “macigna” per le nostre forze. Ritengo che la natura è talmente perfetta che se da un lato ci ha regalato il sole, il freddo, la neve, le eruzioni dell’Etna nello specifico, d’altro canto siamo un po’ stanchi per tutto. Ciononostante, in tempi “normali” tutto poteva essere gustato ed apprezzato, pandemia esclusa.

Mi riferisco alla forza della natura che ci ha regalato e donato il sole, il mare, il freddo, la neve e queste splendide eruzioni di fuoco e di lava. Momenti unici se condivisi con persone da diversi parti del mondo.

Restando in tema Etna, eruzione, vulcano, cosa posso dirti. Noi siamo nati qui. Rispettiamo e temiamo nello stesso tempo a “Muntagna”. Se è li tranquilla, innevata, ben elevata, imponente, godiamo della sua maestosità, ma nello stesso tempo la sua calma ci preoccupa.

Se è “attiva” siamo contenti, o convinti, che non possono esserci terremoti, perché ha trovato il suo sfogo. Ci preoccupa lo stesso sfogo: come potrà sfociare, inteso sia per i fiumi di lava che ne possono derivare, che per il fatto del fiume lavico stesso, quale strada potrebbe percorrere. E sì, tutti felici se nella valle del “Bove”, incrociando le dita per il versante che vorrà percorrere.

Ritornando a quanto sta accadendo in questi giorni, possiamo dire tanto spettacolo, che andava condiviso con tanti turisti, oserei dire stranieri nel senso di turisti per l’Etna e l’enogastronomia sicula. Individualmente, la questione Etna, al momento, è vissuta in maniera personale. Tanto spettacolo, alcuni disagi ma tanta paura nello stesso tempo.

Nello specifico, svegliarsi all’una e trenta di notte per i boati continui fortissimi accompagnati da fiamme di fuoco che si elevano nel cielo… Fa un po’ paura.

O ancor di più svegliarsi per via dei boati e subito dopo delle piogge di lapilli: “pietre” che cadono in qualsiasi parte con rumori assordanti, senza risparmiare nulla, né auto, né tutto ciò che vive fuori, per non parlare dei postumi (tetti pieni di lapilli, pluviali intasati eccetera) credimi non è semplice. Soprattutto se pensi: “Finirà?”.

Il giorno dopo si contano i danni. Si ringrazia Dio per esserci, ma noti un paesaggio “spaziale”. Ceneri vulcaniche dappertutto. Ci si organizza , ci si rimbocca le maniche, si spazza, si pulisce. Perché la vita va avanti.

Danni? In questo periodo, fatto eccezione per auto, per i disagi, per le colture ortive, per fortuna molto limitati. Questa è L’Etna , questo il mio pensiero.

Categorie
Approfondimenti

Nasce “Legàmi di Vite”, il progetto di sviluppo “green” dell’Emilia Romagna

Nasce “Legàmi di Vite“, importante contratto di sviluppogreen” nel comparto vitivinicolo dell’Emilia Romagna che prevede interventi per oltre 115 milioni di euro di cui 81 milioni sul versante ambientale. Il progetto, con il coordinamento di Enoteca Regionale e il supporto tecnico della società Artemis e dello Studio Salami, è stato presentato al Ministero dello Sviluppo Economico per il tramite di Invitalia.

Obiettivo del contratto è lo sviluppo di una filiera sostenibile e circolare, anche con la messa a punto di un protocollo ambientale. Un nuovo modello virtuoso di integrazione e aggregazione per valorizzare al meglio l’immagine del vino regionale, ottenuto con il supporto dalla Regione Emilia Romagna con gli Assessorati allo Sviluppo economico e green economy e all’Agricoltura e agroalimentare ed Art-Er.

Gli interventi realizzati saranno molteplici, tra i quali la trasformazione di prodotti agricoli del settore vitivinicolo e loro sottoprodotti (circa 67.000 tonnellate/anno derivanti dai processi di vinificazione) in acido tartarico naturale e biocarburanti avanzati, efficientamento energetico nei processi produttivi, riduzioni dei gas effetto serra.

Previste inoltre azioni per la riduzione dell’impatto ambientale dei processi, la realizzazione e potenziamento di sistemi di depurazione delle acque reflue in uscita dagli stabilimenti (attualmente 560 mila m³/anno di reflui da attività agroalimentare ceduti in depurazione), il miglioramento dei sistemi di confezionamento e di stoccaggio, oltre ovviamente, a un ampliamento della capacità produttiva.

“Il progetto, che la Regione sostiene e promuove – affermano gli assessori regionali Vincenzo Colla (Sviluppo economico) e Alessio Mammi (Agricoltura) – ha caratteristiche davvero innovative per il contesto nazionale: cooperative e aziende, che di norma competono, hanno avuto l’intelligenza e la lungimiranza imprenditoriale di mettersi insieme e strutturarsi per essere ancora più forti, mantenendo un fortissimo legame con il territorio, gli agricoltori e i produttori, salvaguardando la qualità dei loro prodotti e creando al contempo le condizioni per stare su un mercato sempre più globalizzato”.

“Un progetto – concludono Colla e Mammi – davvero capace di raccontare e attuare il modo di fare impresa e creare lavoro del nostro territorio, coerente con una direttrice strategica del Patto per il Lavoro e per il Clima, poiché investe sull’economia circolare in un’idea di riciclo, recupero e riuso della materia prima utilizzata, che è il grappolo d’uva”.

“Una quota importante dell’investimento – sottolinea il presidente di Enoteca Regionale, Giordano Zinzani – servirà anche per proiettare le aziende regionali verso un’industria 4.0, digitalizzata e con un alto grado di innovazione tecnologica. Il tutto si tradurrà anche in un aumento occupazionale stimato in circa 70 nuove assunzioni”.

Al progetto hanno aderito le più importanti realtà regionali cooperative, rappresentative di 12 mila imprese agricole socie, per un totale di 470 mila tonnellate di uva lavorata (il 61 % della produzione dell’Emilia Romagna, dato 2019) e di 3.400.000 ettolitri di vino imbottigliato all’anno.

Numeri importanti anche sotto il punto di vista occupazionale, con ben 1.232.000 giornate/lavoro agricolo e con circa 2.800 unità impiegate nelle cantine. Le aziende aderenti al progetto sono: Caviro Extra, Caviro, Agrintesa, Cantina Forlì Predappio, Cantina di Carpi e Sorbara, Terre Cevico, Le Romagnole, Medici Ermete, Cantine Riunite & Civ, Enomondo.

Categorie
eventi news ed eventi

L’Anteprima del Chiaretto 2020 si fa in due

Il Consorzio di Tutela del Chiaretto e del Bardolino non rinuncia all’Anteprima del Chiaretto 2020, ma la ripensa in una veste del tutta nuova. Considerato il perdurare della pandemia, la dodicesima edizione della manifestazione dedicata al “vino rosadel lago di Garda veronese, che con la recente modifica del disciplinare della denominazione ha adottato ufficialmente il nome Chiaretto di Bardolino, si articolerà in due fasi.

