Con 100 milioni di bottiglie certificate nel 2021, il Prosecco Superiore di Conegliano Valdobbiadene Docg «ha raggiunto il limite fisico della produzione. O è ormai prossimo a raggiungerlo». Il dato è emerso questa mattina, durante la presentazione del Rapporto Economico di Distretto 2021, a cura del Consorzio di Tutela della Docg veneta.
Il documento, ideato dal prof Vasco Boatto in collaborazione con il prof Luigino Barisan, è stato presentato dal responsabile scientifico Eugenio Pomarici, professore associato di Economia politica presso l’Università di Padova.
«Non si potrà andare molto oltre ai 106 milioni di bottiglie – ha sottolineato Pomarici – perché questo è il limite fisico della produzione del Prosecco Superiore di Conegliano Valdobbiadene Docg. Un vincolo con il quale si deve fare i conti. La crescita della denominazione, dunque, dovrà essere essenzialmente in valore».
Fa ben sperare, su questo fronte, l’apprezzamento crescente delle Rive, menzione inserita nel disciplinare attraverso la riforma 2009. Nel 2020 la tipologia è cresciuta in volume e in valore. Ed è al centro delle attenzioni della nuova presidente del Consorzio di Pieve di Soligo, Elvira Bortolomiol, nonché del neo direttore Diego Tomasi.
PROSECCO DOCG: LE PROSPETTIVE
L’avvertimento sui “limiti” della denominazione è arrivato a margine della presentazione delle stime dell’Istituto Statista. La business platform leader nella raccolta dei dati di mercato e di consumo mondiali prevede una crescita del 5% in volume e del 7% in valore del mercato del vino internazionale, entro il 2025.
Dati da prendere con grandissima cautela – ha avvertito il prof Eugenio Pomarici – ma ciò significa che il Conegliano Valdobbiadene Docg può sfruttare, nei prossimi anni, il vento favorevole del mercato e le opportunità offerte da Pac e Pnrr. Il tutto considerando una crescita in valore che sia in sintonia con il contesto del riconoscimento a patrimonio Unesco».
Più in generale, il record dei 100 milioni di bottiglie è stato raggiunto «dopo un 2020 di resilienza» per lo spumante a Denominazione di origine controllata e garantita del Veneto (88 milioni di bottiglie lo scorso anno, per mezzo miliardo di valore).
Il Rapporto economico 2021 esalta gli ottimi risultati delle iniziative messe in campo dalla aziende del Consorzio, soprattutto sul fronte dell’enoturismo, della sostenibilità e della digitalizzazione. Tre ingredienti che hanno contribuito al successo, assieme alla differenziazione dei mercati e al grande apporto della Grande distribuzione organizzata.
PROSECCO CONEGLIANO VALDOBBIADENE: LE CIFRE
Parlano chiaro le certificazioni. Da gennaio a ottobre 2021, dato più aggiornato a disposizione dell’ente, sono state certificate 83 milioni di bottiglie. Il 12% in più del 2020. Da qui la previsione di oltre 100 milioni di bottiglie.
Una crescita accompagnata dal rafforzamento sul fronte dei prezzi. Come rivela ancora il Rapporto economico 2021, il vino base atto a divenire Prosecco Superiore di Conegliano Valdobbiadene Docg è cresciuto a 2,6 euro al litro.
«Non siamo tornati al livello degli anni 2017 e 2018 – ha commentato il prof Eugenio Pomarici – ma i livelli dell’ultima vendemmia sono molto alti, nonché fisiologici. Bene anche il mercato dell’uva. Dopo gli 1,20 euro “di tenuta” del 2020, nel 2021 si è raggiunta la quota di 1,48 euro per un Kg di uve Glera».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Saranno feste da record per le bollicine tricolori, con quasi 2 miliardi di brindisi attesi e un valore alla produzione di 236 milioni di euro. Lo stima l’Osservatorio Unione italiana vini (Uiv)-Ismea, nel consueto focus sui consumi degli sparkling italiani, mai così elevati come quest’anno.
Secondo l’Osservatorio, sono oltre 316 milioni le bottiglie italiane pronte per essere consumate durante le feste. Il 18,3% in più dello scorso anno e il 50% in più rispetto a solo 5 anni fa. Di queste, quasi 3 su 4 sono destinate all’estero mentre sono circa 88 milioni le bottiglie (+14%) riservate per le feste alle tavole degli italiani. A queste si aggiungono le bollicine importate, pari a circa 5 milioni di bottiglie, anch’esse mai così numerose (+50% sul 2020).
LA CRESCITA DELLE BOLLICINE ITALIANE
A trainare gli imbottigliamenti sono tutte le principali denominazioni italiane, con crescite quasi ovunque in doppia cifra. Dal Prosecco Doc (+25%) fino all’Asti, dal Franciacorta al Conegliano Dogc, dal Trento all’Oltrepò pavese, dall’Alta Langa al Lessini Durello ai Colli Asolani.
Per Uiv-Ismea, il 2021 è stato l’anno del rimbalzo per lo sparkling tricolore, che chiuderà l’anno a circa 900 milioni di bottiglie e un forte incremento delle vendite all’estero (+20% a volume). Buone notizie, rileva l’analisi, anche dai consumi interni. Secondo Ismea/Nielsen, gli acquisti nella Grande distribuzione, nei primi 11 mesi, segnano un +22% in volume accompagnato da un +26% in valore rispetto al pari periodo 2020.
Complessivamente, nel 2021 il valore alla produzione degli spumanti italiani supererà per la prima volta i 2,4 miliardi di euro. Un incremento a cui si aggiunge un volume produttivo in costante ascesa (+170% nell’ultimo decennio). Oggi le bollicine sono arrivate a rappresentare circa 1/4 del totale delle esportazioni di vino italiano nel mondo.
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Francesco Cambria (Cottanera) è il nuovo presidente del Consorzio Vini Etna Doc. Succede ad Antonio Benanti e guiderà l’ente con l’obiettivo di portare la Docg sul vulcano della Sicilia. La decisione è stata ratificata ieri, lunedì 20 dicembre, nel corso della prima seduta del nuovo Consiglio di amministrazione.
Il voto dell’Assemblea dei soci è stato unanime. Il CdA neoeletto sarà formato anche da Seby Costanzo di Cantine di Nessuno, Irene Badalà della omonima azienda, Marc De Grazia di Tenuta delle Terre Nere, Federico Lombardo di Monte Iato di Firriato, Marco Nicolosi Asmundo di Barone di Villagrande e Graziano Nicosia dell’omonima cantina.
LE PRIME PAROLE DI FRANCESCO CAMBRIA
È un incarico che mi rende orgoglioso – sono le prime parole di Francesco Cambria – e per questo ringrazio tutti i neo consiglieri per la fiducia che hanno riposto nei miei confronti. Il precedente CdA ha posto le basi per un futuro importante della nostra Denominazione.
A noi il compito di realizzare quel programma di indirizzo con scelte in grado di migliorare e salvaguardare l’immagine della DOC Etna. Vogliamo continuare quel percorso di promozione e conoscenza dei vini di un territorio tra i più vocati al mondo».
ETNA DOCG TRA GLI OBIETTIVI DEL CONSORZIO VINI
Ad assumere la vicepresidenza del Consorzio sarà Seby Costanzo dell’azienda Cantine di Nessuno. Il CdA ha inoltre confermato il direttore Maurizio Lunetta che ha già ricoperto il ruolo negli ultimi due anni.
Tra gli altri obiettivi più importanti da raggiungere per il neo presidente Francesco Cambria, c’è anche quello di «porre le basi per iniziare l’ambizioso percorso per il raggiungimento della Docg» per i vini che nascono alle pendici del Vulcano più attivo d’Europa.
Tra le priorità della nuova governance, «il consolidamento del percorso fin qui attuato nel rafforzare e tutelare la Denominazione, accrescere la sostenibilità del territorio e rendere operative le scelte strategiche di indirizzo del precedente Cda».
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FOTONOTIZIA – I primi assaggi della vendemmia 2021 creano «aspettative altissime» da parte di Cantina Bolzano. «La varietà che davvero sorprende è la Schiava: il Santa Maddalena sarà eccezionale. Questa è una grandissima annata per il Sauvignon, ma anche lo Chardonnay, il Pinot Bianco e il Gewürztraminer promettono molto bene».
Ne è sicuro Stephan Filippi, enologo di Cantina Bolzano e vicepresidente dell’Associazione enologi ed enotecnici italiani (Assoenologi). «Un’ottima vendemmia anche per il Lagrein – aggiunge – aver ritardato la raccolta ripagherà l’attesa».
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«È in dirittura d’arrivo il provvedimento di sostegno che abbiamo previsto nella scorsa Legge di Bilancio per il comparto brassicolo». È quanto afferma la deputata Chiara Gagnarli, capogruppo M5s in commissione Agricoltura. Il commento a seguito dell’intesa raggiunta in Conferenza Stato-Regioni in merito al Decreto Filiere Minori, per cui sono stati stanziati 10 milioni di euro nella Legge di Bilancio 2021.
«In questo modo – aggiunge Gagnarli – si aiuta uno dei settori maggiormente colpiti dalla pandemia. Settore che ha visto con un crollo del fatturato del 90% che ha coinvolto i 900 microbirrifici del Paese».
IL DECRETO
Il decreto attuativo del ministero delle Politiche agricole destina alla filiera 3,5 milioni di euro con tre differenti linee di intervento. È previsto un contributo di 200 euro a ettaro, fino a 50 ettari, per le imprese che coltivano orzo distico certificato in contratti di filiera almeno triennali. Sono invece 300 gli euro previsti per chi coltiva luppolo, fino a massimo 5 ettari, per un totale complessivo di 1,5 milioni di euro.
Un ulteriore milione di euro è dedicato alle imprese che investono sul post raccolta del luppolo. Vale a dire in impianti di essiccazione, di macinatura pellettizzazione e confezionamento in atmosfera modificata conforme agli standard di qualità del mercato.
Infine si sostengono i progetti di ricerca che forniscono l’implementazione di prodotti territoriali e varietà nazionali, anche tramite lo studio di strumenti per l’analisi della qualità e dei diversi ceppi, relativamente a luppolo, cereali da malto, orzo distico ed emergenti, per birrificazione, lieviti di birra.
LA RIDUZIONE DELLE ACCISE
La norma, inoltre, prevede per i piccoli birrifici artigianali con una produzione sino a 10 mila ettolitri, un aumento dello sconto sulle accise sino al 50%. Sconto che scende al 30% per chi produce sino a 30 mila hl ed al 20% per le imprese sino a 60 mila hl. Si prevede inoltre una graduale riduzione d’accisa, sino a scendere a 2,90 euro per ettolitro e per grado Plato nel 2023.
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Risultati in crescita per il Gruppo Caviro. Approvato questa mattina il bilancio d’esercizio chiuso al 31 agosto 2021 con un fatturato consolidato di 390 milioni di euro, in aumento dell’8% rispetto al 2020. In aumento anche il livello occupazionale sui territori con un complessivo di 583 persone mediamente impiegate, 15 unità in più rispetto all’anno precedente.
La crescita del Gruppo vitivinicolo romagnolo è stata sostenuta da ottimi risultati dell’export (+17%), di cui vino +6% e B2B +75% e, in particolare, dalle performance straordinarie della società Caviro Extra. La composizione dei ricavi nel fiscal 1° settembre 2020-31 agosto 2021 del Gruppo è così suddivisa: vino 65%, mosti, alcol e acido tartarico 20%, energia e ambiente 15%.
«In un anno in cui i consumi di vino in Grande distribuzione hanno avuto una flessione abbiamo registrato un deciso aumento sul fatturato trainato principalmente dalle esportazioni. Questo – commenta il Presidente di Caviro Carlo Dalmonte – è di particolare soddisfazione. Lo sviluppo del vino italiano dovrà guardare con sempre maggiore attenzione ai mercati esteri».
«In generale il Gruppo ha dimostrato grande flessibilità in un anno assolutamente particolare caratterizzato da frenate e ripartenze improvvise. Un legame sempre più stretto con la filiera – prosegue Dalmonte -. I risultati dei tanti investimenti realizzati negli anni per la sostenibilità e una struttura coesa hanno dato concretezza e valore economico alla gestione rendendo Caviro un ‘gigante agile’».
I NUMERI IN DETTAGLIO
Dando un’occhiata ai numeri si evidenzia un ulteriore consolidamento del Gruppo con una crescita del patrimonio netto che passa da 89 a 123 milioni di euro. L’Ebitda passa da 27 milioni di euro (incidenza sul fatturato del 7,4%) a 31 milioni di euro (incidenza sul fatturato dell’8%).
L’utile di esercizio al 31 agosto 2021 è di 8,7 milioni di euro, mentre gli investimenti realizzati dal Gruppo hanno raggiunto quota 22 milioni di euro. Nel corso della vendemmia 2020 i conferimenti ordinari dei soci sono stati liquidati ad un valore mediamente superiore del 7% rispetto ai prezzi di mercato.
