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Brunello di Montalcino a gonfie vele nel primo trimestre 2021

Brunello di Montalcino a gonfie vele nel primo trimestre 2021

Più 37% rispetto allo scorso anno e a +23% sulla media degli ultimi 10 anni: il Brunello di Montalcino naviga a gonfie vele nel primo trimestre 2021. Un inizio dell’anno da record per le vendite del grande rosso toscano. La Riserva 2015 e soprattutto la super annata 2016 fanno infatti volare le consegne delle fascette di Stato per le bottiglie pronte alla vendita, polverizzando i precedenti primati.

In particolare, dopo un primo bimestre a +19% sul pari periodo (Covid free) dello scorso anno, il mese di marzo è stato di gran lunga il migliore del decennio, con un +92% sulla media riscontrata dal 2011 a oggi.

Secondo il Consorzio del vino Brunello di Montalcino, in forte crescita sono segnalati in particolare i mercati esteri di sbocco della Docg, a partire dalla storica domanda statunitense che sta riaprendo la propria ristorazione.

Non è retorica affermare come le nostre ultime due annate, tra le migliori di sempre sul piano qualitativo, si stiano rivelando anche più forti della tragedia che stiamo vivendo», commenta il presidente del Consorzio del vino Brunello di Montalcino, Fabrizio Bindocci.

«I numeri – aggiunge – dicono che lo scorso anno le bottiglie immesse sul mercato erano state il 12% in più dell’anno precedente, e ora, dopo i successi riscontrati sulla critica internazionale, stiamo facendo i conti con una nuova annata che da metà novembre a oggi fa registrare consegne per oltre 5,2 milioni di bottiglie, che equivalgono a quasi la metà dell’intera nuova produzione in commercio nel 2021».

“Benvenuto Off”: i punteggi al Brunello di Montalcino 2016

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Chianti Classico: +22% nel primo trimestre 2021

Ottimo inizio 2021 per il Chianti Classico che chiude il primo trimestre con un +22% di di bottiglie vendute, circa 10 milioni, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Con la sua presenza in oltre 150 paesi, che in media assorbono oltre l‘80% della produzione annua, il Gallo Nero è riuscito a contenere la perdita al -8% nel 2020 nonostante le note difficoltà del canale Horeca.

Le relazioni con i mercati, consolidate con investimenti di promozione da parte del Consorzio e delle aziende associate, non si sono affievolite durante la pandemia e nonostante l’obbligata interruzione di attività promozionali in presenza, i mercati storici come Nord America, Germania e Regno Unito, ma anche quello asiatico, hanno continuato a scegliere il Chianti Classico.

A questo ha contributo anche il settore dell’e-commerce, che a livello globale ha aumentato sensibilmente il volume delle vendite, in particolare tra i Millennial con una buona disponibilità economica.

«Questo risultato dimostra la forza della struttura commerciale del Chianti Classico, che lo vede distribuito in così tanti paesi del mondo e attraverso molteplici canali – afferma Carlotta Gori, direttore del Consorzio – Qualche difficoltà in più riscontrata dal mercato interno, con la ristorazione chiusa da mesi. Il consumatore di Chianti Classico si è dimostrato tuttavia fedele al prodotto e ha continuato ad acquistarlo anche per il consumo fra le pareti domestiche».

Come si sono parzialmente modificati i canali di acquisto, anche le modalità di promozione sono state rimodulate utilizzando i nuovi strumenti di comunicazione, in particolare per i paesi stranieri.

Complessivamente hanno partecipato oltre 1500 operatori del settore e rappresentanti della stampa internazionale agli eventi di promozione organizzate dal Consorzio Vino Chianti Classico prevalentemente online con webinar, seminari e masterclass sui principali mercati occidentali (Stati Uniti e Canada) ed in presenza sui mercati asiatici (Giappone, Corea e Cina).

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Italian Grape Ale: una petizione per salvare la birra d’uva italiana

Una petizione su Change.org per salvare la Iga (Italian Grape Ale), stile di birra ottenuta dalla combinazione del malto con uva o mosto d’uva. A promuovere la petizione, lanciando un appello sui social «a tutti i birrifici, pub e consumatori consapevoli di birra artigianale» è Gianriccardo Corbo, homebrewer dal 2005 e dal 2011 degustatore del Bjcp (Beer Judge Certification Program) e giudice in concorsi internazionali.

«Da recenti discussioni col Bjcp è emerso che ci sono probabilità che venga cambiato il nome delle “Italian Grape Ale” in “Grape Ale” – si legge sulla pagina Facebook di Corbo – per accogliere i desiderata e l’interesse di altri Paesi che producono birre con mosto d’uva con vitigni non italiani».

Uno stile brassicolo, come fanno notare i firmatari della petizione, che ha le sue radici proprio in Italia, non a caso il più importante Paese al mondo per produzione vinicola sia in termini di quantità che per gli innumerevoli vitigni autoctoni.

L’Iga, già riconosciuta dallo stesso Bjcp nel 2015, rappresenta una peculiarità dell’identità agroalimentare e della creatività italiana tanto forte da esser stata inserita nell’Enciclopedia Treccani nel 2019 e che rischia ora di venir cancellata a livello internazionale.

LA PETIZIONE
Riportiamo l’intero testo della petizione presente su Change.org:

È prevista a breve una nuova versione delle linee guida sullo stile della birra del Bjcp (Beer Judge Certification Program). Negli scorsi anni sono stati compiuti sforzi significativi per ottenere il riconoscimento dell’Italian Grape Ale (Iga) come stile di birra all’interno delle linee guida Bjcp che menzionano per la prima volta l’Iga nella versione del 2015.

In questa nuova versione in arrivo l’aspettativa dei birrifici, consumatori e pub italiani è di vedere lo stile Iga pienamente riconosciuto.

Il Bjcp sta attualmente valutando di cambiarne il nome da “Italian Grape Ale” a “Grape Ale” per assecondare la richiesta di altri Paesi di poter produrre le loro birre denominandole più genericamente “Grape Ale” (ad esempio nel caso vengano utilizzati vitigni differenti da quelli italiani)

Questa modifica sarebbe una grande delusione per il movimento della Nostra Birra Artigianale che negli ultimi anni ha fatto sforzi enorme per ottenere il riconoscimento di uno stile che, a tutti gli effetti e senza ombra di dubbio, ha la sua origine nel nostro paese.

La Iga è largamente prodotta in Italia (se ne conoscono più di 200 esempi) ed il nome è ampiamente riconosciuto al punto da essere persino incluso nel vocabolario della lingua italiana.