La prima, non “in presenza” e dedicata alla stampa italiana e internazionale, oltre che i blogger e gli influencer del mondo del vino, prenderà avvio ad aprile. La seconda coinvolgerà i produttori e i ristoranti della città di Verona nel mese di maggio, quando prenderà il via anche la seconda edizione di 100 Note in Rosa, manifestazione che animerà le serate estive della città scaligera, della provincia e della riviera gardesana con i migliori talenti musicali di Verona.

Nonostante la pandemia e il conseguente deciso calo di presenze turistiche sul lago di Garda – spiega Franco Cristoforetti, presidente del Consorzio di Tutela del Chiaretto e del Bardolino – le vendite di Chiaretto di Bardolino si sono mantenute costanti sul mercato».

Un segnale importante, che dimostra ancora una volta come le scelte del Consorzio siano state lungimiranti, confermando la nostra denominazione come leader tra i vini rosa in Italia. Anche per questo motivo abbiamo deciso di non rinunciare all’Anteprima e alla presentazione dell’annata 2020, ma di ripensare la manifestazione in nuove modalità».

«Le condizioni climatiche del 2020 – aggiunge Andrea Vantini, responsabile dell’area tecnica del Consorzio – hanno consentito un perfetto sviluppo delle componenti aromatiche fruttate delle uve, che si traducono nel Chiaretto di Bardolino nella presenza soprattutto di agrumi e piccoli frutti di bosco».

Le caratteristiche del microclima locale, invece, hanno garantito la presenza di quelle componenti di freschezza e di sapidità che sono tipiche del Chiaretto di Bardolino. Come conferma l’assaggio dei vini che stanno uscendo sul mercato, quella del 2020 è stata una buona annata nonostante il periodo di considerevole cambiamento climatico».

In particolare, la “Fase 1” dell’Anteprima – così come fatto dal Consorzio Tutela Vini Valpolicella per la Valpolicella Annual Conference, in partenza domani – prevede l’invio alla stampa di un’ampia campionatura di Chiaretto di Bardolino della nuova annata (intorno alla cinquantina di etichette), ricondizionata in bottigliette di vetro (preferito ad altre soluzioni) del contenuto di 5 cl, ovvero il quantitativo normalmente servito nelle degustazioni professionali.

Dopo due mesi di test, il Consorzio ha scelto le bottiglie di Vignon®, il primo servizio italiano di ricondizionamento di vino e alcolici pensato per supportare tutti gli attori impegnati nella formazione, promozione e vendita nel settore beverage. Le Vignon® sono leggere e resistenti ed evitano gli sprechi perché consentono di fare assaggiare la stessa bottiglia contemporaneamente, in condizioni ottimali, a più persone in luoghi diversi.

Tutto il processo di ricondizionamento avviene in ambiente protetto per rispettare il lavoro dei produttori e garantire il mantenimento delle caratteristiche organolettiche del prodotto di origine. Assieme ai campioni di Chiaretto di Bardolino, verranno inviati anche degli assaggi di formaggio Monte Veronese Dop e un mini libro dedicato al Chiaretto.

Categorie
Food Lifestyle & Travel

Il Giro d’Italia torna a Montalcino e Siena

Il 19 e 20 maggio 2021 il Giro d’Italia, edizione 104 in cui si celebrano i 90 anni della maglia rosa, farà nuovamente tappa in terra di Siena. La tappa n. 11 Perugia – Montalcino, la “Brunello di Montalcino wine stage”, del 19 maggio (163 km) arriverà nella terra del Brunello dopo aver percorso 70 km tra le eroiche strade bianche e i passaggi della Valdorcia.

La tappa n. 12 Siena – Bagno di Romagna del 20 maggio (209 km) che partirà proprio dalla Piazza del Campo della città del Palio. Il Giro a Montalcino mancava da 11 anni (2010) a Siena addirittura da 35 anni (1986).

Un appuntamento, atteso da appassionati e residenti voluto fortemente dal Comune di Montalcino e dal Comune di Siena, grazie alla partnership con il Consorzio del vino Brunello di Montalcino e che sarà preceduto da un mese di appuntamenti di avvicinamento sul territorio che saranno presentati nelle prossime settimane.

«La nostra scelta è stata sin da subito quella di esserci, non solo per il valore dell’evento, ma anche perché da sempre il Consorzio del vino Brunello di Montalcino e le sue aziende rappresentano un unicum con il loro territorio», dice Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio del vino Brunello di Montalcino.

«Grazie al vino – prosegue Bindocci – Montalcino è oggi un brand globale e la sua economia si basa su un moderno modello di comunità agricola in grado di generare occupazione, valore aggiunto e turismo di fascia alta proveniente da tutto il mondo. Il ciclismo è uno sport che richiede passione e abnegazione ma che è capace di dare grandi soddisfazioni, le stesse di un Brunello dopo anni di lavoro in vigna da parte dei nostri soci».

«Per tutti noi aver riportato la corsa rosa a Montalcino, in un anno così difficile, è motivo di orgoglio e vuole essere il segnale che guardare con ottimismo e fiducia ad una ripartenza del nostro territorio, è possibile – spiega il Sindaco di Montalcino Silvio Franceschelli – L’Amministrazione comunale ha fatto un grande investimento in termini infrastrutturali e di coordinamento. Ci auguriamo che il Giro d’Italia, a maggio, possa essere l’occasione per segnare un nuovo inizio».

«Abbiamo giocato di squadra altrimenti una manifestazione importante come questa non saremmo riusciti ad intercettarla – ha aggiunto Alberto Tirelli assessore al turismo del Comune di Siena – Sarà sicuramente un palcoscenico nazionale sul quale ci andremo a proporre come territorio. Se pensiamo al turismo di prossimità che riteniamo di poter andare ad intercettare nei prossimi mesi, è sicuramente è un buon investimento».

Categorie
Esteri - News & Wine

Sudafrica, aumentano le accise su vino, spumante e distillati

Nuovi guai per il settore vitivinicolo sudafricano. Secondo l’associazione di rappresentanza Vinpro, l’aumento delle accise introdotto dal governo del Sudafrica «infliggerà un colpo finale a molte aziende vinicole e ostacolerà ulteriormente la ripresa economica dell’industria vinicola sudafricana».

L’annuncio delle nuove tariffs è arrivato poche ore fa, durante il discorso sul bilancio nazionale del ministro delle Finanze, Tito Mboweni. Le accise aumentano dell’8% su vino, spumante e distillati.

«Siamo estremamente delusi che il governo, ancora una volta, non abbia ascoltato la voce dei produttori», commenta il managing director di Vinpro, Rico Basson.