IL VINO
Tra di dati più significativi del segmento vino (società Caviro sca, Cesari e Leonardo da Vinci spa) c’è la crescita del 6% sul mercato estero. Un ottimo risultato da ricondurre alla diversificazione dei prodotti con cui il Gruppo si presenta sul mercato, sia dal punto di vista del segmento che del territorio di provenienza (sono 7 le Regioni italiane rappresentate dal Gruppo).
Nel comparto daily prevale lo storico marchio Tavernello, il vino più consumato in Italia e il vino italiano più venduto al mondo. Caviro si posiziona infatti al primo posto per le vendite nel segmento dei vini confezionati, con una market share del 6,7% a valore e del 13,4% a volume. Nel segmento premium hanno performato bene i brand delle società controllate Leonardo da Vinci e Cesari e il nuovo marchio di Caviro sca Vigneti Romio.
Il Regno Unito, con un peso del 36%, si conferma il primo mercato di destinazione delle esportazioni, seguito da Stati Uniti (12,5%) e Germania (11,5%). Gli altri principali mercati esteri nel mondo del vino sono, in ordine, Canada, Svizzera, Francia, Giappone, Cina e Russia.
MOSTI, ALCOL, ACIDO TARTARICO, ENERGIA
Molto bene i risultati di Caviro Extra, società controllata che porta avanti e completa l’economia circolare del Gruppo. Caviro Extra valorizza i sottoprodotti della produzione trasformandoli in prodotti nobili, alcol ed energia. Nel 2020/2021 Extra ha conseguito ottime performance dimostrando una buona capacità di aprire nuovi business e conseguendo un incremento di fatturato del 23% rispetto al fiscal precedente.
«Il segmento B2B del ‘non vino’ ha evidenziato performance straordinarie. Un risultato dovuto a fattori contingenti ma anche alla capacità di Extra di penetrare nuovi mercati – aggiunge Dalmonte -. Il legame con la filiera e gli investimenti in economia circolare sono per noi elementi concreti e non operazioni di puro green washing».
INVESTIMENTI E SOSTENIBILITÀ
Nel 2020/21 l’azienda ha investito circa 22 milioni di euro in impianti e tecnologie rivolti a migliorare le proprie performance ambientali. Una direzione, quella della sostenibilità, che il Gruppo porta avanti da anni e che caratterizzerà anche la gestione 2022.
Nell’ambito di questo percorso, nel 2021 è stata introdotta la funzione interna Sustainability Management, affidata ad un team di sole donne. Il Sustainability Management ha già definito tre obiettivi strategici che caratterizzeranno il triennio 2021-2024 del Gruppo.
«Il primo step sarà la certificazione del Bilancio di Sostenibilità che verrà presentato a marzo 2022 – racconta il Direttore Generale di Caviro SimonPietro Felice -. Puntiamo all’integrazione del Piano della Sostenibilità con il Piano Industriale a livello di azioni, risorse, costi e investimenti. Inoltre puntiamo a portare la sostenibilità in vigna attraverso la diffusione di un protocollo condiviso tra i soci. Il terzo progetto riguarda la business continuity in ottica di risorse umane e formazione».
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Piazza Marco De Bartoli è realtà a Marsala. L’intitolazione è avvenuta ieri nella città della Sicilia, il cui nome circola per il mondo grazie ai vini del «vignaiolo e produttore» scomparso il 18 marzo 2011, all’età di 66 anni.
Commossa la figlia Gipi De Bartoli, che ha letto un messaggio durante la cerimonia. «A nome di tutta la famiglia, dei miei fratelli e mia madre – ha dichiarato – voglio ringraziare sentitamente e con profonda riconoscenza tutti color che in questi 10 anni si sono spesi affinché questo importante riconoscimento alla memoria di nostro padre sia oggi realtà».
IL MESSAGGIO DI BEPI DE BARTOLI
Noi della famiglia siamo stati sempre semplici spettatori di tutte le meravigliose opere e commorazioni dedicate in questi 10 anni a papà, e anche in questo caso lo siamo stati. Quindi non possiamo che essere profondamente riconoscenti e ringraziare di cuore chi lo ha proposto, riproposto, ricordato, chi ha lavorato, lottato affinché ciò oggi questa intitolazione sia stata possibile».
«Abbiamo avuto sempre grande consapevolezza dell’importanza dell’opera di nostro padre in campo vitivinicolo – ha aggiunto Gipi De Bartoli – per questo territorio e forse non solo. E grandi riconoscimenti gli sono sempre stati attribuiti in tutta Italia e nel mondo».
PIAZZA MARCO DE BARTOLI: L’INTITOLAZIONE A MARSALA
L’intitolazione in Sicilia viene ritenuta ancor più significativa dalla famiglia del vignaiolo: «Che oggi avvenga anche a Marsala è per noi, e sono sicura soprattutto per lui ,il più bello e il più auspicato dei riconoscimenti. Oggi per noi è solo una ulteriore conferma di quanto la vita e la persona di nostro padre non ci abbiano già insegnato».
Che se si lavora con amore, passione, dedizione pensando sempre al bene comune, e non solo (o posso affermare mai) , al proprio tornaconto, se si è persone per bene e oneste , si lascia un segno indelebile in questa terra e si rimane per sempre vivi nella memoria di chi resta, in qualsiasi campo si operi».
Naturalmente con l’auspicio che la sua vita e il suo lavoro possano essere nel suo ricordo da esempio e da stimolo a chi oggi si approccia al difficile mestiere di viticoltore e artigiano del vino, impegnandosi a portar sempre alta l’immagine della nostra terra lavorando sempre per far emergere il meglio che essa può e sa offrire, così come ha fatto lui».
Infine, Gipi De Bartoli ha rivolto «un grazie immenso a chi ha partecipato e a chi ha gioito da lontano anche solo alla notizia di questa intitolazione , inviando messaggi meravigliosi di stima, di lietezza e vicinanza da tutto il mondo».
«Papà – ha concluso la figlia di Marco De Bartoli – ha già tante vie e piazze segnate nei cuori di tanti che lo hanno conosciuto e amato , questo è il riconoscimento di cui sono più orgogliosa. Infinitamente grazie».
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Tra i vini del sud Italia più adatti ad occasioni importanti c’è il Primitivo di Manduria Dop Riserva di Notte Rossa. I migliori abbinamenti spaziano dalle carni arrosto o grigliate, dal vitello all’agnello. Ma si presta perfettamente ad accompagnare formaggi stagionati a pasta dura (da provare con il pecorino) e i piatti della cucina di terra.
Morbidezza e carattere del Primitivo di Manduria Dop Riserva Notte Rossa fanno da contraltare a pietanze saporite come la parmigiana di melanzane, il timballo e la pasta al forno, ben condita.
Tra i primi, è da prediligere in accompagnamento con zuppe di legumi in cui annegano generosi morsi di pancetta. Più banalmente, sposa alla perfezione la pasta con sughi e ragù di carne.
MIGLIORI ABBINAMENTI PRIMITIVO DI MANDURIA RISERVA
I migliori abbinamenti cibo-vino del Primitivo di Manduria Dop Riserva Notte Rossa fa dunque i conti con le caratteristiche che rendono questo vino del Salento unico nel suo genere e riconoscibile tra molti.
In primis è da tenere in considerazione la struttura importante di questo vino, che necessita appunto di piatti saporiti, molto conditi e importanti. Un’etichetta, dunque, innamorata delle grandi occasioni, delle ricorrenze, dei pranzi e delle cene all’italiana, che caratterizzano per esempio festività come il Natale o la Pasqua.
Il carattere suadente del sorso si abbina alle spalle larghe del Primitivo di Manduria. Tanto da renderlo un vino dalla grande bevibilità: uno di quelli che non stanca mai, con un calice che tira l’altro.
NOTTE ROSSA: GRANDE VERSATILITÀ NELL’ABBINAMENTO
Un altro elemento da considerare per i migliori abbinamenti è il profilo aromatico, caratterizzato da note di confettura di prugne e ciliegie, la cui esuberanza è ingentilita da eleganti e fresche nuances di spezie scure, pepate. Naso e bocca risultano perfettamente allineate, in un quadro di perfetta corrispondenza gusto olfattiva.
Il tannino che caratterizza molti vini rossi è morbidissimo nel calice del Primitivo di Manduria Dop Riserva Notte Rossa. Ad arrotondarlo è il sapiente affinamento in legno, che si riconosce anche dai ricordi di vaniglia, torrefazione e cacao, in chiusura.
A contribuire al profilo di questo vino rosso del Salento è anche la raccolta parziale di uve leggermente appassite in pianta e allevate con il tradizionale sistema ad alberello. Un altro dettaglio che rende il sorso tipico e perfetto per un gran numero di abbinamenti.
Prezzo: 14,90 euro Acquistabile presso: Carrefour, Conad, A&O, Coop, Famila
Vini al supermercato è la rubrica dedicata al vino in vendita nelle maggiori insegne di supermercati presenti in Italia. Nella Gdo viene venduta la maggior percentuale di vino italiano. Qui potrai trovare recensioni, punteggi e opinioni sui migliori vini in vendita nella Grande distribuzione organizzata, valutati con cognizione di causa, spirito critico costruttivo e l’indipendenza editoriale che ci caratterizza. Inoltre, una rubrica sempre aggiornata sui migliori vini in promozione presenti sui volantini delle offerte delle maggiori insegne di supermercati italiani. Vini al Supermercato è la guida autorevole ai vini in vendita in Gdo, con una pubblicazione annuale delle migliori etichette degustate alla cieca dalla nostra redazione. Seguici anche su Facebook ed Instagram. Sostieni la nostra testata giornalistica indipendente con una donazione a questo link.
«Il vino naturale è come la sottocultura del Metal e dei Fumetti. È humus culturale transnazionale. Gli appassionato di vini naturali hanno un linguaggio comune, in ogni angolo del mondo. Da Tokyo a Rovescala». Eureka. Come da copione di un film in cui tutto è scontato e banale solo in apparenza, l’illuminazione, il flash, la luce rivelatoria si materializza nel momento meno atteso: il finale.
Su Copenhagen splende il primo sole dopo giorni di pioggia mista a neve, di quelle che ti si infila negli occhi mentre cerchi di non farti investire da una nuvola bionda di biciclette. Dribblando pozzanghere. L’ultima tappa di un tour di cinque giorni al seguito di 43 produttori italiani di “vino naturale”, tra la capitale della Danimarca e la vicina Malmö, in Svezia, è Il Buco.
Un ristorante e wine bar focalizzato su produzioni naturali, dalla panetteria alla carta vini, quasi interamente italiana, con importazione diretta. Un punto di riferimento ad Island Brygge, quartiere situato a nord dell’isola di Amager, a pochi passi dal centro di København.
Nell’aria, il freddo di dicembre e il volo di qualche gabbiano, tra il fermento di un sobborgo che trasmette energia, nel contrasto tra i moderni palazzi e i locali arredati industrial, contemporaneo, rustico e Boho chic.
VINO NATURALE: QUESTIONE DI APPROCCIO O DI FEDE?
È qui che Giovanni Segni, export manager plurimandatario di riferimento per la costellazione vinnaturista italiana, ha organizzato gli ultimi assaggi “controcorrente” per i vignaioli Matteo Maggi (Colle del Bricco), Stefano Milanesi e Giorgio Nicassio (Cantina Giara).
L’obiettivo è convincere il restaurant manager e curatore della selezione de Il Buco, Steffen Schandorf, a inserire in carta qualche altra etichetta, prodotta tra le zone di Pavia e Bari. Tra un calice e l’altro, il discorso che dà un senso compiuto a cinque giorni di assaggi e girovagare per le due “capitali” del vino naturale internazionale.
Ho un amico – rivela Giovanni Segni – che lavora per Marvel e non aveva mai assaggiato dei vini naturali. Da quando glieli ho proposti, non beve altro. E pensa di aver iniziato a bere davvero solo da quel momento. Per lui il passo è stato breve.
C’è un fil rouge evidente tra le sottoculture del vino naturale e dei Fumetti. Un discorso che vale pure per il Metal. L’unica differenza è che i fumetti sono diventati mainstream grazie al cinema e ai vini naturali questo non accadrà mai».
Più si affonda la lama nel terreno scivoloso e impervio dei vini naturali, più si comprende quanto il punto non sia il calice in sé, ma quello che viene esattamente prima e dopo. Quello che sta attorno al calice di questa nicchia d’appassionati.
Segni parla di «sottocultura» e «humus culturale transnazionale». Vignaioli faro come Natalino Del Prete di «bere col cuore, al posto della bocca». Parole diverse per dire tutto sommato la stessa cosa, piaccia o no: il vino naturale è approccio, fede. Poeticamente, amore. L’apostrofo rosa tra il difetto e la caratteristica.
LA VOCE DEI VIGNAIOLI A NORDIC NATURALIA 2021
“Vino naturale”: circa 23.3 milioni di risultati. “Vini naturali”: circa 6.2 milioni di risultati. “Vino”: 688 milioni di risultati. Google, il motore di ricerca più utilizzato dagli internauti, restituisce anche in Italia il battito cardiaco di un movimento, quello vinnaturista, che conta fra il 3 e il 4% dei consumi complessivi.