Le linee guida del Bjcp sono piene di stili di birra con prefissi a denominazione geografica, come “belga, irlandese, scozzese, inglese, tedesca, americana” e riconosciamo che questo è importante perché sottolinea l’origine di un determinato stile. Rimuovere il prefisso “italiano” significa non riconoscere l’Italia come il paese in cui questo stile è nato e in gran parte prodotto.

L’Italia è il più grande produttore vitivinicolo del mondo ed è anche il Paese in cui vengono coltivati il maggior numero di vitigni. L’uva è nel nostro sangue e non è semplicemente un frutto, è molto di più. È identità, tradizione, diversità, cultura, famiglia.

L’impegno del Bjcp nel riconoscere il valore storico dei Paese con tradizioni nella birra è impagabile ed encomiabile. La Sua prima missione è “Incoraggiare la conoscenza, la comprensione e l’apprezzamento dei diversi stili di birra, idromele e sidro del mondo”.

L’Iga è uno stile relativamente nuovo in un Paese relativamente nuovo nel panorama brassicolo, ma che sta contribuendo alla conoscenza della birra in Europa.

Perdere il riconoscimento Bjcp sul nome dello stile (Italian Grape Ale) sarebbe un’enorme perdita per la nostra tradizione brassicola ed una lacuna nella conoscenza della storia della birra europea che potrebbe influenzare la diversità della birra.

Sappiamo che c’è l’interesse di altri Paesi a produrre Iga e che potrebbero non voler chiamare le loro birre Italian Grape Ale per via del prefisso “Italian”, ma crediamo fermamente che questo non sia un buon motivo per cancellare l’indicazione geografica dal nome. Ciò cancellerebbe contemporaneamente i crediti che il nostro paese ha su questo stile.

Come movimento della Birra Italiana, chiediamo al Bjcp di riconoscere pienamente lo stile Iga nella prossima versione delle linee. Chiediamo che “Italian Grape Ale” sia riportato come nome di stile sulle linea guida e suggeriamo al Bjcp di identificare come “Grape Ale” quelle birre prodotte con uve diverse dai vitigni italiani».

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Ugo Zamperoni rieletto presidente del Consorzio Asolo Prosecco e Vini del Montello

Ugo Zamperoni è stato rieletto presidente del Consorzio che tutela l’Asolo Prosecco e i Vini del Montello durante il Consiglio di Amministrazione tenutosi oggi, martedì 6 aprile. Accanto a Zamperoni, al suo secondo mandato, è stata nominata vicepresidente Silvia Costa.

Nel rinnovato Consiglio consortile siedono Enrico Bedin, Mattia Bernardi, Giovanni Ciet, Antonio Dal Bello, Roberto Giusti, Paolo Liberali, Simone Morlin, Giuliano Pozzobon e Dario Toffoli. Revisore dei conti è Lorenzo Tirindelli.

Clamorosi i dati di andamento della denominazione presentati nel corso della riunione del nuovo Consiglio: nel primo trimestre del 2021, l’Asolo Prosecco è cresciuto del 28% rispetto ai primi tre mesi del 2020.

E la dinamica pare in ulteriore accelerazione, se si considera che il solo mese di marzo segnala una crescita del +45% rispetto allo stesso mese dell’anno prima.

«A fine anno avevamo chiuso a quota 18,7 milioni di bottiglie – dichiara Zamperoni – collocandoci per la prima volta al quarto posto assoluto del panorama spumantistico italiano, un posizionamento che ora si consolida ancora di più».

Asolo Prosecco: +10% nel 2020

A marzo del 2021, infatti, le certificazioni dell’Asolo Prosecco hanno già superato i 5,1 milioni di bottiglie, il che vuol dire che abbiamo venduto 1,1 milioni di bottiglie in più rispetto ai primi tre mesi del 2020, confermando pertanto ancora una volta il trend favorevole che ci accompagna ormai da parecchi mesi.

Se infatti ci confrontiamo con i dati dei primi tre mesi di due anni fa, fuori dunque dal contesto pandemico, la crescita dell’Asolo Prosecco è addirittura del +41%».

Sempre secondo il numero uno del Consorzio di Tutela dell’Asolo Prosecco, «sembrano esserci i presupposti per immaginare che il trend di sviluppo non muti nei prossimi mesi, particolarmente favorevoli al mercato degli spumanti».

«Dal lato dell’offerta – continua Ugo Zamperoni – siamo perfettamente in grado di assecondare questi ritmi di incremento, che del resto avevamo già ipotizzato quando decidemmo, tra le pochissime denominazioni italiane ad aver fatto all’unanimità questa scelta, di non ridurre le rese ad ettaro della scorsa vendemmia, prevedendo anzi l’adozione di una riserva vendemmiale, capace di assecondare la domanda».

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Vini al supermercato

Montecucco Rosso Doc 2018 “Le Maciole” 2018, Tenuta Ribusieri

(4,5 / 5) Quanti conoscono il Montecucco Rosso Doc? Una denominazione sconosciuta alla maggior parte dei frequentatori delle corsie del vino al supermercato, anche perché “oscurata” da altre più blasonate, come quelle di Montalcino o Bolgheri. Eppure, sa offrire vini eccellenti e di grande personalità, come Montecucco Rosso Doc 2018Le Maciole”  di Tenuta Ribusieri di Cinigiano.

Un vino, come altri prodotti in quel fazzoletto di terra alle spalle della maremma che insegna, come la favola del brutto anatroccolo di Andersen, che non bisogna snaturarsi per dimostrare quello che si è. Un cigno.

LA DEGUSTAZIONE
Di colore rosso rubino intenso, il Montecucco Doc Le Maciole 2018 della Tenuta Ribusieri si mostra subito di buon corpo e di buona morbidezza osservando gli archetti del bicchiere.

Naso intenso inizialmente vinoso che poi spazia tra il floreale di viola mammola ed il frutto maturo tipico del Sangiovese. Non mancano fini speziature pepate conferite dall’apporto del Syrah.

Davvero succoso al palato il Montecucco Doc Le Maciole ha una buona freschezza ed un allungo sapido che detta i ritmi della beva. Ottima integrazione con i tannini fitti e setosi, accomodanti ma non “compiacenti”. Avvolgente, beverino e di lunga persistenza retrolfattiva.  Rapporto qualità prezzo eccellente.

Pochi euro dunque, in cambio di un vino che farà fare il classico figurone in un pranzo in famiglia. E che in cucina sarà molto versatile in un menù di terra.  Ideale aperitivo accompagnato da formaggi stagionati come un pecorino del Monte Amiata, crostini alla toscana, fagioli all’uccelletto ed una panzanella. Un weekend toscano a km zero.