Vinpro e altre organizzazioni del settore hanno sottolineato la difficile situazione dell’industria vinicola sudafricana nelle discussioni con il governo negli ultimi mesi e hanno chiesto che l’accisa non sia aumentata di oltre il 50% dell’indice dei prezzi al consumo (IPC)».

«Alla luce della grave situazione finanziaria in cui si trova la nostra industria – continua Basson – ora abbiamo bisogno di stabilità, certezza politica e credito. L’aumento delle accise non è una misura in questa direzione e può infliggere un colpo finale a molte aziende che sono già in ginocchio, il che a sua volta contribuirà alla già grande perdita di posti di lavoro e esacerbare le sfide socioeconomiche in queste comunità».

Gli aumenti delle accise non influiscono necessariamente sulla tasca del consumatore, quanto più sui produttori di uva da vino. Di una bottiglia media di vino venduta a 45 Rand, il governo ne incassa 10,04 da accise ed Iva, rispetto ai produttori di uva da vino che guadagnano un reddito agricolo netto di 0,77 Rand per bottiglia.

Categorie
a tutto volume news news ed eventi

Dopo la birra analcolica è giunta l’ora dei “distillati senza alcol”?

Sempre più prodotti “low and noalcol si affacciano sul mercato mondiale. Dopo il trend di crescita della birra analcolica, evidenziato anche da un’analisi di Global Market Insights, è il mondo degli spirit a confrontarsi in modo sempre più importante con questa tendenza.

Il “No-and-Low Alcohol Strategic Study 2021” presentato da IWSR Drinks Market Analysis e condotto nei 10 mercati di riferimento – Australia, Brasile, Canada, Francia, Germania, Giappone, Sud Africa, Spagna, Uk e Stati Uniti, che insieme rappresentano il 75% del mercato mondiale dell’analcolico – mostra come gli spirit a basso o nullo contenuto di alcol abbiano aumentato le vendite del 32,7% nel solo 2020 nonostante la chiusura dei bar in tutto il mondo.

Un dato che ha portato questi prodotti ad occupare il 3% del mercato mondiale degli “alcolici” e che, prevede lo studio, porterà al 31% nel 2024. «Quello che stiamo vedendo – dice Mark Meek, Ceo di IWSR Drinks Market Analysis – è una tendenza alla moderazione che si sta diffondendo nei principali mercati globali e che porta con sé una maggiore domanda di bevande con contenuto di alcol ridotto o nullo».

Lo studio mostra come per il 64% del campione l’occasione migliore per consumare prodotti a basso tenore alcolico è quando ci si rilassa a casa. Inoltre i consumatori affermano che, nonostante la scelta sia dovuta al desiderio di evitare gli effetti negativi dell’alcol, il gusto resta comunque un importante criterio di decisone. In pratica i bevitori sono disposti a pagare lo stesso prezzo per una “buona” alternativa analcolica.

In questo – aggiunge Meek – le aziende produttrici avranno un ruolo importante nello sviluppo futuro di bevande a contenuto di alcol basso o nullo, poiché sarà l’aumento del numero di prodotti disponibili per i consumatori e il loro posizionamento di prezzo a sostenere la crescita della categoria e ad ampliarne l’attrattiva».

Non a caso grandi aziende come Diageo e Pernod Ricard stanno sempre più percorrendo questa strada. Diageo, dopo aver lanciato Gordon’s 0.0% nel dicembre 2020, ha recentemente introdotto Tanqueray 0.0%. Due gin che, a detta della casa madre, mantengono le stesse caratteristiche organolettiche degli originali perché prodotti con le stesse botaniche.

«Abbiamo unito anni di esperienza e conoscenza storica della distillazione di gin per creare un’esperienza credibile senza alcol – dice Anita Robinson, Marketing Director di Diageo – Le botaniche vengono immerse individualmente in acqua, riscaldate e quindi distillate prima di essere miscelate insieme per catturare l’essenza di Tanqueray e Gordon’s in versione senza alcool».

Punta invece su un basso contenuto di alcol Pernod Ricard che a gennaio 2021 ha lanciato sul mercato spagnolo Beefeater Light e Ballantine’s Light, un “gin” ed un “whisky” a solo 20% Abv.

«I nostri esperti – dice Jean Christophe Coutures, Ceo di Pernod Ricard Whisky Unit – hanno lavorato duramente per creare spirit che si adattino al bere consapevole senza compromettere il sapore e per dare agli appassionati di scotch e gin un nuovo modo di godersi l’esperienza».

Categorie
Food Lifestyle & Travel news news ed eventi

Aceto Balsamico Made in Slovenia: «Scippo da 1 miliardo di euro»

«L’inaccettabile scippo del nome di “aceto balsamico” da parte della Slovenia mette a rischio un miliardo di euro di valore al consumo e rappresenta un attacco all’intero sistema del Made in Italy di qualità». È quanto denuncia la Coldiretti nel commentare la decisione del Governo sloveno di varare una norma con la quale qualsiasi miscela di aceto di vino con mosto concentrato si potrà chiamare, e vendere, come “aceto balsamico”.

Una scelta, peraltro già notificata alla Commissione Europea, «che va contro – rileva Coldiretti – le attuali norme comunitarie che tutelano Dop e Igp e disciplinano il sistema di etichettatura e informazione del consumatore».

La questione è arrivata sul tavolo del neo Ministro delle Politiche Agricole, Senatore Stefano Patuanelli e proprio in queste ultime ore, la Direzione Qualità del Mipaaf sta predisponendo la documentazione tecnica necessaria per completare il dossier che dovrà essere notificato alla Commissione.

Il tempo non è molto perché l’atto di opposizione dovrà essere notificato in Commissione entro il 3 marzo 2021 e la preoccupazione dei Consorzi cresce con il passare dei giorni.

Secondo la Confederazione nazionale Coltivatori diretti, l’iniziativa slovena «rischia di andare a ingrossare il mercato internazionale del falso Made in Italy, che fattura già oltre 100 miliardi di euro utilizzando impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che, secondo un’analisi Coldiretti e Filiera Italia, si richiamano all’Italia per prodotti taroccati che non hanno nulla a che fare con la realtà nazionale».

Un’industria del falso sempre più fiorente che ha i suoi centri principali in Paesi come Australia, Canada e Stati Uniti e in tutto il Sudamerica. Una spinta importante alle imitazioni sarebbe stata data proprio dai dazi aggiuntivi nei confronti dei formaggi e salumi italiani, che hanno favorito le “brutte copie” locali.

La manovra slovena sull’aceto balsamico rischia dunque di diventare un precedente pericoloso contro il quale occorre – sottolinea Coldiretti – attivarsi immediatamente a livello comunitario per garantire la difesa di uno dei prodotti simbolo del Made in Italy».

Sono riconosciuti e tutelati dall’Unione Europea l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop, l’Aceto Balsamico di Modena Igp (Indicazione Geografica Protetta), l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Dop, e l’Aceto Balsamico di Reggio Emilia Igp. Prodotti ottenuti nel rispetto di specifici disciplinari di produzione, il cui savoir-faire è trasmesso di generazione in generazione.