Una stima valida in diversi angli del mondo, che nel Nord Europa assume una rilevanza maggiore. Non a caso Giovanni Segni ha organizzato a Malmö, in Svezia, una fiera che ha visto protagonisti 43 vignaioli italiani che si riconoscono nei canoni vinnaturisti, pur con interpretazioni contrastanti. L’ha chiamata Nordic Naturalia.
La seconda edizione è andata in scena il 12 dicembre scorso. I produttori sono stati distribuiti in due locali (Far i Hatten e Grand Malmö) della città scandinava, nuova terra di conquista del vino naturale italiano, dietro a centri già “indottrinati” come Stoccolma e Göteborg.
«Rispetto all’edizione pre-Covid del 2019 – commenta Giorgio Nicassio di Cantina Giara – ci sentiamo tutti quanti un po’ cresciuti e consapevoli delle potenzialità dei nostri vini. La Svezia, con la sua attenzione assoluta alle produzioni artigianali, ben al di là di quello che importa il Systembolaget, non può che essere considerata un ulteriore trampolino di lancio».
«Faccio vini naturali da 5 anni – aggiunge Andrea Marchetti – in due zone: a sud del Lago di Garda e in Emilia Romagna. Senza nulla togliere a chi fa vino “convenzionale” e senza dire che il mio approccio sia giusto e quello degli altri sbagliato, questo è secondo me l’unico modo possibile per fare vino. Si dà espressività sincera all’uva e al territorio, senza manomissioni».
Filippo Manetti di Vigne San Lorenzo (Fognano, Ravenna) è d’accordo con il collega: «Il vino è solo naturale, le altre sono bevande a base d’uva più simili alla Coca-Cola. Purtroppo la gente li confonde. L’importatore svedese ha capito il mio approccio e mi richiede una media di tre bancali all’anno. Per il momento sono più che soddisfatto».
Anche il giovane Matteo Maggi di Colle del Bricco (Stradella, Pavia) ha da pochi mesi un importatore in Svezia. «Questo Paese – commenta – è senza dubbio un punto di riferimento per i vini naturali. Qui c’è più apertura mentale rispetto all’Italia, che è molto più tradizionalista. Ecosostenibilità, biologico e tematiche green sono al centro delle scelte quotidiane degli svedesi».
Andrea Pendin e Lorenzo Fiorin di Tenuta l’Armonia (Bernuffi, Vicenza) approfondiscono il concetto. «La larga scala e il sistema cooperativistico, così come concepiti oggi, sono limitanti». «La parola “naturale” deve tener conto di un’altra, ovvero “collettività“, alimentando quell’attenzione al tessuto sociale e alla socialità che manca nel mondo del vino convenzionale, compreso quello del biofake».
C’è anche chi ha lasciato il proprio lavoro per dedicarsi anima e corpo alla produzione di vini naturali. È il caso dell’ex ristoratore Antonio Camazzola, alias Vigne del Pellagroso (Monzambano Mantova).
«La prima vendemmia ufficiale risale al 2017 – spiega – ma ho iniziato nel 2010 facendo vino in garage. Il vino naturale è secondo me l’unica via per bere. Meglio ancora se la produzione è certificata biodinamica. Nel mio caso, da AgriBio Piemonte».
Tra i discepoli italiani di Rudolf Steiner presenti a Nordic Naturalia 2021 c’è Valerio Noro. «Abbiamo trasferito il nostro approccio olivicolo e orticolo alla viticoltura – commenta il figlio del fondatore della Società agricola biodinamica Carlo Noro di Labico, Roma – riscontrando come le pratiche biodinamiche non siano “sostenibili”, bensì migliorative».
Ma bisogna fare di più. Non è vero che “fare poco” aiuta in agricoltura, anzi. Lo stesso discorso vale per i vini naturali, per le loro fermentazioni spontanee e per tutti i processi che anticipano l’imbottigliamento. Spesso mi viene detto che i miei vini sono “troppo puliti per essere naturali”, ovvero che “non puzzano”. Questo paradigma va cambiato».
L’approccio è molto simile a quello di Sequerciani, cantina certificata Demeter con base a Gavorrano, in provincia di Grosseto. «Sin dall’inizio – spiega la manager Simona Viganò – il titolare Ruedi Gerber, svizzero appassionato di Georgia e di uno stile di vita sano e a contatto con la natura, ha voluto che la cantina puntasse tutto sulla salubrità del vino, che deve raccontare il territorio senza manipolazioni chimiche. Dando spazio, in particolare, ai vitigni autoctoni».
All’evento organizzato da Giovanni Segni ha aderito anche Max Brondolo di Podere Sottoilnoce (Castelvetro di Modena). «I nostri volumi di esportazione in Svezia sono esigui – evidenzia – e per questo ho aderito a Nordic Naturalia, a caccia di un nuovo importatore. Cerco comunque di non utilizzare il termine “vini naturali”, preferendo la definizione di “vino artigianale” o “a basso intervento“».
La filosofia produttiva – continua Brondolo – riflette le mie convinzioni da consumatore. Cerco di bere vini ottenuti attraverso meno passaggi possibili tra l’uva e il bicchiere, senza per questo sopportare difetti evidenti nel vino.
Difetti causati da poca attenzione, poco tempo o dalla sottovalutazione di certe dinamiche. I vini naturali difettati fanno male al movimento e a chi produce con la dovuta attenzione. Purtroppo se ne trovano in giro ancora tanti».
«Secondo noi di Casa Brecceto – va giù ancor più duro Raffaele Grasso, tra i titolari della cantina di Ariano Irpino, Avellino – la definizione “vino naturale” non significa un cazzo. Per di più, il vino non deve avere difetti e puzzette spacciate per terroir».
Si può sempre migliorare e siamo migliorati molto anche noi, rispetto a quella prima vendemmia garagista. Eravamo neofiti. Oggi abbiamo molta più consapevolezza. Un bel percorso che ci ha portato a produrre con lieviti indigeni e fermentazioni spontanee su 3 ettari vitati, contribuendo a preservare il nostro amato territorio».
«Produco Timorasso in una zona di semi montagna, la Val Borbera, che mi permette di fare rifermentazioni e dare a questo vitigno espressioni diverse da quelle della classica versione ferma. Meno struttura e un pochino più di eleganza rispetto a quelli più noti». Questa la lettura di Andrea Tacchella, titolare della cantina Nebraie di Rocchetta Ligure, in provincia di Alessandria.
Penso che la maggior parte del lavoro si faccia in vigna – aggiunge il vignaiolo piemontese – trasformando l’uva in vino manipolandola il meno possibile, accompagnando il processo e aspettando. Meno interventi possibili, insomma, accettando pure qualche risvolto ribelle e spigoloso del vino, un po’ come sono io».
«Il vino naturale – chiosa Marco Merli dell’omonima cantina di Perugia – è la trasformazione indotta dell’uva, senza scendere ai compromessi dell’agro-industria e dell’eno-industria. L’idea è di mettere la verità nel bicchiere. Non ho altra scelta. È una questione riguardante il mio gusto personale sin dagli esordi nel 2006, con mio padre».
Tra i produttori presenti a Nordic Naturalia 2021 anche Daniele Manini di Doria di Montalto, cantina con un approccio molto particolare alla produzione. «Storicamente – spiega l’agronomo dell’azienda di Montalto pavese, Pavia – il vino è stato considerato qualcosa di vicino alla salute. Come dimostrano numerose ricerche, il vino, se consumato in maniera moderata, pur cronica, può avere effetti positivi sull’organismo».
Le nostre uve vengono raccolte a un grado di maturazione che gli erboristi definiscono “tempo balsamico“, quando sono in grado di cedere massimamente i polifenoli. A quel punto, lavorate con un criterio sano in cantina, riescono a mantenere tutte quelle caratteristiche che rendono il vino uno dei due perni della dieta mediterranea».
VINO NATURALE: PERCHÈ PIACE AGLI IMPORTATORI IN SVEZIA
Jessica Mihai è una delle importatrici che ha compreso le potenzialità del vino naturale italiano in Svezia. A Nordic Naturalia 2021 si è presentata con una selezione di nomi noti del movimento vinnaturista del Bel paese – tra cui spiccano Franco Terpin e Denis Montanar – accanto ai vini dall’Alsazia del giovane vignaiolo Philippe Brand.
Jordmånen Vinimport è essenzialmente questo. Piccole produzioni naturali che Jessica Mihai riesce a vendere direttamente ai ristoranti svedesi, tra cui molti stellati. Tra i clienti anche diversi privati, con tutte le complicazioni dettate dal passaggio (obbligato) nel sistema monopolistico statale del Systembolaget.
La base è a Stoccolma – spiega l’importatrice – ma lavoro in tutto il Paese. In catalogo ho sei italiani e un francese. Ho iniziato nel 2019 con Terpin e Brand, per poi allargare il raggio a Cantina Giara dalla Puglia, Old Boy dal Veneto, Denis Montanar dal Friuli Venezia Giulia e ora a Pistis Sophia dall’Abruzzo».
«L’unica cosa che bevo sono i vini naturali – spiega ancora la titolare di Jordmånen Vinimport -. So perfettamente come sono fatti, senza interventi chimici. E hanno uno spettro di profumi e di sapori completamente diversi dai vini convenzionali. Offrono un’esperienza molto diversa rispetto a quella degli altri vini importati in Svezia e presenti nel catalogo ufficiale continuativo del Systembolaget».
L’ORDERING ASSORTMENT DEL MONOPOLIO SVEDESE SYSTEMBOLAGET
La storia di Jessica Mihai è emblematica e aiuta a comprendere quanto il “vino naturale” sia ormai entrato nelle case degli svedesi appassionati di vino. Si è avvicinata a questo mondo nel 2009. A due anni circa, cioè, dai primi passi del «movimento vinnaturista» alla corte di Stoccolma.
Da bevitrice e appassionata – spiega la titolare di Jordmånen Vinimport – ho voluto fare il grande salto iniziando a importare una mia selezione di vini naturali. Gli importatori pionieri hanno fatto un gradissimo lavoro sul territorio, sin dal 2007.
Hanno aperto le porte a un numero impressionante di importatori che ogni anno si aggiunge all’elenco. Un trend di crescita che riguarda anche molti ristoranti, anche tradizionali, dove non manca mai almeno qualche etichetta di vino naturale».
Nei negozi del monopolio è raro trovare “vini naturali” a scaffale. L’unico modo per acquistarli e consumarli al di fuori degli store ufficiali, dei ristoranti e dei wine bar, in Svezia, passa dal cosiddetto Ordering assortment.
L’importatore ordina il vino e lo stocca, vendendolo principalmente attraverso il sito web del Systembolaget. Solo se le vendite sono buone le etichette hanno speranza di finire sugli scaffali, entrando di diritto nel Permanent assortment, perlopiù in qualità di vendite spot.
SWEDISH WINE CENTER E LA SUA INFINITA CARTA DI VINI PIWI SVEDESI
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Al di là dell’ampio sguardo sull’estero, in Svezia c’è anche chi ha deciso di focalizzarsi sulle produzioni locali. Si tratta di Piwi, varietà di vite resistenti alle malattie fungine, oggetto in Italia del primo concorso nazionale organizzato dall’Istituto Edmund Mach di San Michele all’Adige (premiazioni svoltesi il 2 dicembre in Trentino con il successo del Solaris di Weingut Plonerhof).
Il punto di riferimento assoluto per chi si trova a Malmö è Swedish Wine Center. Accanto a una cucina molto curata, caratterizzata da un’alta qualità e freschezza della materia prima, si possono trovare i vini di diverse cantine svedesi. Arild’s Vingård è quella che dispone del maggior parco vigneti del Paese.
Ma a lasciare il segno è un vino prodotto da Vingården i Klagshamn, proprio ai margini del centro cittadino di Malmö. Si tratta di Texture 2019, Solaris che macera 44 giorni sulle bucce, in acciaio. Un orange wine che maschera bene la fenolica, anche grazie a 15% di alcol in volume molto ben integrati nel corredo.
Sul fronte dei prezzi, il costo dei vini svedesi è considerevole. Il calice, peraltro, non premia sempre lo sforzo del portafoglio, specie in tema Piwi. I più curiosi possono sperimentare la vasta selezione di Swedish Wine Center attraverso un percorso di “assaggi al calice” di oltre 20 etichette, per un totale di circa 160 euro.
VINI NATURALI A COPENHAGEN: WINE BAR E DISTRIBUZIONI EMERGENTI
Parola d’ordine “Italia”. Può sembrare strano, ma a Copenhagen c’è un wine bar con cucina che, dopo anni di vicissitudini, sembra aver trovato finalmente la quadra. All’insegna dell’italianità. Beviamo Wine Bar, fondato nel 2017 dall’imprenditore e winelover Jasper Remo, è in rampa di lancio grazie all’ingresso nel team dei giovani Matteo Vecchi e Tessa Carrettoni.