Perfetto anche con dei tortelli ripieni di verdure conditi anche con un buon ragù e naturalmente con la “ciccia” toscana.

LA VINIFICAZIONE
Il Montecucco Doc Le Maciole della Tenuta Ribusieri è formato da un uvaggio 80% Sangiovese, 10% Petit Verdot e 10% di Syrah. Il vigneto è stato impiantato nel 2006 su un terreno franco argilloso, esposto a sud-ovest, a 160 metri sul livello del mare. L’impianto di questo vigneto conta circa 5.000 ceppi per ettaro ed è allevato a cordone speronato basso con una carica di gemme che varia da 8 a 10 gemme/pianta.

La vendemmia delle uve avviene a fine settembre, manualmente e con accurata selezione delle uve che vengono trasportate fino alla cantina in cassette. La raccolta di Syrah e Petit Verdot invece avviene a avviene a metà ottobre.

Fermentazione in acciaio a temperatura controllata, macerazione per 15 giorni con frequenti rimontaggi e follature cui segue affinaamento di 3 mesi in bottiglia prima della messa in commercio.

La Tenuta Ribusieri si trova nella zona di produzione del Montecucco, a Cinigiano. Siamo nei pressi del Monte Amiata, vulcano spento che regala ai terreni fertilità e mineralità.  Nei dieci ettari di proprietà coltiva principalmente Sangiovese e Vermentino, vitigni tipici di questo angolo di Toscana.

Acquistato presso: Coop
Prezzo pieno: 7,70 euro

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Food Lifestyle & Travel

Il ristorante sott’acqua di Andrea Berton alle Maldive

Andrea Berton si prepara ad aprire il suo primo ristorante sott’acqua alle Maldive. Lo chef, stella Michelin presso il Ristorante Berton Milano e al Ristorante Berton al Lago, entra così nell’olimpo degli “underwater restaurants“.

Nell’atollo di Raa alle Maldive lo chef avvia una nuova collaborazione che lo vedrà alla guida del ristorante H2O all’interno del resort You & Me by Cocoon, inaugurato circa un anno fa dal tour operator Azemar, specializzato in destinazioni nell’Oceano Indiano.

«Sono molto soddisfatto della collaborazione con You & Me by Cocoon – commenta Andrea Berton – non solo per l’altissimo livello di qualità che il resort offre, da quello gastronomico a quello esperienziale, ma anche per la natura unica del Ristorante, uno dei pochissimi ristoranti underwater al mondo, l’unico nell’atollo di Raa».

Il menù à la carte studiato ad hoc dallo Chef offre agli ospiti del meraviglioso resort maldiviano un’esperienza gastronomica caratterizzata da suggestioni italiane unite a un twist internazionale, alternano alcuni piatti signature dello chef a nuove creazioni ispirate dalla bellezza e dall’unicità della location.

Lo chef resident del ristorante sarà Alessandro Sciarrone, già parte dello staff del Ristorante Berton Milano per tre anni, mentre Corporate chef del Gruppo Cocoon è Giovanni De Ambrosis.

La cucina dello chef Berton sarà valorizzata dal contesto esclusivo: ampie vetrate immerse nei fondali corallini della laguna e da arredi di design come i tavoli sospesi, in ceramica dipinta a mano.

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degustati da noi vini#02

Chianti Docg Riserva 2016 Puro senza solfiti aggiunti, Fattoria Lavacchio

Dopo il primo Chianti Docg senza solfiti aggiunti, ecco il vino della “sfida nella sfida” di Fattoria Lavacchio: il Chianti Docg Riserva 2016 “Puro”. «Un vino nato per dimostrare che, anche in assenza di solfiti, il vino può invecchiare», per dirla con le parole della famiglia Lottero.

«L’importante è che l’uva sia matura, sana e incontaminata», aggiungono Faye Lottero e Dimitri Sidorinko, marito e moglie che conducono l’organic farm di Pontassieve (FI) dal 1999. “Puro” è un Sangiovese in purezza vinificato in acciaio e affinato in legno per 12 mesi, senza la minima aggiunta di solfiti, i “conservanti” del vino.

LA DEGUSTAZIONE
Anno domini 2021, 5 anni dalla vendemmia. Nel calice, il Chianti Riserva 2016 di Fattoria Lavacchio si presenta di un rubino intenso, dal quale si elevano note floreali di violetta e fruttate di amarena e lampone selvatico maturo.

Il legno aggiunge complessità al nettare e appare ben integrato, attraverso le sue attribuzioni speziate dolci. Un tocco di spezia finissima completa un quadro tendenzialmente morbido e voluttuoso, conferendo l’auspicata verve.

Il palato è in perfetta corrispondenza con il naso. Sorso morbido ma animato dalla corretta freschezza, a sorreggere un frutto rosso che si conferma succoso, pienamente maturo. Non manca un tannino fine e ancora non del tutto addomesticato: ennesima dimostrazione di come questo Chianti Riserva abbia davanti ancora 3, 4 anni di positiva evoluzione.

A tavola si abbina alla perfezione con piatti, anche elaborati, a base di carni rosse. Si può spaziare dai primi ricchi di ragù ai secondi come grigliate e brasati. Bene anche in accompagnamento a formaggi stagionati.

LA VINIFICAZIONE
La vinificazione del Chianti Riserva “Puro” prevede innanzitutto la diraspatura delicata delle uve Sangiovese, in ottimo stato di maturazione fenolica. Seguono poi fermentazione spontanea e macerazione a temperatura controllata in acciaio per circa 10 giorni, con numerosi rimontaggi e delestages, utili ad estrarre le componenti più morbide.

Dopo la fermentazione malolattica, che avviene molto rapidamente data l’assenza di solfiti, il vino viene travasato in barrique. L’affinamento si prolunga nei piccoli contenitori di legno per circa 12 mesi.

Dei 110 ettari complessivi di cui può disporre Fattoria Lavacchio a Pontassieve, a una ventina di chilometri da Firenze, solo 21 sono destinati a vigneti, tutti certificati biologici. Vitigno principe è ovviamente il Sangiovese, che affonda le radici in terreni ricchi di scheletro e galestro, a 450 metri di altezza rispetto al livello del mare.

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Jamin, lo Champagne negli abissi di Portofino che fa infuriare Bisson e la Lega

Si chiama Champagne Jamin -52 Underwater Cloe Marie Kottakis Menocinquantadue ed è la risposta italo-francese ad Abissi di Bisson. Un progetto molto simile a quello della cantina ligure guidata da Pierluigi PieroLugano. In questo caso sono le “bollicine” francesi – Pinot Noir in purezza dell’Aube – ad affinare nei fondali di Portofino, al posto delle autoctone Bianchetta Genovese, Vermentino, Cimixià che compongono la cuvée del notissimo spumante Metodo classico Pas Dosé Portofino Doc.