LE REAZIONI DEL SETTORE

Non ci gira attorno il il direttore del Consorzio Aceto Balsamico di Modena, Federico Desimoni, che parla di «grande offesa della tradizione e degli sforzi fatti dai produttori delle eccellenze modenesi e dell’insieme di attività di divulgazione dei Consorzi, che lo hanno reso famoso nel mondo».

L’operazione della Slovenia viene definita «illegittima ed in contrasto con i regolamenti comunitari che tutelano Dop e Igp e disciplinano il sistema di etichettatura e informazione del consumatore». Un «attacco diretto al sistema agroalimentare di qualità europeo, al diritto dei consumatori ad un’informazione corretta e trasparente e degli operatori commerciali ad una concorrenza leale».

Ci troviamo nuovamente di fronte ad una situazione che rischia di danneggiare non solo il comparto dell’Aceto Balsamico di Modena ma tutto il sistema delle Dop e delle Igp italiane – commenta il Presidente del Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico di Modena Igp Mariangela Grosoli – e sarà fondamentale, anche stavolta, fare leva sulla collaborazione delle Istituzioni».

Il riferimento è al Ministero Politiche Agricole, ed in particolare la Direzione Qualità, che Grosoli ringrazia «per il prezioso sostegno nella tutela del nostro settore, già direttamente coinvolta e al lavoro sul dossier».

Grande sostegno è arrivato dall’associazione di riferimento dei Consorzi di Tutela, OriGIn Italia, che si è immediatamente attivata chiedendo al Governo di opporsi formalmente a livello comunitario alla proposta slovena.

«Chiediamo al Governo che formalizzi al più presto l’atto di opposizione – afferma il Presidente del Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Enrico Corsini – e con l’occasione rivolgiamo a nome dei due Consorzi i più sentiti auguri di buon lavoro al nuovo titolare del Dicastero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali».

Alla voce dei Consorzi si affianca quella della politica a difesa del mondo delle Dop e Igp, e in particolare dell’Aceto Balsamico di Modena: “La problematica evidenziata dal Consorzio è grave ed urgente e rappresenta una priorità per la tutela del sistema Paese ed in particolare di un asset fondamentale del sistema economico nazionale», afferma con decisione l’onorevole Benedetta Fiorini, Segretario della Commissione Attività Produttive.

Proprio per questo chiediamo al Governo di assicurare un intervento formale puntale e tempestivo che garantisca una tutela efficace. La salvaguardia delle produzioni tipiche italiane, vere eccellenze nel mondo come l’aceto balsamico di Modena, deve essere una assoluta priorità.

Inoltre, è necessario rafforzare concretamente l’azione di tutte le strutture della filiera per garantire sostegno, tutela e promozione. Tutelare la qualità significa garantire identità».

Il supporto e la richiesta di un’azione decisa e tempestiva del Governo arriva anche dalla Regione Emilia-Romagna. «Le due Dop dell’Aceto Balsamico tradizionale, di Modena e di Reggio Emilia, e l’Igp Aceto Balsamico di Modena rappresentano un solidissimo legame con il territorio emiliano e una risorsa preziosa per l’economia regionale», sottolinea l’assessore regionale all’Agricoltura Alessio Mammi.

Categorie
news news ed eventi

Vinitaly conferma le date 20-23 giugno. Veronafiere: «Un evento per la ripartenza»

«Un evento per la ripartenza nel segno del business, di respiro internazionale e altamente profilato che chiama a raccolta il mondo del vino, in un’area espositiva sicura di 300 mila metri quadrati». Con queste parole Veronafiere conferma le date di Vinitaly 2021 (20-23 giugno 2021 a Verona) e sintetizza i perché del sì alla kermesse.

Una «sintesi progettuale», quella della 54ª edizione di Vinitaly, che avrà come prologo il decennale di OperaWine, previsto per il 19 giugno. «Un’edizione focalizzata sul rilancio del settore e sulla ripresa delle relazioni commerciali in presenza», sostiene ancora Veronafiere.

Prolungate dunque le tempistiche per l’adesione alla rassegna: c’è tempo fino al 12 aprile, quasi un mese e mezzo in più rispetto all’ultimatum precedente, che fissava il termine ultimo al 1 marzo.

Al vaglio, secondo rumors di WineMag.it, un programma per la gestione in sicurezza degli spazi: ingressi contingentati a un massimo di 45 mila persone al giorno e misure pratiche per il distanziamento. Consentita, sempre secondo rumors, una persona ogni 4 metri quadrati agli stand.

Un aspetto che dovrebbe convincere diversi attori (vedi i Consorzi Toscani di Avito, nonché la Federazione italiana vignaioli indipendenti – Fivi) a non sbilanciarsi ulteriormente in queste settimane, lasciando (presumibilmente) la porta aperta a Vinitaly 2021.

«Sarà un Vinitaly unico – commenta il presidente di Veronafiere, Maurizio Danese – in cui ognuno sarà chiamato a fare la propria parte per richiamare la centralità del vino italiano nel mondo: organizzatori, imprese, istituzioni, media che vorranno parteciparvi lo potranno fare nella consapevolezza dell’importanza di partecipare a un evento live».

Veronafiere, che continua a osservare l’evoluzione degli scenari sui mercati di riferimento attraverso la rete dei propri partner e rappresentanti esteri. I contatti con le autorità preposte «sono costanti».

Nodo delicatissimo è quello degli incoming di buyer e operatori. Vinitaly, in partnership con Ice Agenzia, sta mettendo in campo ingenti investimenti su «un progetto flessibile, modulabile in base agli scenari e in grado di intercettare tutti i cambiamenti sul fronte internazionale che potranno verificarsi nei prossimi 4 mesi».

Vinitaly 2021 ha infatti come obiettivo primario «una importante azione di incoming di operatori e buyer dai principali paesi target dell’area Ue». Focus anche sulla ripresa del mercato interno con il coinvolgimento di buyer e di stakeholder delle filiere strategiche per la vendita e il consumo di vino italiano.

«Vinitaly 2021 resta fortemente focalizzato sul b2b – ribadisce il Ceo di Veronafiere, Giovanni Mantovani – opportunamente selezionato e invitato. L’Italia e l’Europa sono i mercati di maggior produzione e consumo al mondo. Se le condizioni saranno favorevoli, siamo già pronti a intervenire anche sulla domanda extra europea, a partire da quella Usa.

È già iniziata la programmazione con ICE per l’incoming e l’obiettivo è quello di assicurare la presenza di buyer e operatori alla manifestazione. Tutto il mese di marzo sarà dedicato a incontri con le aziende ed allo sviluppo delle relazioni con i mercati».