La sorte del locale situato al 58 di Nordre Frihavnsgade è nelle loro mani. Remo trascorre oltre la metà dell’anno nel Monferrato, in Piemonte, dove si occupa dell’acquisto e della ristrutturazione di vecchi casali abbandonati, per conto di facoltosi clienti internazionali. Nel tempo libero, ormai da 11 anni, va a caccia di vini.
Vista l’impossibilità di reperire la maggior parte dei miei vini preferiti in Danimarca – spiega Jasper Remo – ho deciso di diventare io stesso importatore. Beviamo Wine Bar nasce dalle ceneri di un altro locale aperto in centro, trasformato dai miei ex soci in qualcosa di diverso da quello che avevo in mente».
Questo curatissimo wine bar, ristorante ed enoteca si trova a Østerbro, quartiere di Copenhagen molto tranquillo, rinomato per essere a “misura di famiglia“. Basta guardare fuori dalle ampie vetrate del locale per notare l’impressionante viavai di passeggini.
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Vere e proprie inconsuete baby-car da 4 posti, condotte da giovani madri e babysitter. A dare una scossa alla vita serale della zona ci ha pensato proprio Jasper Remo, tra i primi imprenditori a comprendere le potenzialità del distretto situato ai margini di Nørrebro, da sempre più trendy, eclettico e alla moda.
Non sono abituato a seguire i gusti mainstream – spiega l’imprenditore – e per questo nel mio locale si trovano solo cose che piacciono in primis a me. È il caso dei vini naturali, che occupano una buona fetta della selezione. Grande spazio a piemontesi e siciliani, ma anche a vignaioli francesi ed esteri: tutte produzioni artigianali, capaci di regalare vere emozioni».
Il compito di trasmetterle ai clienti spetta a Matteo Vecchi, sommelier di origine emiliane con un curriculum riempito in giro per il mondo. L’ultima tappa Dubai, al Bulgari Hotels & Resorts. A Copenhagen è arrivato tre mesi fa, «convinto dal progetto ambizioso» di Jasper Remo.
Al suo fianco, da poco meno di un mese, la piemontese Tessa Carrettoni. Appena 19 anni e le chiavi della cucina già ancorate al grembiule da cuoca. Manualità e carattere che fanno ben sperare per il futuro di Beviamo Wine Bar. La clientela già apprezza il cambio di rotta.
IL BUCO COPENHAGEN: NATURAL WINE BAR E RISTORANTE
Aperto da novembre 2011 a Island Brygge, Il Buco è un altro angolo d’Italia a Copenhagen. Negli anni, il locale di Njalsgade 19 C si è conquistato la fiducia di molti danesi. Fino alle 17 sono ben accetti ai tavoli i laptop, poi banditi. Entrando nel ristorante prima di mezzogiorno, il colpo d’occhio è quello di uno Starbucks in chiave danese, secondo canoni architettonici industrial.
Numerosi giovani lo scelgono per l’ampiezza degli spazi, la tranquillità e la connessione WiFi sempre disponibile, oltre alla possibilità di godere di una colazione “fatta in casa”, con lieviti e ingredienti frutto di agricoltura sostenibile.
Tutto Il Buco parla la lingua green e organic. Dai panificati sino ai dolci, passando ai primi e ai secondi del menu, studiato su base stagionale. Una filosofia che unisce piatto e calice, grazie alla selezione vini curata da Steffen Schandorf, appena 29enne (nella foto sopra).
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La totalità delle etichette di vino naturale (100% Made in Italy) è importata direttamente, senza intermediari. Ma in carta non manca qualche curioso Piwi danese. L’orange wine di Drudgaard, ottenuto dalle varietà resistenti Solaris e Muscaris, è di gran lunga uno dei migliori Piwi internazionali, per equilibrio e concretezza. Da provare.
«L’import di vino, olio, formaggi e altri prodotti artigianali italiani – commenta Schandorf – ha preso vita da qualche anno, andando di pari passo con la trasformazione e l’evoluzione de Il Buco, sino alla forma attuale».
Siamo aperti tutti i giorni, dalle 7 a mezzanotte e qui il vino, essendo ristoratori e anche importatori, ha un ruolo centrale. Il nostro focus, la sostenibilità, si traduce in un’attenzione alle produzioni pure, senza solfiti aggiunti, biologiche e biodinamiche».
VINTRO NATURVIN COPENHAGEN: L’ENOTECA CON LA SORPRESA
Da un importatore all’altro, il passo è breve in Danimarca. Non senza sorprese. A suggerire che da Vintro Naturvin ci sia “qualcosa sotto” dovrebbe essere il pavimento, dall’effetto psichedelico, che richiama il logo del locale.
Tutto è chiaro quando Marius Gade, titolare dell’enoteca e distribuzione di Ravnsborggade 5 con il socio Simon Guitton, fa segno a tutti di spostarsi, iniziando a spingere un mobile ricolmo di bottiglie. Pare follia e invece ecco comparire delle scale, che conducono al buio magazzino sotterraneo. Il paradiso all’inferno, o giù di lì.
Una magia che accomuna pavimento, mobili con le ruote e scaffali di Vintro Naturvin, ricolmi di bottiglie dalle etichette indimenticabili. Colorate, sgargianti, piene di luci e della vita di personaggi che spaziano dai fumetti al mitologico, con richiami alla natura, al sesso, all’arte e alla vita bucolica.
Veri e propri manifesti del vino naturale internazionale, che fa dell’estetica e del marketing delle labels uno dei veicoli principali per spingere le vendite. Dietro all’etichetta, così come sotto a quel mobile, la concretezza di un progetto e di una selezione tutt’altro che casuale.
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Trattiamo solo vini ottenuti da fermentazione naturale – spiega Marius Gade – preferibilmente certificati biodinamici. Prediligiamo inoltre vini sotto ai 100 mg/l di solforosa, perché anche la salubrità del vino per noi è importante».
Italia e Francia hanno un ruolo da protagoniste assolute sugli scaffali di Vintro, che al momento sorreggono circa 500 etichette. Il focus sulla biodiversità di questa enoteca di Copenhagen spazia poi in Spagna, Portogallo, Georgia e Slovenia.
«La maggior parte dei vini vengono venduti ai ristoranti – spiega Marius Gade – sempre più attenti alle produzioni biologiche in carta vini. Il vero trend in ascesa è quello degli orange wine, sempre più richiesti anche dai privati, in enoteca. Direi che l’ascesa dei vini naturali in Danimarca va di pari passo proprio con l’aumento dell’interesse, e dunque delle vendite, degli orange wine».
LEONARDO TERENZONI, LA STAR DELLE ETICHETTE DEL VINO NATURALE
Se le vendite di vino naturale sono in ascesa in Italia e, soprattutto, all’estero – Nord Europa in primis – una buona fetta del merito va a chi riesce a catturare l’attenzione sullo scaffale, in un segmento che fa dell’appariscenza un must collettivo.
Chiedere per credere a Leonardo Terenzoni, 41 anni, artista (definizione che non ama) e musicista che vive tra Firenze e Bologna. Per l’esattezza in un paesino dell’Appennino tosco-emiliano, Vernio, dove ha «scelto di tornare, dopo tanto girovagare per il mondo».
Da 20 anni Terenzoni disegna alcune tra le più belle etichette di vino naturale presenti sul mercato. Il suo nome è noto nel settore e il suo tratto distinguibile tra mille. Tanto che molti produttori si affidano alla sua penna per innovare la veste di intere linee di vini, o per sbarcare sul mercato. Col botto.
L’approccio è molto simile a quello dei vignaioli con la loro terra. Terenzoni non appoggia la penna sul foglio prima di essere «entrato in un rapporto di amicizia con loro, di averli conosciuti e di averne capito le esigenze». «La cosa che mi rende più felice – rivela – è che molti vignaioli mi chiedono di realizzare l’etichetta partendo dalla mia idea di grafica, legata al mondo animale».
Ho sempre immaginato animali molto ribelli e molto in disparte, gli ultimi della fila. Per questo li vesto con la maglia a righe da pirata o da marinaio, con il cappellino da corsaro.
L’idea è simboleggiare quello che sento dentro da sempre: la voglia di viaggiare. Mi commuove pensare che questi vignaioli decidano di farmi partecipare a qualcosa che per loro ha un grande significato, come l’etichetta di un loro vino».
Leonardo Terenzoni è anche sommelier e sa bene che il vino deve parlare nel calice, ben oltre l’etichetta. «Può avere il vestito più bello del mondo, ma se non è buono non si vende. Bere vini naturali è bere le storie dei vignaioli, il loro attaccamento spasmodico al territorio. Il vino naturale implica empatia: la stessa che occorre per realizzare un’etichetta». Del resto, pesa più il quadro o la cornice?
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Mauricia Heritage Pure Cane Rum Reserve è un rum proveniente dall’isola di Mauritius, nell’oceano indiano. Si tratta di un rum da puro succo di canna da zucchero. Un rum agricole “Single Estate”, poiché la canna da zucchero è coltivata direttamente dalla distilleria.
LA DEGUSTAZIONE
Color ambra luminoso. Naso rotondo, caldo ed avvolgente. Apre su note di miele millefiori e scorza d’agrume, soprattutto arancia, che donano freschezza. Seguono frutta esotica, vaniglia e cacao a dare complessità e profondità allo spettro olfattivo. Chiude una leggera nota tostata accompagnata da un tocco di albicocca disidratata.
In bocca è morbido, vellutato. Nasconde sapientemente i 45% abv donando un sorso piacevole e fresco. Retro olfattivo perfettamente corrispondente al naso, accompagna la bevuta con leggeri sentori legnosi. Finale lungo e speziato.
MAURICIA HERITAGE PURE CANE RUM RESERVE
Prodotto con 100% puro succo di canna da zucchero coltivata nel Domain della distilleria, che vanta circa 6.000 ettari coltivati a canna da zucchero. Il succo viene fermentato per oltre 30 ore e quindi distillato a colonna. Segue un affinamento di 30 mesi in botti di rovere americano di primo passaggio con tre differenti gradi di tostatura. Ne risulta un rum complesso, ricco e morbido.
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Carrefour e Iperal ravvivano i volantini delle offerte di vino a Natale 2021. Senza clamorosi colpi di scena, le due insegne propongono in promozione un gran numero di vini, dando così modo ai clienti di spaziare fra le varie denominazioni e tipologie. Continua a deludere più di tutti, invece, Ipercoop.
In particolare Carrefour, grazie al doppio volantino “Offerte coi fiocchi” e “A tavola” garantisce vini dall’ottimo rapporto qualità prezzo per ogni momento del pranzo natalizio, dall’aperitivo fino ai passiti per il dessert.
Particolare attenzione alle bollicine, dal Prosecco (re indiscusso dei vini in promozione a Natale 2021, sui volantini Gdo) ed altri spumanti, fino ai Metodo classico italiani (Trento Doc e Franciacorta) e francesi (Champagne).
Volantino Aldi fino al 19 Dicembre
Amarone Della Valpolicella Docg, San Zenone: 9,99 euro (3 / 5)
Grillo Doc Roversi: 1,29 euro (2 / 5)
Piemonte Doc Albarossa Roversi: 4,99 euro (3,5 / 5)
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L’irlandese Waterford Distillery aggiunge un nuovo tassello alla sua ricerca sul terroir nel whiskey. Waterford Arcadian Biodynamic Luna 1.1 è il primo whiskey al mondo prodotto da orzo coltivato in modo rigorosamente biodinamico.
LA DEGUSTAZIONE
Oro brillante, invitante già allo sguardo. Al naso arrivano immediati i sentori dell’orzo. Un misto di fieno ed erba tagliata, non coperti dal legno, che rimanda immediatamente alla materia prima. Seguono numerose note fruttate che spaziano dall’albicocca alla prugna, dalla pesca ai piccoli frutti rossi, finanche alla banana e ad una leggera vena agrumata.
Al palato è caldo e pieno. Il corpo leggermente oleoso mitiga la piccantezza speziata. Pepe bianco, zenzero e cacao che bilanciano le note dolci e fruttate già sentite al naso. Leggero tocco di vaniglia e pastafrolla. Finale lungo dove tornano le note erbacee di fieno accompagnate da un sentore di foglie di te.
ARCADIAN BIODYNAMIC LUNA 1.1
L’orzo, rigorosamente organico e della sola cultivar “Olympus”, utilizzato per produrre Arcadian Biodynamic Luna 1.1 è stato coltivato in 3 diverse fattorie irlandesi, quelle di Trevor Harris, John Mcdonnell e Alan Mooney. La filosofia produttiva segue i dettami dell’agricoltura biodinamica e segue la tradizione arcaica dei cicli lunari. La fermentazione è lenta, ben 194 ore, con l’utilizzo di lieviti indigeni.
La doppia distillazione è avvenuta fra il 7 e il 12 marzo 2018. Arcadian Biodynamic Luna 1.1ha riposato per 3 anni, 2 mesi e 1 giorno per il 35% in botti di rovere americano first fill ex-bourbon, per il 26% in rovere francese, per il 22% in ex-vino francese Vin Doux Naturel e per il 17% in botti di rovere americano vergini. Le 21.000 bottiglie, a 50% abv, sono state confezionate nel 2021 senza filtrazione a freddo e senza aggiunta di coloranti.