Un progetto che Pierluigi Lugano ha contestato sin dagli esordi, senza successo. Oggi il caso è finito addirittura alla Camera, attraverso un’interrogazione presentata dal deputato spezzino della Lega Nord Lorenzo Viviani, sottoscritta anche da altri 8 deputati del Carroccio, tra cui il commissario regionale Lega Liguria, Edoardo Rixi.

Nell’occhio del ciclone le 3 mila bottiglie di Champagne immerse nei fondali liguri dalla società Jamin Portofino Srl, amministrata sin dalla fondazione (4 dicembre 2015) da Emanuele Kottakhs, residente a Camogli ed ex titolare di un’officina per la sostituzione di vetri di auto a Cogorno, sempre in provincia di Genova.

Tra i soci, oltre all’ex nazionale di nuoto sincronizzato Chiara Reviglio, figura anche Massimiliano Gorrino, ex dipendente della Drafinsub Srl, la ditta incaricata del recupero di Abissi di Bisson dai fondali.

L’INTERVENTO DELLA LEGA NORD
«La vicenda – spiega il leghista Viviani a Rpl Radio Padania Libera – ci è stata segnalata da Coldiretti. La domanda potrebbe essere la seguente: “Un imprenditore può prendere una ‘bottiglia X’ di vino e immergerla nel mare, dove gli pare, secondo il diritto d’impresa?”. La risposta è “Ni”. Su quelle bottiglie di Champagne c’è il simbolo dell’Area marina protetta di Portofino, con tanto di scritta “Portofino”: un richiamo geografico molto esplicito a un territorio tutelato dall’omonima Doc».

Una presa di posizione, quella della Lega Nord, che non nasconde rilievi nazionalistici. «È giusto promuovere in un’area marina protetta italiana dei prodotti che vengono da un’altra parte, dai cugini francesi – chiede Viviani – quando abbiamo il nostro vino che viene fatto con costi altissimi? Parliamo di terrazzamenti, di fatica immane. Parliamo di persone che meriterebbero uno stipendio dallo Stato oltre alla tutela da parte delle istituzioni».

Puoi valorizzare lo Champagne immergendolo a Montecarlo o a Marsiglia: richiamare Portofino per vendere Champagne mi sembra inopportuno. Proviamo a fare l’inverso? “Ciaone”».

Sulla vicenda interviene anche Marco Rezzano, presidente dell’Enoteca regionale della Liguria: «Si tratta di un imprenditore ligure che, avendo trovato un accordo abbastanza singolare con l’Area protetta, riesce a proporre questo Champagne sul mercato con varie tempistiche di affinamento. Se il Mipaaf verificherà che esiste infrazione di quanto prevede il disciplinare dei vini nel comprensorio di Portofino, bisognerà quantomeno togliere la dicitura dalla bottiglia».

LA REPLICA
Dal canto suo, la società Jamin difende la propria “italianità” e precisa la natura del progetto attraverso un comunicato stampa: «Siamo un’azienda 100% italiana, iscritta al registro delle imprese italiane nella sezione speciale delle Start up innovative a carattere scientifico».

La società ha per oggetto lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico nel settore alimentare e più specificamente lo studio e lo sviluppo di tecniche di cantinamento subacqueo per prodotti vinosi e alimentari in genere».

Quanto alla scritta “Portofino” sulle etichette dello Champagne Jamin -52 Underwater Cloe Marie Kottakis Menocinquantadue, «rispetta i termini di legge nella retro-etichetta, come da accordo di promozione in essere, in cui viene riportato il Disegno/Logo della Area Marina Protetta per la collaborazione allo studio».

SEI ANNI DI BATTAGLIE
La querelle, in realtà, affonda le radici nel 2016, anno in cui Jamin ha presentato la richiesta di immersione delle proprie gabbie contenenti lo Champagne nel mare di Portofino. L’anno precedente, Pierluigi Lugano aveva depositato il brevetto di Abissi, con la tecnica di immersione e affinamento dello spumante nei fondali liguri.

Una procedura perfezionata nel lontano 2008, consacrata dal pagamento del canone di occupazione del fondale di Portofino. Un business cresciuto a dismisura, così come il prezzo medio di Abissi, passato dai 30 euro delle prime 6.500 bottiglie agli attuali 50 euro per il millesimo 2016.

Le bottiglie prodotte da Bisson sono oggi circa 30 mila, ma la nuova cantina inaugurata da Lugano a Sestri Levante il 30 marzo 2019 è in grado di ospitarne almeno il triplo, assieme al resto della produzione.

Dal canto suo, Jamin Srl ha proceduto a luci spente sino all’ottenimento di tutte le autorizzazioni necessarie per l’inabissamento delle gabbie nella Baia del Silenzio, prima di avviare una campagna di promozione dei propri prodotti su social, testate e blog di settore, tuttora in corso. L’ultima parola sulla bontà del progetto spetta al Mipaaf.

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Birra Peroni: investimento da 1,6 mln di euro per lo stabilimento di Bari

Birra Peroni investe su Bari. Questo mese entreranno in funzione presso lo storico stabilimento di via Bitritto tre nuovi serbatoi di fermentazione da 4.500 ettolitri l’uno. L’investimento, pari a 1.6 milioni di euro, conferma il legame con il territorio dell’azienda, che qui ha investito negli ultimi 10 anni oltre 26 milioni di euro.

«L’arrivo di questi tre nuovi fermentatori – spiega Michele Cason, Direttore dello stabilimento Birra Peroni di Bari – ci consentirà di mantenere adeguati tempi di fermentazione e maturazione e garantire la qualità dei nostri prodotti, permettendoci di migliorare ulteriormente la nostra efficienza e sostenibilità produttiva».

«Con questo investimento – prosegue Cason – avviamo una nuova fase di sviluppo per l’azienda che vedrà in questo anno l’introduzione di nuovi brand con una strategia di differenziazione del portafoglio che risponde all’ambizione di affermarci nel segmento delle birre analcoliche per promuovere un consumo sempre più responsabile».

«Nel 2020 abbiamo prodotto circa 1,9 milioni di ettolitri – conclude Cason – con un costante miglioramento delle performance ambientali. Complessivamente, negli ultimi 10 anni, per ogni litro prodotto abbiamo ridotto del 27% l’impiego di acqua, del 48% il consumo di energia termica e del 22% il consumo di energia elettrica, consentendo allo stabilimento di Bari di raggiungere posizioni di eccellenza in termini di sostenibilità ambientale a livello mondiale».