In quartiere e tra gli stand, riferisce Veronafiere, «la parola d’ordine è e sarà sicurezza, in totale osservanza delle disposizioni previste dal protocollo elaborato da Aefi (Associazione esposizioni e fiere italiane) adottato da tutti i soggetti fieristici e ulteriormente integrato e rafforzato dalla Spa di viale del Lavoro».

Anche il layout di Vinitaly 2021, da quello di manifestazione fino agli stand delle singole aziende, risponderà ai criteri stabiliti dai protocolli safety care. È stato attivato per gli espositori, inoltre, un servizio gratuito di consulenza e assistenza con un team di architetti per la progettazione in sicurezza degli spazi e delle aree espositive, anche con modalità innovative.

La sanificazione continua dei padiglioni e delle attrezzature, 400 telecamere di sorveglianza e monitoraggio anti-assembramento collegate a una centrale operativa, un presidio medico diagnostico in tempo reale e dotato di tutti i servizi necessari, garantiscono la presenza fisica nell’area espositiva in sicurezza. Infine, è stato integrato tecnologicamente il sistema di climatizzazione che permette il controllo di temperatura, umidità su tutta l’area espositiva interna, con ricambi d’aria gestiti secondo i migliori standard.

Categorie
birra news news ed eventi

Marchio “Birra contadina”: scontro Coldiretti-Consorzio Birra Italiana-Cascina Motta

È bufera sull’utilizzo della formula “Birra contadina” da parte di Coldiretti e Consorzio Birra Italiana. I due enti avrebbero utilizzato indebitamente il termine lo scorso 17 febbraio, nell’ambito del webinar “Come nasce la birra contadina“. Quest’ultimo sarebbe in realtà «un marchio privato» registrato da Massimo Prandi, imprenditore e socio del birrificio artigianale Cascina Motta. L’unica, dunque, a poter usare “birra contadina” riferendosi «a un preciso disciplinare di produzione».

IL PUNTO DI VISTA DI COLDIRETTI
«La situazione sembra un po’ paradossale – dichiara a WineMag.it Domenico Bosco di Coldiretti – “Contadina è un aggettivo e come tale non può essere registrato in esclusiva, così come “birra”, che è un termine generico. La registrazione potrebbe aver senso solo a fronte di una veste grafica particolare che comunque non è stata da noi utilizzata».

«L’incontro web – prosegue il dirigente della Confederazione – voleva essere un momento informativo generale e non legato ad uno specifico prodotto commerciale. Siamo Coldiretti, l’aggettivo “contadino” in un certo senso ci appartiene ed è in questo senso che è stato utilizzato».

Coldiretti si dice sicura che la definizione “Birra contadina” non possa essere registrata come marchio privato in quanto troppo generico e relativo ad una macro categoria di prodotto, analogamente a quanto successo alcuni anni fa col colosso Carlsberg Italia che tentò di registrare il marchio “luppolo“, vedendosi sconfitta in sede legale.

Dello stesso avviso anche Consorzio Birra Italiana che. Pur chiamandosi fuori dalla querelle in quanto ospite e non organizzatore della webinar in questione, il direttore generale Carlo Schizzerotto esprime «perplessità rispetto alla validità di registrazione su di un marchio a nome comune» sostenendo inoltre di aver già fatto presente la situazione a Prandi in passato.

LA RISPOSTA DI MASSIMO PRANDI
Massimo Prandi, in qualità di proprietario del marchio “Birra contadina” dal 2016, ribadisce invece come la registrazione sia avvenuta «nel pieno rispetto della legalità» e ricorda come «già in passato» abbia «diffidato bonariamente Coldiretti e Consorzio Birra Italiana dal suo utilizzo». All’orizzonte ci sarebbe una diffida formale.

«I marchi “Birra contadina” e “Birrificio contadino” sono stati da me registrati – sostiene Prandi – e concessi in uso esclusivo ed oneroso a Cascina Motta, di cui faccio parte. Questo perché Cascina Motta rispetta il disciplinare di produzione che è stato depositato contestualmente ai marchi. Vale a dire che Cascina Motta produce birra a fronte di materie prime autoprodotte ed autotrasformate».

Nel progetto di Prandi vi è una severa distinzione fra le “Birra contadina” e la “Birra da filiera agricola” (o “Birra agricola“). Mentre la prima è prodotta da un’azienda agricola che integra in se l’intera filiera produttiva “grain to glass” (dalla campagna al bicchiere), la seconda è una birra prodotta da un birrificio che fa uso esclusivamente di materie prime da filiera agricola italiana ma non necessariamente autoprodotte.

Nulla osta, quindi, a che il marchio venga concesso, a fronte del riconoscimento di una royalty, ad ogni altro birrificio artigianale che dimostri di rispettare il disciplinare di autoproduzione delle materie prime.

Convinto della sua posizione, Prandi annuncia di fatto di voler procedere per vie legali nei confronti di Coldiretti e del Consorzio Birra Italiana, per «l’uso improprio del marchio registrato».

Categorie
news news ed eventi

Domopak salverà il mondo? No, ma pare aiuti contro l’odore di tappo

Partiamo dalla fine: è una di quelle volte in cui è bello sapere il risultato ancor prima di godersi i 90 minuti di gioco. Pare infatti che il film plastico, quello che tutti abbiamo in casa e che molti chiamano semplicemente pellicola o Domopak, sia utile contro l’odore di tappo nel vino. Basterebbe lasciarlo a contatto per «rimuovere in modo parzialmente selettivo» il Tricloroanisolo (Tca).

Pressoché nessuna controindicazione. Le analisi condotte rivelano che «non vi sono conseguenze significative sulla qualità organolettica del vino». Anche se il film plastico trattiene anche alcuni esteri, ovvero alcuni dei classici profumi del vino, è stato confermato che «la loro diminuzione non influenza la percezione del fruttato».

I risultati ottenuti nei test vengono definiti «incoraggianti per il settore vitivinicolo», perché «questo trattamento, efficace nel ridurre significativamente il “difetto di tappo”, è facile da implementare e potrebbe aiutare a ripristinare un potenziale organolettico qualitativamente accettabile nei vini contaminati da anisoli».

Peraltro, «poiché il film plastico utilizzato è per uso alimentare, il suo impiego non comporta rischi per la salute del consumatore». Game, set, match. Ora però è tempo di vedere come è andata la partita, analizzandola al Var.

La scoperta degli effetti positivi della pellicola sui vini con odore di tappo deriva da uno studio condotto dai ricercatori María Reyes González-Centeno, Sophie Tempère, Pierre-Louis Teissedre, Kleopatra Chira, pubblicato lo scorso anno dalla rivista Food Chemistry nell’articolo dal titolo “Use of alimentary film for selective sorption of haloanisoles from contaminated red wine“.

Un approfondimento rilanciato dalla rivista Ives Technical Reviews dell’Institut des Sciences de la Vigne et du Vin, nel novembre 2020. Si tratta di un’associazione fondata nel 2017 da un gruppo di università e istituti di ricerca che puntano «a condividere gratuitamente i risultati della ricerca scientifica del settore con i ricercatori e i professionisti».