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«Il nostro unico obiettivo è stato quello di tutelare le aree viticole tradizionalmente e strutturalmente vocate alla produzione di vini comuni in cui si producono legittimamente quantitativi di uva superiori a 30 tonnellate/ettaro. Il percorso è stato davvero lungo e difficoltoso, ma il risultato finale ci lascia soddisfatti. L’impostazione della norma rappresenta un giusto punto di equilibrio tra le necessità della norma e le istanze dei diversi territori viticoli».
Con queste parole il Presidente di Alleanza Cooperative AgroalimentariGiorgio Mercuri commenta il parere positivo reso dalla Conferenza Stato Regioni allo schema di decreto ministeriale. Decreto recante una deroga alla resa massima di uva ad ettaro nelle unità vitate iscritte a schedario, diverse da quelle rivendicate per produrre vini a Dop e a Igp.
LA POSSIBILITÀ DI DEROGA
Il DL Rilancio, convertito con legge 17 luglio 2020, n. 77, a fronte di una resa massima attualmente pari a 50 t/ettaro, aveva ridotto la soglia a 30 t/ettaro. Il Decreto specificava tuttavia la possibilità di una deroga, per taluni territori viticoli, fino a 40 t/ettaro.
«Una riduzione indiscriminata delle rese – prosegue Mercuri – e della produttività avrebbe compromesso ingiustamente molte realtà produttive. Migliaia di viticoltori che affidano il loro reddito alla produzione di vini comuni. Vini che si collocano in un mercato assolutamente differente rispetto ai vini territoriali Dop e Igp».
Le Regioni avranno tempo fino al 31 gennaio 2022 per chiedere l’integrazione dell’allegato al decreto ministeriale con i Comuni in deroga, che potranno produrre fino a 40 t/ettaro. Integrazione o eliminazione in base ai propri indirizzi di politica vitivinicola.
«Le Regioni e le Province autonome sono indubbiamente il riferimento amministrativo più vicino ai territori, dunque, i migliori conoscitori degli stessi. È per questo – conclude Mercuri – che riteniamo assolutamente corretto lasciare alle amministrazioni regionali un margine di discrezionalità. Discrezionalità necessaria per indirizzare in maniera più adeguata le scelte territoriali di politica vitivinicola».
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Il Bureau Interprofessionnel des Vins de Bourgogne – Bivb ha eletto oggi i suoi due presidenti per i prossimi 4 anni. Si tratta di François Labet e Laurent Delaunay che succedono a Louis-Fabrice Latour e Frédéric Drouhin. Un’elezione che avviene «in un momento molto impegnativo per la Bourgogne», come lo hanno definito i due nuovi massimi rappresentanti.
Mentre la vendemmia 2021 è ha registrato tassi produttivi molto bassi, l’export di vini di Borgogna segna nuovi record. Anche le vendite in Francia stanno andando molto bene. Ma tutti, in Francia, sanno che i prossimi 18 mesi saranno decisivi. I produttori di Bourgogne che desiderano soddisfare tutti i loro clienti dovranno gestire con precisione le proprie scorte, con la speranza di un buon raccolto nel 2022. François Labet ha sottolineato il paradosso di questa situazione nel suo rapporto.
François Labet, classe 1954, proviene da una famiglia che produce vino dal 1492 ed è molto coinvolto nella vita regionale (suo nonno era sindaco di Beaune). È a capo dell’azienda di famiglia che comprende il Domaine du Château de la Tour, situato all’interno del Clos de Vougeot, e il Domaine Pierre Labet a Beaune. Ha convertito la sua azienda alla viticoltura biologica nel 1992. Suo figlio, Edouard, si è unito a lui alcuni anni fa.
François Labet è Consigliere per il Commercio Estero del Primo Ministro francese e contribuisce all’export dei vini francesi nel mondo. È stato nominato Chevalier du Mérite Agricole nel 2006 e Chevalier de la Légion d’Honneur nel 2018. Presidente della Commissione Marketing e Comunicazione del Bivb da gennaio 2014 a fine 2017, è diventato Presidente dell’Union des Grands Crus (Côte de Beaune e Côte de Nuits) nel 2015. Inizia il suo secondo mandato a capo di il Bivb.
Laurent Delaunay, classe 1965, rappresenta la quinta generazione di négociants-éleveurs. È cresciuto sopra la cantina di famiglia, educando giovanissimo il suo palato grazie agli insegnamenti del padre e del nonno. Dopo gli studi a Beaune e Dijon, si è trasferito in Napa Valley per un anno, lavorando come assistente enologo. Ha conseguito poi un diploma in commercio all’Essec e ha raggiunto il padre alla guida della Maison Edouard Delaunay, fondata nel 1893.
Nel 1995 ha creato, con la moglie Catherine, anche lei enologa, l’azienda Badet-Clément specializzata in vini della Languedoc. Nel 2003 i due hanno iniziato a commercializzare vini provenienti da tenute familiari indipendenti in Borgogna, creando così stretti legami nella loro regione prediletta. Laurent Delaunay è stato coinvolto per molti anni in organismi professionali, a livello locale (vicepresidente della Fneb / Umvgb e amministratore del Bivb dal 2012) e nazionale (Consiglio di vigilanza di France AgriMer, Umvin, Anivin).
È anche presidente della Société d’Histoire et d’Archéologie du Pays de Vergy e membro dell’associazione dell’Abbazia di Saint-Vivant, dei Climats de Bourgogne, del festival Music & Wine a Clos Vougeot. È Chevalier du Tastevin. Laurent e Catherine Delaunay hanno una figlia, Jeanne, 23 anni, che ha appena terminato gli studi commerciali e che a sua volta sta frequentando un BTS Viti-Oeno a Viti.
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Prodotto alla Cooley Distillery ma imbottigliato dalla giovane Powescourt Distillery a partire da botti selezionate dal Master Distiller Noel Sweeney, Fercullen 14 y.o. Single Malt Irish Whiskey è un whiskey irlandese fresco eppur profondo.
LA DEGUSTAZIONE
Color oro carico. Naso morbido e dolce. Miele, frutta gialla, vaniglia, pastafrolla. Seguono note leggermente speziate di pepe bianco ed una leggera vena di nocciole tostate. In bocca è pieno ed al contempo fresco e scorrevole. Buona corrispondenza delle note morbido-dolci al palato si evidenziano le note speziate e tostate. Leggero tannino ed una tenue sensazione di pizzicore, quasi una piccantezza, accompagnano il sorso.
FERCULLEN 14 Y.O. SINGLE MALT IRISH WHISKEY
Nata nel 2019, Powerscourt Distillery è diretta dall’ex Master Distiller di Cooley Distilley Noel Sweeney. Proprio Sweeney ha selezionato alcune botti che egli stesso a distillato a Cooley per imbottigliare le prime release di Powerscourt in attesa che maturino gli spirits della nuova distilleria.
Fercullen 14 y.o. Single Malt Irish Whiskey è un whiskey irlandese da solo orzo maltato invecchiato per 14 anni in botti ex bouboun.
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La Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali entra nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità tutelato dall’Unesco. Lo ha annunciato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel corso dell’Assemblea nazionale della principale organizzazione agricola europea.
L’inserimento del nuovo “patrimonio” è stato ufficializzato in occasione sedicesima sessione del Comitato intergovernativo Unesco, riunito a Parigi. Un risultato che è stato festeggiato con un maxi vassoio di tagliolini al tartufo per le centinaia di agricoltori insieme ai leader politici dei principali partiti e movimenti presenti in Assemblea.
«L’ingresso del tartufo tra i patrimoni dell’umanità – sottolinea Prandini – è un passo importante per difendere un sistema segnato da uno speciale rapporto con la natura, in un rito ricco di aspetti antropologici e culturali. Una tradizione determinante per molte aree rurali montane e svantaggiate, anche dal punto di vista turistico e gastronomico».
Non a caso, al tartufo guarda con molta attenzione anche il mondo del vino. Il Consorzio di Tutela degli spumanti piemontesi Alta Langa ha annunciato a settembre 2021 un progetto che intensifica il rapporto delle pregiate “bollicine” Metodo classico con il tartufo.
L’ente, in collaborazione con il Centro Nazionale Studi Tartufo, intende così sensibilizzare i viticoltori, invitandoli a destinare una porzione di terreno alla piantumazione di alberi simbionti del tartufo. Non solo. Ad occuparsi dei terreni sono le associazioni di trifolao, con l’obiettivo di «favorire buone pratiche di sviluppo e mantenimento delle tartufaie sul territorio delle colline alte di Langa».
LA CERCA DEL TARTUFO
Più in generale, l’arte della Cerca del tartufo coinvolge in Italia una rete nazionale composta da circa 73.600 detentori e praticanti, chiamati tartufai. A concorrere alla cifra sono 45 gruppi associati nella Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani (Fnati), ma anche singoli tartufai non riuniti in associazioni (44.600 unità). Esistono altre 12 Associazioni di tartufai che insieme all’Associazione Nazionale Città del Tartufo (Anct) coinvolgono circa 20 mila liberi cercatori e cavatori.
Una vasta comunità, distribuita nei diversi territori regionali italiani. «Il rapporto cavatore-cane – sottolinea Coldiretti – è in armonia con la natura ed è una delle basi della trasmissione di conoscenze e tecniche legate alla cerca e cavatura, individuate come una pratica sostenibile». In ambito famigliare è ancora il singolo tartufaio più anziano, nonno o padre, che insegna alle nuove generazioni i segreti, gli accorgimenti, i luoghi e le tecniche della cerca e della cavatura.
IL TARTUFO IN ITALIA
Dal Piemonte alle Marche, dalla Toscana all’Umbria, dall’Abruzzo al Molise, ma anche nel Lazio e in Calabria sono numerosi i territori battuti dai ricercatori. La ricerca dei tartufi praticata già dai Sumeri svolge una funzione economica a sostegno delle aree interne boschive.
Una importante integrazione di reddito per le comunità locali, con effetti positivi sugli afflussi turistici come dimostrano le numerose occasioni di festeggiamento organizzate in suo onore. Ed è il tartufo in sé a poter essere condisiderato un ecosistema. Si tratta infatti di un fungo che vive sotto terra ed è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell’albero con cui vive in simbiosi.
Nascendo e sviluppandosi vicino alle radici di alberi come il pino, il leccio, la sughera e la quercia – spiega la Coldiretti – il tartufo deve le sue caratteristiche (colorazione, sapore e profumo) proprio dal tipo di albero presso il quale si è sviluppato. La forma, invece dipende dal tipo di terreno».
Se soffice, il tartufo si presenterà più liscio. Se compatto, diventerà nodoso e bitorzoluto per la difficoltà di farsi spazio. I tartufi sono noti per il loro forte potere afrodisiaco e in cucina il tartufo bianco (Tuber Magnatum Pico) si gusta a crudo su noti cibi come la fonduta, i tajarin al burro e i risotti.
GLI ALTRI PATRIMONI UNESCO ITALIANI
L’arte italiana della ricerca del tartufo entra nella lista Unesco del patrimonio culturale immateriale dell’umanità al fianco di molti tesori italiani già iscritti. Dall’Opera dei pupi (iscritta nel 2008) al Canto a tenore (2008), dalla Dieta mediterranea (2010) all’Arte del violino a Cremona (2012), dalle macchine a spalla per la processione (2013) alla vite ad alberello di Pantelleria (2014).
E ancora: dall’arte dei pizzaiuoli napoletani (2017) alla la Falconeria fino all’Arte dei muretti a secco, ma non mancano neppure luoghi simbolo tutelati dall’Unesco come le Colline del Prosecco e le faggete dell’Aspromonte e del Pollino.
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Secondo l’indagine condotta da BVA Doxa per il Centro Informazione Birra (Cib) di AssoBirra, 2 donne su 3 consumano birra. Il 53% lo fa almeno 2-3 volte alla settimana e l’85% almeno 1 volta a settimana.
«Quella tra donne e birra è una storia d’amore millenaria. Si racconta che la birra sia nata grazie a una donna ed è risaputo che, storicamente, siano state proprio le donne ad occuparsi della sua produzione, un’attività prevalentemente domestica fino a tre secoli fa. Dal nostro Cib emerge come, ancora oggi, la relazione sia molto forte e la passione sia ancora accesa», commenta Andrea Bagnolini, Direttore Generale di AssoBirra.
Dalla ricerca emerge che la birra è sempre più amata dalle beer lover italiane per una caratteristica distintiva, la moderazione. Secondo le intervistate, infatti, è apprezzabile che la birra abbia una bassa gradazione alcolica (51%). Inoltre, la bevanda piace sempre più anche perché rappresenta un momento di piacere (72%) e per il suo gusto inconfondibile (69%).