IL VIAGGIO DEI SERBATOI DALLA GERMANIA A BARI

Il 10 febbraio i tre serbatoi, prodotti a Burgstädt (Germania), hanno iniziato il loro viaggio per l’Italia attraverso il fiume Reno, in gran parte ghiacciato a causa delle basse temperature del periodo. Dall’Europoort di Rotterdam, nei Paesi Bassi, sono stati caricati su una nave speciale che è arrivata al porto di Bari nella notte tra il 9 e il 10 marzo.

Tre convogli speciali hanno quindi portato i serbatoi allo stabilimento passando sul Ponte Adriatico. Lungo il percorso, per permettere il passaggio, si è dovuto procedere con lo smontaggio e il rimontaggio di alcune linee elettriche.

Ognuno dei tre fermentatori ha un diametro di circa 7 metri, una lunghezza di 19 metri, un peso di 29 tonnellate circa e può contenere 4.500 hl di birra finita, il corrispondente di 4 cotte.

LO STABILIMENTO DI BARI
Lo stabilimento di via Bitritto è parte integrante del tessuto economico della città e sviluppa un indotto di circa 60 milioni di euro all’anno sul territorio, assorbendo circa il 40% degli investimenti che l’azienda sostiene in Italia. Birra Peroni è presente in Puglia anche attraverso la filiera agricola con circa 7 mila ettari coltivati a orzo distico.

Il primo sito produttivo di Birra Peroni a Bari risale al 1924 mentre l’attuale stabilimento, che si sviluppa su 185.500 mq e ha una capacità produttiva media annua pari a 2,5 mln di ettolitri, è operativo per l’intero ciclo produttivo dal luglio 1963.

I brand prodotti a Bari, nelle 3 linee produttive dedicate a bottiglie e bottiglie vuoto a rendere, sono: Peroni, Peroni senza glutine, Nastro Azzurro, Nastro Azzurro Zero, Tourtel, Raffo e Wührer.

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Unionbirrai, stoccata alla Grande distribuzione: «Noi come Davide e Golia»

Secondo i dati presentati da Iri nel report “Birra nel 2020: un anno difficile ma con ottimi risultati” l’anno scorso le vendite di Birra in Italia hanno superato per la prima volta gli 11 milioni di ettolitri ed i 2 miliardi di euro di fatturato con un +10,7% in valore, nettamente superiore al +3,0% registrato nel 2019, grazie alle vendite nella Grande distribuzione. Cifre che Unionbirrai contestualizza, attraverso il presidente Vittorio Ferraris.

La crescita del 9,0% in volume trova spiegazione nell’aumento del consumo domestico legato ai periodi di lockdown e alla chiusura dell’Horeca. Trend positivo, quindi, per i canali della Gdo, in particolare per i Discount (+15,7%), a scapito del consumo fuori casa, come confermano i dati dei Grossisti di Bevande che registrano sulla Birra un -35,4% in volume e un -35,8% di ricavi.

Situazione più tranquilla per i Cash&Carry dove nel 2020 la Birra rimane stabile in volume (-0,1%) ma perde il 2,3% in fatturato a fronte del calo del prezzo medio dovuto al differente mix: cresce la fascia Mainstream a discapito delle marche Premium e aumenta la quota del vetro nel formato da 66 cl e cala quella del formato da 33 cl.

Le Birre Standard restano le preferite dai consumatori (42,3% in volume) mentre le Special Beer (le Birre Speciali) segnano il più alto tasso di crescita rispetto al 2019, con un +18,9% in volume e +19,6% in valore. Importante balzo in avanti anche per il segmento delle Analcoliche e Light che cresce dell’11% in volume.

IL PUNTO DI VISTA DI UNIONBIRRAI
Ciò che non emerge dall’analisi condotta da Iri è come la riduzione dei consumi fuori casa abbia portato con sé anche uno spostamento verso le birre industriali, a discapito delle produzioni artigianali.

A farlo notare è per l’appunto Vittorio Ferraris, presidente di Unionbirrai, l’associazione di categoria dei produttori di birra artigianale, in una lettera aperta al Sole 24 ore pubblicata anche sui social.

Il numero uno dell’associazione sottolinea come i dati descrivano «una realtà del prodotto birra in Italia ai tempi del Covid-19 molto parziale e principalmente incentrata su produzioni di tipo industriale».

«Il nostro è un prodotto “vivo” – prosegue Ferraris – che richiede attenzione e cura lungo tutta la catena distributiva. Per queste ragioni il nostro mercato è quasi totalmente costituito dal canale Horeca e ovviamente la prolungata chiusura di pub, bar e ristoranti ha tolto moltissimi sbocchi commerciali alle nostre attività. Una vera beffa: ufficialmente autorizzati ad operare, praticamente fermi per mancanza di clientela».

«I produttori di birra artigianale – conclude il Presidente – sono un esercito di Davide contrapposti a pochi enormi Golia. Sicuramente i numeri delle multinazionali definiscono il trend del comparto. Ma dentro a quei numeri si nascondono centinaia di piccole imprese italiane nel cuore, nel capitale e nel personale».

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Il business della finte uova di Pasqua artigianali, comprate al discount (VIDEO)

Compravano uova di Pasqua nei discount e le rivendevano su Facebook, spacciandole per uova artigianali di cioccolato. Due le persone indagate nell’ambito di un’operazione di contrasto alla contraffazione alimentare e alle frodi commerciali del Nas Carabinieri di Pescara.

In seguito a una perquisizione compiuta a casa della coppia di pescaresi, i militari hanno scoperto un vero e proprio laboratorio clandestino per il riconfezionamento delle uova di Pasqua.

Sotto sequestro, su disposizione della Procura della Repubblica di Pescara, anche gadget e materiale di confezionamento e imballaggio, oltre alla documentazione amministrativa e bancaria.

Le indagini hanno dimostrato che i due indagati rivendevano i dolci acquistati a basso prezzo nei discount a un prezzo quadruplicato, spacciandoli per artigianali.

Dalla ricostruzione dei movimenti bancari, gli inquirenti hanno appurato che solo negli ultimi 15 giorni erano riusciti a vendere oltre 300 uova pasquali, per un valore di circa 8 mila euro. Il tutto grazie a Facebook e altri canali social su cui la coppia pubblicizzava i dolci contraffatti.

Allo scopo di attrarre i possibili acquirenti venivano utilizzati gadget e involucri riproducenti famosi personaggi di una notissima serie cinematografica per ragazzi.