Il punto di partenza della team “anti odore di tappo” è semplice: «Oggi – recita la pubblicazione – la messa a punto di una soluzione rispettosa del vino che sia efficace nell’eliminazione degli anisoli, senza danneggiare il potenziale organolettico del prodotto, è più che mai necessaria e attesa nel settore».

Lo studio, condotto in Francia, ha preso in considerazione un vino rosso dell’annata 2013 (70 % Cabernet Sauvignon, 30 % Merlot), affinato per 24 mesi in barrique da 225 litri di tostatura medio-alta, naturalmente contaminato da differenti concentrazioni di anisoli.

Il vino è stato sottoposto a un trattamento con un film plastico per uso alimentare (dose: 20 m2/hl) per 48 ore ed è stato campionato prima del trattamento e dopo 8, 24 e 48 ore.

L’efficacia del film – recita lo studio – è stata valutata in relazione ai tenori di anisoli dei vini non trattati. Per valutare l’impatto del trattamento sui parametri chimici e sulla qualità organolettica dei vini, sono state condotte analisi relative al colore, ai parametri enologici di base, alla composizione fenolica e aromatica, nonché l’analisi sensoriale».

Il “Domopak” ha permesso di ridurre significativamente e progressivamente il livello di Tca (2,4,6-tricloroanisolo) presente nel vino iniziale. «L’efficacia del trattamento – prosegue la pubblicazione – è tanto più elevata quanto maggiore è il tempo di contatto vino-film». Nel caso delle Barriques B e C, l’immersione del film plastico nel vino per 8 ore consente di ridurre il contenuto di Tca di una percentuale dal 47 al 57%.

Dopo 24 e 48 ore di trattamento, sono state osservate rispettivamente diminuzioni del 74% e dell’82% circa della concentrazione iniziale di Tca contaminante. Nel caso della Barrique A, non è stato possibile quantificare il tasso di decontaminazione per via di un «contenuto di Tca inferiore al limite di quantificazione».

Tuttavia va notato che dopo 48 ore di “trattamento Domopak”, «il contenuto in Tca raggiunge valori al di sotto del limite di rilevabilità». «Nel nostro studio – continua la pubblicazione – il contenuto in Tca dei vini al termine del trattamento appare inferiore o prossimo al valore più basso di soglia di percezione riportato in letteratura».

La soglia di percezione dell’odore di tappo nel vino varia infatti tra 1,5-3,0 ng/l, a seconda della sensibilità e della competenza degli assaggiatori, nonché della matrice e dello stile del vino contaminato.

Quanto ai tipi di anisoli, Pca (pentacloroanisolo) e Tba (2,4,6-tribromoanisolo) non sono stati rilevati nei vini analizzati. D’altra parte, tutti hanno mostrato tracce di TeCA (2,3,4,6-tetracloroanisolo) che sono state eliminate durante le prime 8 ore di trattamento. Sorprendente, infine, l’impatto sulla composizione chimica dei vini trattati.

L’uso del film plastico non ha avuto effetti significativi sui parametri enologici di base (pH, densità, grado alcolico, acidità totale e volatile, rapporto glucosio/fruttosio, contenuto di acido malico, lattico e tartarico), sugli aromi legnosi, anche “speziati” e “affumicati”, e sul contenuto in composti fenolici totali e tannini totali nei vini trattati, indipendentemente dalla durata del trattamento».

Oltre le 24 ore di “trattamento Domopak” è stato invece osservato un leggero aumento del contenuto iniziale di antociani totali, in due delle barrique (A e C). «Poiché gli antociani svolgono un ruolo fondamentale nel colore dei vini rossi – spiegano i ricercatori – sarebbe interessante seguirne l’evoluzione durante l’invecchiamento in bottiglia, al fine di valutare se questo leggero aumento abbia o meno un impatto sul prodotto finale».

Più “film” per tutti, insomma. Ce n’è abbastanza per una serie tv ad hoc, su Netflix. Ché se non salverà il mondo, almeno Domopak ci preserverà dall’odioso “sentore di tappo”. Forse.

Categorie
news news ed eventi

Luca Rigotti è il nuovo Presidente del Gruppo di Lavoro Vino del Copa-Cogeca

Luca Rigotti è stato eletto per acclamazione Presidente del Gruppo di Lavoro Vino del Copa-Cogeca, la principale organizzazione di rappresentanza agroalimentare europea. Succede al francese Thierry Coste, che ha mantenuto l’incarico per 11 anni. È la prima volta che alla presidenza del gruppo Vino viene eletto un italiano.

Luca Rigotti, 56 anni, imprenditore del settore vitivinicolo, laurea in Giurisprudenza, è dal 2012 presidente del Gruppo Mezzacorona e della controllata Nosio S.p.a.. Nel 2019 ha assunto il ruolo di Coordinatore del Settore vitivinicolo dell’Alleanza cooperative Agroalimentari, che associa 400 cantine cooperative che producono il 58% del vino italiano.

«Ringrazio tutte le delegazioni per il sostegno e per la fiducia che mi hanno dimostrato sostenendo la mia candidatura come rappresentante italiano – ha dichiarato il presidente Rigotti – Il mio sarà un mandato all’insegna della continuità con l’importante lavoro svolta da Coste in questi anni a cui va un ringraziamento particolare per la professionalità e l’impegno dimostrati».

«Ritengo – prosegue Rigotti – che sarà indispensabile continuare a promuovere il dialogo e un attivo coinvolgimento di tutti i Paesi rappresentati all’interno del Gruppo di lavoro: solo così potremo affrontare e vincere le numerose sfide a cui si trova davanti il settore. Se questo è vero in termini assoluti, lo è ancor di più in questa fase di estrema difficoltà che il mondo produttivo si trova ad attraversare».

«È mio obiettivo – conclude il neo presidente del gruppo Vino Copa Cogeca – allo stesso tempo, continuare a promuovere un proficuo dialogo con le Istituzioni europee e con le altre organizzazioni europee rappresentative del settore vitivinicolo».

Categorie
Food Lifestyle & Travel news news ed eventi

Ristoranti, Fipe: «Apertura serale in zona gialla non più rinviabile»

«La riapertura serale, almeno nelle zone gialle, dei pubblici esercizi in grado di garantire il servizio al tavolo non è più rinviabile». Lo sottolinea Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi.

«Chiediamo ai nostri imprenditori di applicare con rigore i protocolli sanitari e chiediamo alle Istituzioni controlli a tappeto perché tutti li rispettino. Tutto questo per consentirci di poter riaprire anche alla sera, fino alle 22, in zona gialla e fino alle 18 in zona arancione».