Aspetti in parte condivisi anche dalle non consumatrici che riconoscono alla birra soprattutto la possibilità di un consumo moderato e il richiamo alla convivialità. Quanto alle abitudini, la cena è diventata il momento preferito per il consumo dalla maggior parte delle intervistate (59%).
Una preferenza che sottolinea nuovamente il ruolo di bevanda da pasto della birra. Tuttavia, c’è anche chi preferisce la birra per un “dopo cena”, a casa o fuori casa, con familiari e amici (17%) o per un aperitivo (11%).
CRESCE LA POPOLARITÀ DELLE BIRRE ANALCOLICHE
Tra la popolazione femminile cresce sempre di più la popolarità dellabirra analcolica. Secondo la ricerca BVA Doxa, il 30% delle intervistate – consumatrici e non – conosce bene la birra analcolica (è il 37% nel caso delle consumatrici abituali di birra) e il 67% ne ha sentito parlare.
Il driver che guida la crescita della popolarità della birra analcolica è il fatto che possa “essere bevuta in qualsiasi momento della giornata” (50%). Il 54% delle beer lover dichiarano che “certamente” o “probabilmente” berranno birra analcolica.
Infine, una curiosità: se poste di fronte a una scelta, le non consumatrici di birra si dichiarano più propense a consumare la birra “classica”, piuttosto che la sua versione low o zero alcol.
IMPRENDITORIA FEMMINILE NEL SETTORE BIRRARIO
Il legame tra donne e birra non si limita soltanto ai consumi, ma abbraccia anche altri ambiti, come quello del lavoro. Oltre il 70% delle intervistate da BVA Doxa considera l’aumentata presenza delle donne nel settore una risorsa importante. Secondo le appassionate di birra “le donne riescono a trovare nuove idee e sono uno stimolo per il settore” (45%).
«Da comprimarie, relegate al servizio della birra nel fuoricasa e ad ambiti amministrativi nei birrifici, le donne in questi anni hanno progressivamente conquistato nuovi spazi. O meglio, si sono riappropriate di spazi che avevano ricoperto anticamente, oltretutto con ottimi risultati», commenta Elvira Ackermann, presidente dell’Associazione Le Donne della Birra.
«Grazie soprattutto alla crescente diffusione dei birrifici artigianali, le donne hanno iniziato a impegnarsi nel settore a livello produttivo. Stanno conquistando ruoli decisionali e imprimendo nuovi corsi alla produzione della birra artigianale italiana. Nell’ambito del servizio, sono comparse le biersommelièr. Anche a livello di comunicazione, le giornaliste che si occupano di birre sono aumentate», conclude la Ackermann.
«Il ruolo delle donne all’interno del settore birrario è fondamentale, soprattutto in ottica di ripartenza dopo le difficoltà degli ultimi 18 mesi. La strada è ancora lunga e come AssoBirra ne siamo consapevoli ma uno dei nostri obiettivi, in linea con il PNRR, è proprio quello di supportare l’imprenditoria al femminile nel settore», aggiunge Andrea Bagnolini.
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Dopo le prime bottiglie inaugurali rilasciate l’anno scorso, ecco finalmente il primo batch della Isle of Raasay Distillery. Isle of Raasay Single Malt R-01 è un single malt scotch whisky leggermente torbato che porta in sé tutto il carattere dell’isola di Raasay, nelle Ebridi interne.
LA DEGUSTAZIONE
Apre immediatamente sulle note della torba. Note fumose e medicinali ben definite ma non invasive che lasciano spazio a sentori fruttati. Frutti di bosco, pesca, albicocca. Chiara la presenza del cerale ben contornato dalle note speziate date dal legno. Un leggero sentore mentolato dona freschezza. L’ingresso in bocca è leggermente aggressivo. Al palato si percepisce subito la componente torbata che gioca sulle note marine.
Durante il sorso tornano le note di frutta e spezie già sentite al naso, mentre la componente “fresca” vira su note agrumate. Grande sapidità in equilibrio con la parte morbido-dolce. Di media persistenza è un whisky che paga il pegno della propria gioventù ma che traccia una bella prospettiva per la distilleria.
ISLE OF RAASAY SINGLE MALT R-01
Il primo batch dell’unica distilleria dell’isola di Raasay, nelle Ebridi interne, è realizzato a partire da materie prime locali. L’acqua è attinta dal pozzo che si trova presso la distilleria mentre l’orzo è coltivato direttamente sull’isola da un coltivatore locale.
Isle of Raasay Single Malt R-01 è realizzato con una combinazione di malto torbato e non torbato. I due whisky base sono invecchiati per minimo tre anni in tre tipi di legno diversi. Botti di primo utilizzo ex-rye whiskey, ex-barriques di vino rosso Bordeaux e botti vergini di rovere Chinkapin.
Al termine del periodo di maturazione i single malt, torbati e non, vengono assemblati insieme. R-01 è stato imbottigliato a 46,4% abv senza filtraggio a freddo ed a colore naturale in 26.000 bottiglie di vetro lavorato con stampi dei fossili dell’isola.
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Nella prossima release delle Style Guidelines del Bjcp (Beer Judge Certification Program) le Italian Grape Ale saranno denominate semplicemente “Grape Ale“. Lo ha reso noto negli scorsi giorni lo stesso Bjcp anticipato alcune novità previste nella versione 2021 delle Style Guidelines che sarà rilasciata breve.
Il Bjcp non ha quindi accolto la petizione promossa da Gianriccardo Corbo, homebrewer dal 2005 e degustatore ufficiale del Bjcp dal 2011. Petizione lanciata la scorsa primavera su Change.org che raccolse quasi 3.000 firme.
DALLE ITALIAN GRAPE ALE ALLE GRAPE ALE
Quello dell’Italian Grape Ale, o Iga, è uno stile di birra che prevede l’uso di vino, uva o mosto d’uva abbinati al malto. Stile brassicolo nato dall’estro e dalla voglia di sperimentare dei mastri birrai artigianali italiani. Nato non a caso nel paese con la più grande gamma di vitigni autoctoni al mondo.
Italian Grape Ale is renamed Grape Ale, rewritten to allow non-Italian varieties, and moved to Fruit Beer (although it also remains as a Local Style)».
Italian Grape Ale viene ribattezzata Grape Ale, riscritta per consentire varietà non italiane, e spostata in Fruit Beer (sebbene rimanga anche come Local Style)».
Con queste parole, a firma del suo Presidente Gordon Strong, il Bjcp taglia la testa al toro giustificando la decisione come necessaria per autorizzare la produzione di (I)ga anche con varietà viticole non autoctone italiane. Decisione che di fatto cancella il legame tra lo stile e la nazione che lo ha inventato e sviluppato.
La presa di posizione del Bjcp appare ancor più ingiustificata ed “ingiusta” nei confronti della trazione brassicola italiana se si considera che da sempre l’indicazione “territoriale” nelle definizioni di stile non vincola all’utilizzo di materie prime provenienti da quella regione.
L’indicazione geografica è, di fatto, un riferimento alla tradizione di un territorio che ha storicamente contribuito alla creazione e sviluppo di quello stile. Inoltre la decisione appare in contraddizione con quanto fatto dallo stesso Bjcp che nel 2015 inserì ufficialmente le Iga nelle Style Guidelines.
DON’T TOUCH MY IGA: UNA NUOVA INIZIATIVA A DIFESA DELLO “STILE ITALIANO”
In un ultimo tentativo di difendere l’identità della Iga, Gianriccardo Corbo ha promosso una campagna Facebook invitando amanti della birra italiana ed addetti ai lavori ad inviare tutti lo stesso messaggio di protesta all’indirizzo mail del Bjcp.
Riportiamo l’intero testo dell’iniziativa di Gianriccardo Corbo presente sulla sua pagina Facebook:
Recenti aggiornamenti da parte del Bjcp ufficializzano il fatto che intendono rinominare in Grape Ale le nostre Iga. Questo è inaccettabile per il movimento birrario italiano. Ho scritto questa mattina al presidente del Bjcp Gordon Strong mostrando il mio disappunto e invito chiunque abbia a cuore questa causa a scrivere una email di proteste al Bjcp.
Se volete ho preparato il testo sottostante che potete copiaincollare con facilità. Lo stesso testo è stato inviato alle migliaia di persone che hanno firmato la petizione negli ultimi mesi:
inviare a: style@bjcp.org
oggetto: Don’t touch my IGA
testo:
The efforts of Bjcp in recognizing the historical value of Country with traditions in beer is priceless and commendable. The first Bjcp mission is “Encourages knowledge, understanding, and appreciation of the world’s diverse beer, mead, and cider styles”.
Iga is a relatively new style in a relatively new beer Country that is contributing to the beer knowledge in Europe. Losing the Bjcp recognition on the style’s name (Italian Grape Ale) would be a huge loss for our beer tradition, a gap in knowledge of European beer history that could affect the beer diversity.
We appreciate that there is the interest of other countries to produce Iga and that may not want to name their beer as Iga because of the italian prefix but we strongly believe this is not a good reason to erase the geographical indication from the name.
This would at the same time erase the credit our country has on this style. It’s very important to understand that “Italian” in the Iga appellation is not related to the origin of grape varieties, it is related to the peculiar use of grapes that Italian breweries make when producing beer.
As a beer enthusiast, I ask the Bjcp to fully recognize the Iga style in the next release of the Bjcp style guideline acknowledging “Italian Grape Ale” as an Italian style of beer originated in Italy».
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Nella più grande area terrazzata vitata d’Italia, dove l’arte dei muri a secco è patrimonio Unesco dal 2018, nasce la Rete dei Giardini Sospesi. Innovativa rete di imprese della filiera del vino con un approccio unico per il settore in Valtellina.
L’iniziativa, voluta dall’azienda Mamete Prevostini, unisce nove viticoltori storici. Scopo dell’iniziativa è dar vita a una virtuosa filiera nella quale condividere competenze, risorse e visioni. L’obiettivo è valorizzare la storia e la qualità della viticoltura del territorio portandola verso alti standard di sostenibilità, sia a livello ambientale che agro ecologico e economico.
«Con la Rete dei Giardini Sospesi, – spiega Mamete Prevostini – diamo valore a una figura professionale, ormai rara nel nostro territorio: il viticoltore a tempo pieno. Offriamo la possibilità generale, soprattutto ai giovani, di diventare produttori di uva a pieno titolo».
«Questo lavoro deve essere economicamente sostenibile e permettere a chi lo intraprende di rimanere in Valtellina, migliorare la qualità della propria vita e accrescere le eccellenze del territorio. Vogliamo dare un messaggio ottimistico alle nuove generazioni. Scommettere sulla bellezza del vino significa investire nell’estetica futura del paesaggio», conclude Prevostini.
LA RETE DEI GIARDINI SOSPESI
La Rete dei Giardini Sospesi nasce per ribadire il rapporto di fiducia che lega da sempre Mamete Prevostini ai viticoltori e alle loro famiglie. Donne e uomini che vivono i terrazzamenti vitati come giardini a tutela della bellezza del paesaggio e del territorio. Perché dall’amore, dalla cura e dalla passione nasce l’eccellenza dell’interpretazione del Nebbiolo tipica della Valtellina.
La scelta, razionale e lungimirante, è quella di investire sul “saper fare” e sull’originale interpretazione delle uve nebbiolo. Uve coltivate per il 50% da parte dei viticoltori della rete e per l’altro 50% da parte dei collaboratori che gestiscono i vigneti di proprietà dell’azienda Mamete Prevostini.
Grazie alla Rete dei Giardini Sospesi la filiera godrà di un continuo miglioramento della qualità dei suoi prodotti, di uno sviluppo delle proprie capacità produttive e dell’efficienza dei processi di coltivazione dei vigneti.
LA CONDIVISIONE DELLE COMPETENZE
Gli obiettivi verranno raggiunti grazie all’integrazione delle risorse e alla condivisione del know-how fra gli aderenti, diffondendo così una cultura orientata ai valori della sostenibilità ambientale, economica e sociale.
La Rete metterà a disposizione dei propri soci le pratiche di vigna condivise in anni di lavoro e sperimentazione. I produttori aderenti garantiranno assistenza agronomica mirata alla salvaguardia degli impianti dei vigneti e al continuo miglioramento dei prodotti ottenuti.
Verrà fornita assistenza nei principali processi di coltivazione e innovazione per ottimizzare così costi e risultati. Un’idea concreta di economia circolare che renderà la produzione di uva un’attività economicamente vantaggiosa e ne incentiverà la produzione sul territorio.
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L’Asolo Prosecco chiuderà il 2021 con un nuovo importante traguardo superando i 21 milioni di bottiglie. Nel 2020 si era già affermato al quarto posto in Italia fra le denominazioni del settore spumantistico, confermando un trend positivo in costante crescita.
«Il successo dell’Asolo Prosecco – commenta il Presidente del Consorzio, Ugo Zamperoni – è intimamente legato alla sua origine. Ci troviamo in un territorio davvero straordinario, dove la vegetazione, con i vigneti al limitare del bosco, è ancora vivida ed è in perfetto equilibrio con l’uomo e la sua storia. In un calice di Asolo Prosecco si trova tutto il fascino, la bellezza, la storia di Asolo e dei suoi paesaggi».