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Esteri - News & Wine news news ed eventi

Il successo (meritato) dei vini del Carnuntum, la più piccola zona vinicola dell’Austria

Vienna a ovest, Bratislava a est. Le Alpi da una parte, i Carpazi dall’altra, lungo la linea meridionale disegnata dal Danubio. La geopolitica attuale del Carnuntum fa ben comprendere come mai i Romani, tra il I e IV secolo d.C., stabilirono proprio qui, in Austria, uno dei loro centri militari e commerciali più importanti, con oltre 50 mila persone tra soldati e civili. Un’enormità, per l’epoca.

Mentre la presenza di due tra le capitali più vicine d’Europa – 68 Km, appena un’ora d’auto – continua a esercitare un valore rilevante, se non altro dal punto di vista del turismo – specie quello “lento”, che si muove in bicicletta – il Carnuntum si fa sempre più largo nella geografia del vino europeo e internazionale.

Lo fa non solo con la chiarezza (estrema) di un sistema di qualità piramidale, ma anche (e soprattutto) con vini identitari, capaci di penetrare i mercati e valorizzare specificità e cru (Ried) dei 906 ettari vitati complessivi (2.43 milioni di bottiglie l’anno, 86 mila delle quali top di gamma) che ne fanno la più piccola zona vinicola dell’Austria.

Vigne come Göttlesbrunn, Arbesthal, Höflein, Petronell e Prellenkirchen costituiscono la punta di diamante della DacDistrictus Austriae Controllatus, il corrispettivo della Doc italiana – istituita solo nel 2019 in 6 Comuni compresi tra i distretti di Bruck an der Leitha e Schwechat. Una Denominazione giovane, insomma. Ma con le idee chiarissime.

Chiara è la suddivisione del Carnuntum in tre subregioni: Leithagebirge, Arbesthaler Hügelland e Hainburger Berge, identificate principalmente sulla base della composizione del suolo. Si va da quelli pesanti, con prevalenza di argilla e presenza di loess, a quelli più leggeri, ghiaiosi, sabbiosi e calcarei.

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Le varietà consentite, in pieno accordo con il marketing “origin-based” studiato dai piani alti dell’Austrian Wine Marketing Board (Awmb), sono quelle tradizionali della zona. Per i bianchi Chardonnay, Weissburgunder (Pinot Bianco) e Grüner Veltliner. Per i rossi Zweigelt e Blaufränkisch.

Uve in purezza (100%) per i vini monovarietali della Carnuntum Dac, mentre gli “uvaggi” possono contare fino a un massimo di un terzo delle varietà da Qualitätswein consentite in Austria, come Sauvignon Blanc, Cabernet Sauvignon o Merlot.

Ma ciò che rende unica questa piccola regione vinicola austriaca è il Rubin Carnuntum, tipologia presente ben prima dell’istituzione ufficiale della Dac. Si tratta di un rosso prodotto con sole uve Zweigelt da 48 delle 131 cantine locali. Per imbottigliarlo come tale occorre il parere positivo di almeno l’80% dei produttori, che si riuniscono ogni anno a tale scopo, prima dell’immissione in commercio.

Un vino giovane, fresco, di facile beva, che conserva la grinta tipica del vitigno, nonostante maturazione e caratteristiche pedoclimatiche regalino tannini piuttosto setosi. Segni particolari del Rubin? È esattamente la tipologia di rosso “agile” che cerca il mercato al giorno d’oggi. L’apripista per i vini top di gamma.

Un successo parso chiaro anche alla prova del calice di “Explore Carnatum“, l’evento digitale andato in scena dal 22 al 26 marzo 2021, utile a mettere in contatto i vigneron della zona con i buyer e la stampa internazionale.

Ben 2.154 i vini spediti in bottiglie “mignon” in 21 Paesi del mondo, tra cui l’Italia rappresentata da WineMag.it. Un evento utile a sopperire alla cancellazione di appuntamenti cruciali per il vino austriaco, come la ProWein di Düsseldorf e il VieVinum di Vienna, considerabile il “Vinitaly austriaco”.

Nell’arco del primo anno dall’istituzione della Dac Carnuntum – spiega il presidente Robert Payr – siamo stati in grado di esportare il 23% dei vini, il che dimostra la bontà dell’implementazione del sistema di origine. La tendenza, peraltro, è chiaramente in aumento».

Anche se, tra gioventù e pandemia, è presto per tirare le somme, i mercati più importanti per il Carnuntum si sono rivelati Germania, Svizzera, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Danimarca. Altri, tra cui Russia, Regno Unito, Polonia, Repubblica Ceca, Finlandia e Svezia, sono stati approcciati grazie all’evento digitale di marzo.

I vini del Carnuntum – continua Payr – sono tipicamente venduti nei ristoranti austriaci, quindi la pandemia ha enormi conseguenze su noi produttori. Tuttavia, già a maggio 2020 sono state avviate degustazioni ed eventi online per i consumatori, aprendo un nuovo canale di comunicazione e distribuzione».

«La nostra regione vinicola, sia con gli eventi online per i consumatori, sia con la fiera online “Explore Carnuntum” – conclude il presidente del locale Consorzio – ha mostrato un forte senso di comunità e cooperazione che si spera aiutino l’immagine complessiva e la distribuzione dei vini, anche in tempi migliori».

EXPLORE CARNUNTUM, LA DEGUSTAZIONE

LE CANTINE

  • WEINGUT ARTNER
  • WEINGUT GOTTSCHULY-GRASSL
  • WEINGUT PAYR

I VINI DI WEINGUT ARTNER

Carnuntum Dac Ried Kirchberg Höflein Grüner Veltliner 2019: 85/100
Frutta esotica, limone, tocco di pepe e cardamomo. Bianco dal corpo medio, bella pienezza del frutto e freschezza, prima dell’allungo salino. Vino che abbina larghezza a verticalità. Buona prospettiva di evoluzione.

Carnuntum Dac Rubin Carnuntum Zweigelt 2019: 87/100
Bel colore, viola luminoso. Bel frutto di bosco e tensione al palato. Un vino essenziale, a cui non manca nulla, facile da abbinare alla cucina, a tutto pasto. Tannino fitto, ma fine. Tocco di legno in chiusura, affumicato, caffè, caramella mou, che andrà certamente a integrarsi meglio col frutto, nei prossimi mesi.

Carnuntum Dac Höflein rot Cuvée Barrique 2018: 88/100
Bel colore profondo, dall’unghia luminosa. Vino che, al naso, lascia grande spazio alle note fruttate, come ciliegia e prugna, mature ma composte, così come a ricordi fumé. Al palato una perfetta corrispondenza e a un tannino addomesticato, elegante. Grande gastronomicità, per un nettare pieno e corposo, che non stanca.