«È significativo che anche l’Anci, e dunque i sindaci di tutta Italia, si sia detta favorevole a un allentamento delle restrizioni – continua Fipe – nei confronti di bar e ristoranti. Sta crescendo la consapevolezza che è più facile far rispettare le misure di distanziamento e di sicurezza sanitaria all’interno di un locale, piuttosto che nelle piazze e nelle strade dove le persone finiscono per assembrarsi senza alcuna precauzione.

Ci auguriamo che il primo Dpcm del nuovo governo segni un cambio di passo nelle politiche di mitigazione del contagio da covid19, che da troppo tempo stanno penalizzando solo alcune categorie caricandole di responsabilità che non gli spettano».

«Da un anno – prosegue la Federazione italiana pubblici esercizi – portiamo avanti la battaglia a difesa della dignità di centinaia di migliaia di imprese che non possono essere aperte o chiuse con un’ordinanza pubblicata nella notte e valida dalla mattina successiva».

Secondo Fipe «occorre rispetto per il lavoro di oltre un milione di persone e per un’intera filiera che proprio in bar e ristoranti ha un fondamentale punto di riferimento». Richieste che arrivano «mentre i contagi si stanno diffondendo a macchia di leopardo sul territorio, con piccoli focolai e città pressoché immuni».

In virtù della situazione attuale, la Federazione pubblici esercizi chiede che le azioni siano a misura locale: «Chiediamo che le aperture possano essere regolate anche su base locale, di modo che le misure restrittive siano efficaci e selettive».

Categorie
Food Lifestyle & Travel news news ed eventi

Dolce Milano: la Lombardia candida il panettone a patrimonio Unesco

Regione Lombardia candiderà il panettone come Patrimonio immateriale dell’umanità Unesco. Il dolce rappresenta Milano, la Lombardia e l’Italia nel mondo. «È il risultato di una forma d’arte – commenta l’assessore regionale Fabio Rolfi – che si tramanda da secoli e che è conservata e valorizzata dai nostri maestri pasticcieri, che saranno ambasciatori straordinari di questa candidatura».

Abbiamo già avviato interlocuzioni con le associazioni di categoria e con gli altri enti istituzionali. C’è unità di intenti per dare la giusta valorizzazione a un simbolo del nostro territorio. Il panettone è cultura e tradizione, ma anche economia. Crediamo che l’arte artigianale con cui viene realizzato meriti un riconoscimento mondiale».

Rolfi, assessore all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi della Regione Lombardia, ha partecipato oggi a palazzo Bovara, a Milano, alla finale Italia della Coppa del mondo di panettone.

«La collaborazione della Regione Lombardia con Confcommercio e con l’associazione Maestro Martino è sempre più stretta e fattiva – ha aggiunto – con l’obiettivo unico di promuovere i prodotti di eccellenza del nostro territorio, grazie ai quali la Lombardia si fa conoscere a livello internazionale per qualità e sicurezza alimentare».

Categorie
a tutto volume news news ed eventi

Nasce Strada Ferrata, la distilleria figlia di Birrificio Italiano e Railroad Brewing

È ufficialmente iniziata l’avventura di Strada Ferrata, la distilleria artigianale nata dalla sinergia di Birrificio Italiano e Railroad Brewing. Dopo il nulla osta ufficiale dell’Agenzia delle Dogane lo scorso 11 febbraio, sono finalmente iniziate le prime distillazioni “vere” che daranno vita ai prodotti di Strada Ferrata.

Abbiamo la possibilità di essere i primi a scrivere le regole di una nuova tradizione», dice Benedetto “Benny” Cannatelli (Railroad) con negli occhi l’entusiasmo di chi è consapevole di tracciare una strada nuova.

Strada Ferrata nasce dal desiderio di “fare un passo in più” e di evolvere il concetto di birrificio artigianale verso quello di distillazione artigianale analogamente a quanto già successo negli Stati Uniti col fenomeno del Craft Distilling.

«Vogliamo pensare al liquido da distillare più che alle botti in cui verrà maturato il distillato», afferma Agostino Arioli (Birrificio Italiano) sottolineando come la grande competenza sulle fermentazioni sviluppata in decenni di esperienza come mastro birraio sarà fondamentale per creare il primo «whisky artigianale all’italiana».

Creatività, cura maniacale del processo, uso di materie prime italiane (finanche all’alambicco) attentamente selezionate e ricerca dell’equilibrio sono i paradigmi di Strada Ferrata. Non resta che attendere per poter degustare questa nuova declinazione dello “spirito italiano“.

Categorie
birra

Unionbirrai: proposta la Legge Regionale sulla birra artigianale per rilanciare il settore

Un’occasione di confronto sulla proposta di Legge Regionale sulla birra artigianale, come quelle già portate avanti da Regione Lombardia e Regione Abruzzo, e per approfondire il tema del turismo birrario, analizzando le opportunità e i vantaggi che il turismo può dare al settore della birra artigianale.

Questi i punti dell’appuntamento in live streaming sul canele YouTube di Unionbirrai, associazione di categoria dei piccoli birrifici indipendenti, dal titolo “Birra artigianale italiana: leggi regionali, territorialità e turismo“, con la partecipazione dell’avv. Andrea Soncini, consigliere Unionbirrai, del prof. Silvio Menghini, docente di Marketing agro-alimentare all’Università di Firenze, di Antonio Massa, membro del Gruppo Agricoli Unionbirrai e di Simone Monetti, segretario nazionale Unionbirrai.

Attenzione puntata innanzitutto sulla proposta di Legge Regionale sulla birra artigianale, progetto che risponde alla finalità di dotare la filiera brassicola regionale di uno strumento normativo coerentemente con l’evoluzione dei mercati e gli orientamenti della domanda dei consumatori, che Unionbirrai si propone di poter diffondere perché trovi reale applicazione sul territorio nazionale.

Il contesto attuale, infatti, vede la necessità di uno strumento normativo efficace che, nel rispetto dei principi della sostenibilità ambientale, sociale ed economica, possa difendere e valorizzare prodotti e produttori locali attraverso varie misure, tra cui il turismo, la formazione, lo sviluppo del settore, la promozione e l’identificabilità immediata dei prodotti di filiera regionale e legati al territorio, introducendo tra gli altri concetti quello del marchio di birra di produzione brassicola regionale.

Ma il webinar è stato anche occasione per evidenziare come birra, territorio e turismo siano strettamente legati. Il rilancio della birra artigianale, infatti, deve passare oggi da una forte identità territoriale e dalla possibilità di offrire esperienze aprendosi al turista.

Al tempo stesso il mondo della birra, prodotto estremamente trasversale per pubblico e peculiarità, può diventare una novità per il rilancio del turismo di prossimità attraverso offerte e servizi validi, con il conseguente sviluppo di una rete di collaborazioni sul territorio fra aziende e istituzioni e anche la possibile nascita di nuove competenze professionali.