Ora l’Asolo Prosecco si prepara al tour con Slow Wine negli Usa, che rappresentano il primo mercato assoluto della denominazione. Sarà un viaggio in cinque tappe quello al di là dell’Oceano. Tra gennaio e febbraio 2022 porterà le bollicine asolane a toccare le città di San Francisco, Seattle, Austin, Miami e New York.
ASOLO CANDIDATO A CAPIATALE ITALIAN DELLA CULTURA 2024
«Il vino per noi è cultura – aggiunge Zamperoni -. Anche per questo abbiamo deciso di sostenere con una campagna la candidatura di Asolo a Capitale Italiana della Cultura 2024. Candidatura che sottolinea ancora una volta quanto sia importante la terra dove nasce il nostro vino».
La campagna del Consorzio Asolo Prosecco a sostegno della candidatura di Asolo a Capitale Italiana della Cultura 2024 avrà un raggio di comunicazione nazionale. Il borgo di Asolo, circondato dalle colline talora impervie dove nasce l’Asolo Prosecco, è un luogo ricco di arte e storia, riconosciuto come uno dei borghi più belli d’Italia. Oltre che a Capitale della Cultura 2024, Asolo è stato ufficialmente candidato nel 2020 a Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco.
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Rilasciato lo scorso novembre dalla londinese Bimber Distillery, Apogee XII Pure Malt Whisky è un blend di whisky di malto scozzesi invecchiati minimo 12 anni. Un sapiente lavoro di miscelazione per un whisky equilibrato e dalla grande personalità.
LA DEGUSTAZIONE
Color ambra, apre al naso su note fruttate di pera ed albicocca cui segue una vena di spezie morbide. Pepe bianco e vaniglia supportate da un chiaro sentore di cera d’api. Un leggero tocco tostato ed una freschezza mentolata lo rendono ulteriormente piacevole.
Di buon corpo ma scorrevole. È la freschezza a guidare la bevuta e ad invogliare al sorso successivo. Sorso agile che lo rende quasi adatto ad un aperitivo nonostante la complessità ed i 46,3% abv.
APOGEE XII PURE MALT
«Apogee è stato creato come risposta alla crescente domanda dei nostri prodotti e come estensione della nostra passione per l’arte della miscelazione», dichiara Matt McKay, portavoce della Bimber Distillery.
Ottenuto miscelando whisky single malt sia dalle Highlands che dallo Speyside maturati per un minimo di 12 anni, dopo la miscelazione segue un’ulteriore maturazione in botti ex-bourbon precedentemente utilizzate per invecchiare whisky single malt di Bimber.
Imbottigliato al 46,3% di ABV senza colorazione o filtrazione a freddo Apogee XII Pure Malt Whisky è stato rilasciato con una produzione iniziale di 25.000 bottiglie per il mercato mondiale.
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Terre Cevico ha presentato i dati dell’esercizio 2020/21. Dati che evidenziano i numeri in crescita e politiche di investimento e di accrescimento patrimoniale del gruppo che sono continuate nonostante il proseguire dell’emergenza sanitaria.
La Direzione aziendale, composta dal Presidente Marco Nannetti, dal Ceo Lauro Giovannini e dal Cfo Massimo Gallina, ha presentato anche la nuova partnership con Orion Wines – azienda trentina con proprietà anche in Puglia con cui Cevico collabora da oltre 10 anni – per produzioni orientate ai temi del biologico e della viticoltura sostenibile e la commercializzazione nel mondo, e l’acquisizione di un’ulteriore quota delle CantineMontresor in Valpolicella che passa così al 75% sotto il controllo di Terre Cevico.
«Terre Cevico – dichiara il Presidente – come tante altre imprese della filiera agroalimentare, non si è mai fermato in questi 19 mesi di pandemia. Abbiamo attraversato mille difficoltà e ci siamo reinventati un modello organizzativo che ha permesso ai nostri soci di non perdere mai il contatto con i mercati nazionali ed internazionali».
«Oltre a garantire liquidazioni competitive ai soci, abbiamo anche garantito lavoro a oltre 300 collaboratori e non abbiamo mai attuato ammortizzatori sociali come la Cassa Integrazione. È anzi perdurato il trend di consolidamento dei rapporti di lavoro», conclude Nannetti.
I NUMERI DEL BILANCIO
L’asticella del fatturato aggregato nell’esercizio appena trascorso è arrivata a 164,3 milioni di euro registrando un +3,22% sull’esercizio precedente. L’export mantiene la quota di 52 milioni di euro ed incide per il 38% sui ricavi consolidati, confermando la propensione ai mercati internazionali del Gruppo. Il patrimonio netto cresce a 73,9 milioni di euro (+2,6%).
Il plusvalore riconosciuto ai soci, ovvero l’incremento della liquidazione dei vini conferiti ai prezzi di mercato per l’esercizio 2020/21, ammonta a 6,4 milioni di euro (+12,9%). Tra i dati positivi si citano anche l’aumento del numero aggregato dei dipendenti del gruppo pari a 332 (+3,91%) e delle ore di formazione pari a 2.912 (+22,66).
FOCUS VINO BIOLOGICO
Nell’ultimo esercizio il vino biologico di Terre Cevico è stato venduto in 38 Paesi del mondo oltre all’Italia. Il fatturato è cresciuto oltre il +37%. Si confermano buone e in crescita le performance sia nei paesi asiatici che in nord ed est Europa, nonostante le estreme difficoltà doganali e di viaggio, di presidio commerciale in presenza, aspetto, quest’ultimo non trascurabile.
I primi player mondiali in quanto a vendite per Terre Cevico sono Russia (+78%). Cina (+19,6%). Finlandia (+38,2). Polonia (99,6%). Norvegia (+7,3%). Belgio (+36,2%) e Canada (+16%). La linea commerciale “b.IO“, distribuita in Italia in Gdo prosegue il trend positivo di vendita e segna +7,75 nell’esercizio. Anche la nuova linea senza solfiti aggiunti “Tutto è possibile” segna dati positivi.
PIANO DI SVILUPPO INDUSTRIALE
Il piano di sviluppo industriale per il periodo 2020/2024, in corso di realizzazione, interessa la sede dei due principali stabilimenti di produzione, Lugo e Forlì. Asse portante del progetto, nel segno della sostenibilità economica e ambientale, è il tema della “industria 4.0“.
Si prevedono interventi come il potenziamento dell’automazione delle aree di stoccaggio, logistica, ampliamento dei serbatoi delle aree di cantina per la messa in rete di tutte le fasi di gestione e produzione delle sedi del gruppo. Gli investimenti netti dell’esercizio chiuso al 31 luglio 2021 ammontano ad euro 2,56 milioni, con una sostanziale conferma delle principali aree di intervento.
SOSTENIBILITÀ
Centrale per il Gruppo è il tema della sostenibilità, declinato negli ambiti etico, economico ed ambientale come evidenziato nella quarta edizione del Bilancio di sostenibilità. L’edizione 2020/2021, redatta secondo le metodologie ed i principi previsti dai GRI Sustainability Reporting Standards, rappresenta un forte upgrading del progetto.
Se in passato l’analisi era riferita in senso stretto all’ambito della capogruppo Terre Cevico, oggi il perimetro di rendicontazione analizzato è notevolmente più ampio. Esso include società controllate e consolidate integralmente. Include inoltre un’analisi di tutta la filiera delle cooperative di base, le Cantina dei Colli Romagnoli e Le Romagnole.
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Per Assoenologi è inaccettabile la relazione Beating Cancer Plan approvata nei giorni scorsi dalla commissione straordinaria contro il cancro (Beca) del Parlamento europeo. Nella relazione si afferma che «Non esiste un livello sicuro di consumo di alcol», mettendo così in stretta relazione vino e tumori.
Assoenologi, che da sempre si batte per un consumo moderato e responsabile del vino e dell’alcol in generale, non accetta che non venga fatta alcuna distinzione tra abuso e consumo moderato, mettendo così a rischio una storia millenaria quale è quella del nostro vino.
L’associazione degli enologi, con spirito di collaborazione, mette a disposizione dei massimi organismi europei studi e ricerche mediche acquisite nel tempo. Studi in cui si evince, in maniera inequivocabile, che un consumo moderato di vino non solo non è nocivo per la salute della persona, ma ne apporta anche dei benefici.
LE PAROLE DEL PRESIDENTE DI ASSOENOLOGI RICCARDO COTARELLA
Sul tema è intervenuto direttamente il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella, che in una nota afferma:
«L’Europa che sognavo e in cui voglio continuare a credere ancora oggi è una madre saggia. Ha come fine ultimo la tutela, la valorizzazione, la promozione della storia, dell’identità e delle eccellenze che appartengono ai singoli Paesi membri dell’Ue».
Invece, da un po’ di tempo a questa parte, purtroppo, siamo chiamati a fare i conti con un’Europa che, a tratti, si scopre matrigna. Capace di mettere in discussione addirittura le tradizioni natalizie e ora pure il nostro vino. L’approvazione, da parte della commissione in seno al Parlamento europeo, della relazione Beating Cancer Plan è un atto politico gravissimo che può avere delle conseguenze storiche, culturali e, non ultimo, economiche disastrose».
«Non distinguere l’abuso dal consumo moderato e responsabile di alcol è semplice miopia politica, accompagnata da una non conoscenza di ciò che si sta discutendo. La dimostrazione è che la commissione parlamentare, da quanto si apprende, si starebbe basando su una singola ricerca scientifica. Ricerca già duramente criticata per alcuni suoi difetti di analisi».
«Anche a noi enologi sta a cuore la salute pubblica e da sempre siamo impegnati nella campagna di sensibilizzazione ad un consumo moderato di alcol. I risultati raggiunti negli anni sono assolutamente confortanti in questo senso. Continueremo in questo impegno, ma siamo altresì decisi a difendere il nostro vino che è parte integrante della cultura, della tradizione e del modo di vivere la vita di noi italiani».
«Con la speranza che certe decisioni possano essere quanto prima rimodulate, vorrei idealmente alzare un calice al cielo per augurare buon Natale a quell’Europa buona e sapiente in cui ho sempre creduto e in cui vorrei continuare a credere».
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Esprimiamo preoccupazione rispetto ad alcune misure contenute nel Piano anticancro elaborato dalla Commissione Beca (Beating cancer) del Parlamento europeo. In particolare, ci preoccupa la generalizzazione sugli effetti del consumo di alcol quale strategia a lungo termine per la prevenzione delle patologie croniche e di quelle oncologiche».
Inizia così la nota di Assodistil (Associazione nazionale industriali distillatori di alcol ed acquavite) in seguito all’approvazione dello schema definitivo del Report stilato dalla Commissione Beca. Report che sarà poi votato dell’assemblea plenaria del Parlamento europeo, tra gennaio e febbraio del 2022.
«La nostra associazione – continua la nota – è da sempre al fianco delle istituzioni europee e italiane nelle battaglie per la salute dei consumatori. È da sottolineare però che alcuni degli interventi proposti dalla Commissione Beca, nella loro attuale formulazione, potrebbero non essere correttamente indirizzati. Interventi che rischiano di rivelarsi controproducenti sia rispetto ad altri interessi tutelati dall’Unione Europea che agli stessi obiettivi del Piano».
ABUSO DI ALCOL O CONSUMO RESPONSABILE?
«Nonostante sia indubbio – afferma AssoDistil – che l’abuso di alcol sia tra i principali fattori di rischio di alcune patologie, appare palesemente oltre misura condannare il consumo di alcol. Condanna fatta a prescindere da un quantitativo minimo metabolizzabile ed in ragione delle condizioni soggettive del consumatore».
Nella relazione approvata dalla Commissione Beca, si legge che “non esiste un livello sicuro di consumo di alcol”. Si interpretano quindi i dati scientifici nel senso che, in mancanza dell’individuabilità di un limite oggettivo, il prodotto debba essere bandito nella sua interezza».
AssoDistil sottolinea come da diversi anni sono attivi in Italia piani strategici che vedono il Ministero della Salute svolgere un ruolo primario nella direzione e monitoraggio nella lotta agli abusi. Piani che al contempo coinvolgono in modo attivo i portatori di interesse. Il tutto in attuazione della legge quadro in materia di consumo di bevande alcoliche e problemi correlati.
“Coerentemente con i dati scientifici a disposizione – prosegue AssoDistil – nel nostro Paese la lotta agli abusi viene condotta in congiunzione ad altri aspetti della vita individuale e sociale. Primo fra tutti le abitudini alimentari equilibrate e l’assistenza in condizioni socioeducative di svantaggio”.
NO ALLA PENALIZZAZIONE DEL SETTORE DISTILLATORIO
Secondo AssoDistil la mancata contestualizzazione del problema da parte delle istituzioni europee rischia di pregiudicare ingiustificabilmente un intero settore. Inoltre AssoDistil sottolinea come tra le “bevande spiritose” vi sono Indicazioni Geografiche, le cui qualità sono il risultato di fattori naturali e umani unici. IG che rappresentano un bene collettivo, legato al patrimonio dei territori di cui sono espressione. IG non adatte a un consumo finalizzato al benessere generale, e che svolgono un ruolo fondamentale nel tutelare e promuovere le risorse locali.