Carnuntum Dac Ried Steinäcker 1ÖTW Höflein (single vineyard) 2018: 89/100
Zweigelt in purezza su suoli ricchi di loess. Tanto fiore nel calice, violetta e frutto finissimo, tra il bosco e la ciliegia selvatica. Pregevoli note affumicate, conferite dall’affinamento in legno, per nulla invasivo. Al palato una gran bella freschezza, oltre alla riconferma (attesissima) della precisione del frutto. Un altro vino perfetto per la cucina, in crescendo di elaborazione del piatto, rispetto ai precedenti.

Carnuntum Dac Ried Kirchweingarten 1ÖTW Höflein 2018: 92/100
Il vino della vigna posta vicino alla chiesa del paese, come suggerisce il nome: Blaufränkisch in purezza. Il frutto appare più maturo rispetto agli altri vini di Artner in degustazione, ma conserva compostezza e precisione. Maggiore anche l’apporto dei terziari in un nettare che abbina concentrazione e succosità a essenziali note “pietrose”, minerali, e che si chiude su un bell’allungo secco. Pregevole l’evoluzione nel calice, con l’ossigenazione che lascia spazio a liquirizia e note di erbe mediterranee.

Carnuntum Dac Ried Aubühl 1ÖTW Höflein 2018: 94/100
Vino piuttosto nuovo per la cantina, la 2017 è stata la prima vendemmia del cru. Primo naso su un letto di frutta di bosco di gran precisione e croccantezza, da cui emergono chiari lampone e fragolina di bosco. Il frutto più succoso della batteria, abbinato alla più compatta versione dei tannini, pur eleganti. Vino esemplare, di gran prospettiva.


I VINI DI WEINGUT GOTTSCHULY-GRASSL

Carnuntum Dac Chardonnay 2019: 86/100

Chardonnay molto profumato. Tanto esotico e tanto citrico, agrume. Al palato buon ritorno delle note esotiche tropicali, molto precise. Buon vino, molto ben fatto, piacevole, beverino. Chiude anche su un leggero verde, da buccia di lime. 12.5%.

Göttlesbrunn Carnuntum Dac Chardonnay Weißburgunder 2019: 85/100
Esposizione Sud-Sud Est, molta clay e sabbia e parzialmente loess. Foresta alle spalle del villaggio Gottlesbrunn. Qui si ottengono juicy wines. Marriage beetween Pinot Blanc e Chardonnay. Pinot Blanc 6 mesi su fine lees in steal e small oak. On skin anche lo Chardo. Fermetazione spontanea. Vino più in punta di piedi, erbe e yellow fruit. Vendemmia non calda come le altre. Bella tensione di fatto, vino che si regge sull’equilibrio tra freschezza e un frutto non esplosivo. Alcol molto integrato.

Rubin Carnuntum Dac Zweigelt 2019: 88/100
Al naso molta spezia e un’impronta mediterranea, oltre al consueto frutto. Terziari piacevoli, attorno al cioccolato e al caffè. Al palato buona corrispondenza e un’estrema succosità e precisione delle note fruttate. Vino dalla beva instancabile, tannini presenti ma soffici a supportare l’anima juicy.

Lower Austria Merlot 2017 “Rotundo”: 87/100
Si cambia vendemmia e uva, passando a un Merlot 100%, perfettamente acclimatato da queste parti. Bel colore e naso che si muove sinuoso, come suggerisce il nome, su note morbide di frutta matura. Così il palato, che chiude su frutto e ritorni di spezia e terziari dolci, piuttosto preponderanti.

Lower Austria 2017 Cuvée G3: 92/100
Zweigelt, Merlot, Syrah si dividono equamente l’uvaggio. Bel colore rubino, mediamente trasparente. Al naso combinazione assoluta tra le note tipiche dei vitigni. Lo Zweigelt con la ciliegia, il Merlot con la prugna e il Syrah con le spezie. Un vino che abbina carattere e agilità di beva assoluta, grazie anche ad eleganti tannini.

Carnuntum Zweigelt 2018 Ried Aubühl 1ÖTW Höflein: 93/100
Il single vineyard di Gottschuly-Grassl si presenta nel calice di un rubino brillante. Vino connotato da ricordi di ciliegia, tabacco e un tocco di spezia nera. Tannini fini e salinità conferiscono al nettare una bella coperta su cui stendere il frutto più succoso della batteria. Terziari, verde e spezie in chiusura: cioccolato, radice di liquirizia, tocco di rabarbaro. Gran prospettiva in divenire.


I VINI DI WEINGUT PAYR

Carnuntum Dac 2020 Grüner Veltliner Löss Bio: 88/100

Vino non certo giocato sull’esplosività del frutto, bensì sull’eleganza, tocco leggero anche di pepe bianco. Agrumi in grande spolvero, vino che affetta come una lama il palato, godibilissimo, supportato da freschezza e salinità.

Carnuntum Dac 2020 Chardonnay Lehm Bio: 85/100
Super frutto, vino piuttosto “grasso” ma fresco. Al naso bei richiami agrumati che si ritrovano anche in chiusura. Ananas, tropicale, in centro e al sipario. Chiusura asciutta, nonostante grassezza.

Lower Austria Sauvignon Blanc Selection Bio: 89/100
Sorprendente risultato per questo Sauvignon in purezza che non gode della denominazione locale, ma è prodotto con uve raccolte interamente in zona. Molto mature le note esotiche a polpa gialla, ben abbinate a freschi richiami di agrumi. Ottima corrispondenza naso bocca, che abbina larghezza e verticalità in maniera esemplare. Ottima anche la persistenza. Vino molto diverso dai Sauvignon tesi e “duri” della Stiria austriaca, ma comunque ben rappresentativo.

Rubin Carnuntum Dac Selection Zweigelt 2019: 89/100
Splendido frutto anche qui, ma vino molto teso. Tannino accompagna il sorso, senza fare il protagonista, anzi, ben avvezzo nella parte del contraltare al succo (ciliegia), da buona spalla teatrale. Alcol (13.5%) perfettamente integrato. Freschezza molto netta, tanto quanto la vena juicy. L’affinamento in legno a conferire un po’ più di complessità, anche al palato.

Carnuntum Dac 2017 Ried Steinäcker 1 ÖTW Zweigelt Höflein: 94/100
Single vineyard. Molta pienezza del frutto e una tostatura del legno più accentuata rispetto al precedente. La stessa ciliegia, ma ancor più concentrata e piena. Il tannino è meno maturo, ma comunque elegante e di assoluta prospettiva: la posizione del vigneto parla chiaro, più al fresco rispetto ad altri nella zona. Vino caratterizzato da una bevibilità estrema, con chiusura freschissima e vena salina a chiamare, irresistibilmente, il sorso successivo.