Categorie
Esteri - News & Wine news news ed eventi

Vecchie vigne, i progetti di Australia e Sudafrica per valorizzarle

Cos’hanno in comune Australia e Sudafrica? All’apparenza ben poco, se non la condivisione dell’emisfero sud. A guardar bene, entrambi i Paesi condividono progetti scrupolosi per la valorizzazione delle vigne vecchie ancora produttive.

Chiedere per credere alla vignaiola australiana Prue Henschke e al poliedrico entrepreneur André Morgenthal, che in un webinar organizzato ieri dal Circle of Wine Writers hanno illustrato il nesso tra la Old Vine Charter della Barossa Valley australiana e l’Old Vine Project che interessa ben 3.303 ettari di vecchie vigne sudafricane.

La Valle di Barossa, nel Sud dell’Australia, ospita alcuni dei vigneti più antichi del mondo, tuttora in produzione. Proprio per questo, nel 2009 è stata istituita la Barossa Old Vine Charter.

Un documento che racchiude la “carta d’identità” di tutti i vecchi vigneti della zona non solo in ottica di conservazione, ma soprattutto di valorizzazione del loro materiale genetico. Un vero e proprio caposaldo per la Barossa Grape & Wine Association (BGWA), nata un anno prima della “Charter”, nel 2008.

Tre le macroaree. Le “Barossa Old Vine” racchiudono le vigne con età uguale o superiore ai 35 anni. A seguire le “Barossa Survivor Vine“, con età uguale o superiore a 70 anni. Ecco poi le “Barossa Centenarian Vine“, le vigne vecchie almeno 100 anni. Infine, le “Barossa Ancestor Vine“, monumenti naturali di almeno 125 anni.

La verità è infatti che l’Australia possiede alcune tra le vigne vecchie ancora produttive più antiche del mondo, le cui radici – è il caso di dirlo, senza eufemismi – affondano nel tempo e nella storia oltre che nel terreno, indietro fino al 1840. Si tratta principalmente di Shiraz (Syrah), Cabernet Sauvignon, Grenache, Mataro (Mourvèdre), Riesling e Semillon.

Non a caso, Prue Henschke produce “Mount Edelstone” e “Hill of grace“, due vini icona base Shiraz, da vigne impiantate nel 1912 da Ronald Angas, uno dei discendenti di George Fife Angas, padre fondatore dello Stato del South Australia.

Etichette uniche al mondo, al pari di quelle di cantine come Cirillo Estate, Hewitson, Langmeil, Penfolds, Poonawatta Estate, Chateau Tanunda, Elderton, Turkey Flat e Yalumba, ottenute da vigne di età superiore ai 125 anni.

Per trovare un simile progetto di valorizzazione organica delle vecchie vigne e dei vini da esse prodotti, occorre appunto spostarsi in Sudafrica. Qui, nel 2016, dopo aver lasciato il suo ruolo di responsabile comunicazione di Wines of South Africa (WOSA), André Morgenthal ha dato vita con Rosa Kruger all’Old Vine Project.

«Ho imparato che le vigne vecchie vanno trattate un po’ alla stregua delle bisnonne, ogni volta che ci entriamo in contatto, dalla potatura alla vendemmia», scherza il managing director della venture che ha come obiettivo il salvataggio e la propagazione del materiale genetico dei 3303 ettari di vigne del Sudafrica con età superiore ai 35 anni.

Un progetto che abbraccia tutto il territorio vitato del paese africano, con i suoi diversi terroir: dalle sabbie rosse di Skurfberg allo scisto di Kasteelberg, passando per la sabbia marina di Dwarskersbos e il granito di Paardeberg. Ma in Sudafrica l’Old Vine Project consente di fare un passo in più, rispetto ad altre parti del mondo.

Grazie a “The Certified Heritage Vineyards Trading Platform”, Morgenthal e il suo team si pongono l’obiettivo di connettere i vignaioli che possiedono vigne vecchie ad altri professionisti del settore, come enologi e agronomi, offrendo corsi di formazione ad hoc per la potatura di questi monumenti naturali.

«Garantendo approcci di valore lungo tutta la catena – sottolinea il managing director dell’Old Vine Project – possiamo creare un modello di business sostenibile per tutti gli stakeholder». Che futuro sarebbe, del resto, senza consapevolezza del passato?

Categorie
news news ed eventi

Duccio Corsini nuovo presidente di Grandi Cru della Costa Toscana

Cambio al vertice dei Grandi Cru della Costa Toscana che da oggi avrà come presidente Duccio Corsini, già socio fondatore e membro del Consiglio Direttivo, rappresentante dell’azienda “Tenuta Marsiliana” a Manciano (GR).

In un momento storico unico di grande difficoltà economica per le aziende vitivinicole, Duccio Corsini, con i consiglieri in carica, è chiamato a svolgere un’azione di guida e di indirizzo per la crescita e la promozione della viticultura della Costa Toscana.

Attività che per 17 anni è stata svolta da Ginevra Venerosi Pesciolini, socio fondatore e titolare della Tenuta di Ghizzano. «Viviamo un periodo che anticiperà grandi cambiamenti – commenta Corsini – e per poterli affrontare dobbiamo conoscere in maniera più approfondita il nostro territorio, le nostre produzioni senza trascurare quelle sociali come l’ambiente ed il paesaggio: il nostro regalo alle comunità locali».

Unire la nostra Sapienza e trasmetterla nei linguaggi e con gli strumenti di oggi e con quelli futuri sarà la nuova strada da percorrere».

Duccio Corsini, socio di Tenuta Marsiliana e Villa Le Corti, della quale è attualmente Amministratore Unico e Direttore, rappresenterà per l’Associazione Grandi Cru un ambasciatore attivo e propositivo della produzione vitivinicola della Costa Toscana.

Il tutto in continuità con un impegno personale e professionale per l’enologia della regione, in qualità di membro del Consiglio di Amministrazione del Consorzio Vino Chianti Classico, fondatore e membro del consiglio di amministrazione di San Casciano Classico, delegato di zona dell’Unione Provinciale Agricoltori di Firenze.

I GRANDI CRU
I Grandi Cru della Costa Toscana nascono con atto costitutivo il 15 maggio 2003. A Bolgheri, nel cuore dell’enologia di Costa, la Tenuta San Guido, 12 soci fondatori condividono in uno statuto la volontà e l’impegno di difendere, promuovere e diffondere la cultura della qualità della produzione vinicola dei territori di Massa, Lucca, Pisa, Livorno, Grosseto.

Una fascia di terra che si affaccia sul mar Tirreno, quel mare che con i suoi venti ed i suoi profumi rende la zona assolutamente unica. Oggi il mare non è più il solo elemento che accomuna le produzioni di vino da Nord a Sud.

Diciassette anni hanno dato una forte impronta comune nella coltivazione della vite e della biodiversità. La ricerca dell’unicità di ciascuno vino è il nuovo e più forte punto di incontro della costa Toscana.

Exit mobile version