In questo contesto, solo se opportunamente sostenute, queste Indicazioni Geografiche possono continuare a prevenire la delocalizzazione della produzione. Creare posti di lavoro, stimolare sviluppo locale e la conservazione dei prodotti alimentari tradizionali, dell’ambiente e della biodiversità», evidenzia AssoDistil.
«AssoDistil – conclude la nota – conferma il pieno impegno dei suoi associati a promuovere una corretta informazione verso il consumo consapevole e moderato delle bevande spiritose, nell’ottica degli obiettivi del Piano di Lotta al Cancro ed agli altri disturbi alcol-correlati, ma chiediamo alle istituzioni di impegnarsi affinché il settore non venga ingiustificatamente penalizzato con misure illogicamente afflittive».
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Non si ferma la locomotiva del vino italiano sui mercati internazionali. L’export nei primi 9 mesi segna un +15,1% a valore sul pari periodo del 2020, per un corrispettivo di oltre 5,1 miliardi di euro. Una performance, rileva Unione italiana vini (Uiv), superiore anche al periodo pre-pandemico del 2019, con un incremento, sempre a valore, dell’11,6%.
L’ANDAMENTO DELL’EXPORT
Secondo le elaborazioni su base Istat, il vino italiano guadagna posizioni in tutti i suoi fondamentali. Oltre al valore, aumentano i volumi (+7,9%, 16,2 milioni gli ettolitri esportati) e soprattutto il prezzo medio, a +7%. Un dato importante, quest’ultimo, che però secondo Uiv va solo a parziale compensazione delle perdite che le aziende stanno subendo a causa del balzo dei costi di materie prime, di energia elettrica e trasporti.
A trainare il mercato, l’ennesimo exploit degli sparkling che incrementano del 28,6% sia in volume che a valore. L’Asti segana +13% e il Prosecco vola a quasi +40% grazie anche all’enorme balzo della domanda statunitense. I consumi post lockdown di vino italiano nel mondo privilegiano i vini Dop imbottigliati (+18,8%), con i fermi a +15,1%. Minore è la crescita di Igp e vini comuni. Tra i formati, a conferma di una domanda che vira maggiormente verso i segmenti medio-alti, si segnalano in calo i bag in box (-11%), dopo l’exploit durante il lockdown, e lo sfuso (-5%).
I PAESI DI RIFERIMENTO
Sul fronte delle destinazioni, in grande recupero l’extra-Ue, che fa segnare, sempre a valore, un +19, mentre l’export comunitario si attesta a +9,2%. Tra i Paesi variazioni positive in tutti i principali mercati, con il boom degli ordini dagli Stati Uniti (+23,1%), che rappresentano oltre 1/4 dell’export di vino tricolore.
Performance significative sul podio della domanda anche delle altre 2 piazze: Germania a +7% e Regno Unito a +6,1%. In doppia cifra gli aumenti in Canada, Paesi Bassi, Francia, Svezia, Belgio, Russia e Cina (a +53,2%).
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Fatturato record a 196,5 milioni di euro (+1,5%) per il Gruppo Mezzacorona, che ingloba i marchi Rotari, Tolloy e Feudo Arancio. Il dato giunge dalla 117ª assemblea generale dei soci tenutasi questa mattina, in cui è stato presentato il bilancio 2020/2021 della cooperativa trentina. L’utile netto è di 3,2 mln di euro (+32,5%).
Emergono anche altri dati definiti «molto positivi» dal presidente Luca Rigotti e dal direttore generale Francesco Giovannini. Il valore complessivo del conferimento si assesta sui 67,5 milioni di euro. Le rese medie per ettaro ad ottimi livelli, con 18.800 euro. Il patrimonio netto del Gruppo Mezzacorona ha toccato i 104,2 mln euro.
Dal confronto con le precedenti gestioni, emerge come il fatturato consolidato segni il nuovo record aziendale. Per l’esattezza la cifra è di 196.525.198 euro, contro i 193.597.747 euro del 2020 (+1,5%), frutto della sola gestione caratteristica. L’utile netto di 3.207.135 euro è superiore del 32,5% rispetto ai 2.419.267 euro del 2020.
EXPLOIT NELL’EXPORT PER MEZZACORONA
Benissimo l’export, oltre l’80% delle vendite complessive, in ben 65 Paesi del mondo. Forte la presenza negli Stati Uniti, il mercato più importante e strategico per il Gruppo Mezzacorona, dove opera con successo da più di trent’anni con la controllata Prestige Wine Imports Corp.
Ottimi risultati anche in Germania, tramite la controllata Bavaria Wein Import GmbH. In vetta ci sono poi Olanda, Austria e Svizzera, Scandinavia, Regno Unito, Canada, Belgio, Europa dell’Est e Russia in particolare. E ancora, l’Estremo Oriente (Giappone, Corea del Sud, Cina) ma anche mercati nuovi come l’Australia, Israele, i Caraibi ed il Vietnam.
Il presidente Luca Rigotti ha voluto ringraziare tutti i collaboratori «che hanno dimostrato, in un anno così difficile per la pandemia di Covid-19, il loro impegno e senso di responsabilità verso l’azienda».
IL COMMENTO
I risultati – ha aggiunto – sono stati eccellenti pur in un contesto generale complicato, che ha messo in seria difficoltà non solo la salute delle persone ma anche tutta l’economia e quindi anche il settore vitivinicolo. Il bilancio evidenzia la forza del Gruppo sia dal punto di vista economico che finanziario».
Molto importante per il Gruppo Mezzacorona è stato anche l’ottenimento per il sesto anno consecutivo della Certificazione della produzione dei soci secondo il Sistema di Qualità Nazionale per la Produzione Integrata (Sqnpi). E, in stretto raccordo, della Certificazione dei vini, «a conferma dei grandi risultati sulla strada della sostenibilità ottenuti dal Gruppo Mezzacorona».
Una politica, quella della sostenibilità, attuata «con grande determinazione, non solo in chiave ambientale ma anche sociale, economica, culturale e territoriale». Non a caso, Mezzacorona è stata tra le prime aziende in Trentino a puntare sulle Doc negli anni Settanta e, dagli anni Novanta, a sperimentare con successo le pratiche più avanzate per la produzione integrata, come la confusione sessuale.
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Buona la prima per l’Alta Langa Docg Pas Dosé Metodo classico 2017 di Garesio. L’annata d’esordio della cantina di Serralunga d’Alba (CN) nella pregiata denominazione di spumanti Metodo classico piemontesi è tra i vini premiati dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it.
LA DEGUSTAZIONE
L’Alta Langa Garesio, millesimato 2017, si presenta nel calice di un giallo paglierino luminoso. Perlage finissimo, molto persistente. Naso generoso, spazia dal frutto giallo maturo alla pasticceria, con nota gessoso-minerale e ricordi preziosi di agrumi e radice di liquirizia.
Al palato, un Alto Langa teso e pieno, sul frutto. Ottima anche la persistenza, ad innalzare ulteriormente il gradiente di gastronomicità. I vigneti da cui provengono le uve Pinot nero in purezza si trovano a Serralunga d’Alba, di fronte alla vigna di Nebbiolo del cru Cerretta di Garesio.
LA VINIFICAZIONE
Dopo la pressatura soffice e la fermentazione in acciaio a temperatura controllata, il vino atto a divenire Alta Langa Docg Pas Dosè Metodo classico 2017 è stato imbottigliato per la presa di spuma e lasciato riposare sui lieviti per circa 36 mesi.
Terminate le fasi di sboccatura e dosaggio, nella filosofia degli spumanti Pas dosé, non è stata aggiunta la liqueur d’expedition. Una scelta che consente di toccare con mano tutte le potenzialità del Pinot Nero spumantizzato da Garesio.
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Inaugurata nel 2017, la Clydeside Distillery di Glasgow è la prima distilleria ad aprire i battenti nella cittadina delle Lowlands in oltre 40 anni. Clydeside Stobcross Single Malt Scotch Whisky, rilasciato ad ottobre 2021 dopo 4 anni di invecchiamento, è ora disponibile anche in Italia.
LA DEGUSTAZIONE
Color oro scarico al naso di dimostra immediatamente più complesso di quanto ci potrebbe aspettare da un whisky così giovane. Apre su forti sentori floreali di grande freschezza. Segue frutta fresca. Albicocca, pesca, pera. Leggera vena agrumata. Note agrumate ed un tocco di miele in chiusura.
In bocca è scorrevole ma non “vuoto”. Il buon corpo sostiene bene l’imbottigliamento a 46% abv. Sorso fresco e pulito che aggiunge note di pepe bianco ad un retro olfattivo in perfetta corrispondenza naso-bocca. Un whisky giovane ma non immaturo e con un buon equilibrio fra spirito e botte.
CLYDESIDE STOBCROSS SINGLE MALT SCOTCH WHISKY
Clydeside Stobcross Single Malt Scotch Whisky è un single malt delle Lowlands maturato in un mix di botti di rovere americano ed europeo. Prima distilleria ad aprire a Glasgow, sulle rive del fiume Clyde, in oltre 40 anni la Clydeside Disiellery ha atteso quasi 4 anni prima di presentare il suo primo “whisky”.
«Stobcross rende omaggio al patrimonio industriale di Glasgow e allo spirito di innovazione che ha forgiato la sua posizione sulla scena globale», dichiara Andrew Morrison, direttore commerciale della distilleria.
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Positivo il primo bilancio di Assovini Sicilia a chiusura dei 100 giorni della vendemmia. Vendemmia iniziata i primi di agosto nella parte occidentale dell’Isola, con un anticipo di circa dieci giorni, per concludersi a novembre nei vigneti dell’Etna.
«La Sicilia sembra avere una buona elasticità anche rispetto ai sempre più evidenti cambiamenti climatici», commenta il presidente di Assovini Sicilia, Laurent de la Gatinais.
«Nelle ultime due vendemmie, la vitivinicoltura siciliana conferma la sua vocazione alla sostenibilità e alla qualità media delle uve sempre alta. Gli obiettivi futuri – continua il presidente – vanno quindi nella direzione di sviluppare le coltivazioni bio e sostenibili».
LA VENDEMMIA 2021
Una vendemmia caratterizzata da alcuni picchi di caldo in luglio e agosto, dalle piogge di settembre, fino alla cenere vulcanica in alcune aree dell’Etna. Andamento climatico che ha permesso di limitare al minimo i trattamenti fitosanitari.
Per questo si parla di una vendemmia 2021 caratterizzata da uve estremamente sane. Negli areali con escursioni termiche rilevanti, in assenza di stress idrico per le piante, c’è stato un maggiore arricchimento di composti fenolici, importanti soprattutto per la maturazione delle uve rosse e un incremento dell’espressione aromatica delle uve a bacca bianca.
Anche la vendemmia riflette la diversità e la varietà della viticoltura siciliana e dei suoi vignerons. Le uve bianche internazionali hanno avuto una forte accelerazione nella maturazione, a differenza di quelle autoctone, più resistenti.
LE PREVISONI ENOLOGICHE
Interessanti le previsioni enologiche. Dalla vendemmia 2021, bisogna aspettarsi vini bianchi aromatici, con acidità alte e freschezza, e rossi strutturati dai colori intensi. I vini dolci avranno bouquet aromatici caratterizzati da grande intensità e persistenza gustativa.
Si registrano variazioni produttive molto diverse non solo tra zona e zona ma anche all’interno di una stessa zona e una leggera flessione nella resa uva-vino. Rispetto alle medie degli ultimi anni, la vendemmia 2021 in Sicilia si assesta a circa un –20%. In leggero rialzo rispetto all’annata 2020, ricordata come una delle meno produttive degli ultimi 160 anni.
LA SOSTENIBILITÀ
«Per questo – aggiunge de la Gatinais – è importante la sinergia e la collaborazione con la Fondazione SOStain Sicilia, promossa dal Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia e da Assovini Sicilia”.
Ad oggi, sono venticinque le cantine siciliane che hanno scelto di associarsi alla Fondazione SOStain Sicilia. Circa 5000 ettari di superficie vitata con oltre 20 milioni di bottiglie prodotte. Sei aziende sono già certificate e tre in corso di certificazione, mentre tutte le altre sono attivamente impegnate in un percorso di miglioramento continuo.
«Sono molto entusiasta dei risultati finora raggiunti – dice Alberto Tasca, presidente della Fondazione SOStain Sicilia -. SOStain nasce per promuovere nel territorio siciliano una visione pratica e contemporaneamente olistica della sostenibilità, che conduca verso un modello di sviluppo generativo e non solo accumulativo».
«La Sicilia ha caratteristiche climatiche e geopedologiche uniche, come confermato dall’andamento della vendemmia 2021, ed è essenziale che le buone pratiche di sostenibilità vengano contestualizzate al territorio. Solo così è possibile determinare un cambiamento in direzione della sostenibilità», conclude Tasca.
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