Carnuntum Dac 2017 Ried Spitzerbeg 1 ÖTW Blaufränkisch Prellenkirchen: 95/100
Vino manifesto della denominazione, l’ennesimo caratterizzato da un naso precissimo (oltre al frutto, fiori di viola e spezia) una beva agilissima, tutto frutto croccante, succoso e freschezza. Un’etichetta di assoluta prospettiva, che racconta – oltre al territorio – la grande stima di Robert Payr per i produttori piemontesi di Nebbiolo e Barolo.

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Cervim: il Mondial des vins Extrêmes 2021 apre ai distillati

L’edizione 2021 del Mondial des vins Extrêmes sarà anche “Extreme Spirits International Contest“. Per la prima volta l’unica manifestazione enologica mondiale interamente dedicata ai vini prodotti in zone caratterizzate da viticolture eroiche apre anche ai distillati nella sua 29° edizione.

«Quest’anno il concorso apre ai distillati – sottolinea il presidente Cervim, Stefano Celi – provenienti da tutto il mondo: produzioni tradizionali nelle zone della viticoltura eroica, basti pensare alle montagne, un settore molto legato alla viticoltura. Il concorso riservato ai distillati eroici è unico nel suo genere e le produzioni presentate saranno giudicate da un’apposita commissione».

Per quanto riguarda la prima edizione di “Extreme Spirits International Contest” le categorie saranno: Grappe e Acquaviti di vinaccia giovani; Grappe e Acquaviti di vinaccia aromatiche giovani (provenienti da vitigni aromatici); Grappe e Acquaviti di vinaccia invecchiate (con permanenza in legno per almeno 12 mesi); Grappe e Acquaviti di vinaccia riserva o stravecchia (con permanenza in legno per almeno 18 mesi); Acquaviti d’uva; Distillati di vino (Brandy, Cognac, Aguardiente, ecc.).

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Amarone della Valpolicella in brik: il “pesce d’aprile” di Allegrini

FOTONOTIZIA – «Un nuovo incredibile packaging per il nostro Amarone! Così incredibile che fai bene a non crederci. Buon pesce d’aprile!». Allegrini esorcizza il 1 aprile sui propri canali social, scatenando l’ilarità dei follower con l’immagine di un finto Amarone della Valpolicella in brik da un litro.

Qualcosa, per l’appunto, di “Unbelivable!”. Decine i commenti e le reazioni al post, tra cui spicca la proposta del nome da dare al nuovo fantomatico vino: «Allegrello». Prosit!

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Vino Nobile di Montepulciano menzione Pieve: via libera a modifiche disciplinare

La nomenclatura definitiva che caratterizzerà l’etichetta, dal 2024, sarà “Pieve nome della pieve Vino Nobile di Montepulciano Docg Toscana“. Parte dal presupposto che «il futuro del Vino Nobile di Montepulciano sta nella sua storia» il percorso di «riappropriazione delle origini della viticoltura» a cui ha dato avvio il Consorzio, che darà vita alla nuova tipologia con la menzione della “Pieve”. Un esempio? Pieve Cervognano.

L’avvio alla procedura di modifica del disciplinare ha un significato ancora più profondo nel borgo della prima Docg d’Italia, proprio perché arriva negli anni difficili della pandemia Covid-19. Giunge, peraltro, dopo l’autorizzazione all’aggiunta della parola “Toscana” in etichetta.

Le cantine socie del Consorzio si sono riunite più volte «per dare vita ad un vero e proprio confronto guardando al domani», approvando all’unanimità il provvedimento nel corso dell’assemblea del 31 marzo 2021.

Le 12 “Pievi”, dunque, per caratterizzare anche la territorialità del vino attraverso le sue “UGA”, ovvero Unità geografiche aggiuntive, che saranno anteposte con la menzione “Pieve” in etichetta.

La scelta di utilizzare i toponimi territoriali riferibili a quelli delle antiche Pievi in cui era suddiviso il territorio già dall’epoca tardo romana e longobarda, nasce da un approfondimento di tipo storico, paesaggistico e produttivo vitivinicolo.

In particolare, la volontà del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano è quella di ribadire e codificare una realtà fisica con antica radice storica, che ha caratterizzato il territorio poliziano fino all’epoca moderna e che trova la sua eco anche nel catasto Leopoldino dei primi decenni del XIX secolo, che suddivideva il territorio in sottozone definite con il toponimo.

«Un risultato importante che è partito da una analisi critica della nostra denominazione fatta insieme a tutti i veri protagonisti, i produttori stessi – commenta Andrea Rossi, presidente del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano – ed il risultato a cui siamo arrivati è l’introduzione di una terza tipologia di Vino Nobile di Montepulciano che metterà insieme nella stessa bottiglia passato, presente e futuro del nostro vino».

IL PROGETTO DI VALORIZZAZIONE DELLE “PIEVI”
L’idea di far nascere il Vino Nobile di Montepulciano menzione “Pieve” accanto al Vino Nobile di Montepulciano e al Vino Nobile di Montepulciano Riserva, come spiega l’ente della Toscana, «nasce da un percorso di studio all’interno della denominazione stessa che, grazie a momenti di incontro, confronto e di analisi collettiva, ha portato alla nascita di una “visione” univoca di Vino Nobile di Montepulciano».

Un progetto supportato anche da basi scientifiche. «Da una parte abbiamo dato vita ad una ricerca dal punto di vista geologico e pedologico – spiega il Consorzio di tutela – tema che il Consorzio ha a cuore dagli anni ’90. Dall’altra, l’approfondimento è stato fatto anche nelle biblioteche e archivi storici, fino ad arrivare al Catasto Leopoldino del 1800». Il Vino Nobile di Montepulciano è infatti il primo in Italia a “zonare” il territorio di produzione e riportarlo in una mappa realizzata da Enogea.

“Vino Nobile di Montepulciano – Pieve” sarà caratterizzato non solo nel nome – sarà infatti riportato il nome del territorio di produzione – ma anche nelle sue caratteristiche che daranno vita «a un vino capace di legare il passato dell’enologia locale con il presente e il futuro, guardando al consumo internazionale».

Un vino – spiega ancora l’ente della Toscana – che avrà come caratteristiche il territorio (appunto con le sottozone, Unità geografiche aggiuntive), l’uvaggio che sarà legato al Sangiovese e ai soli vitigni autoctoni complementari ammessi dal disciplinare con uve esclusivamente prodotte dall’azienda imbottigliatrice».

Verrà inoltre istituita una commissione interna al Consorzio composta da enologi e tecnici che avrà il compito di valutare, prima dei passaggi previsti dalla normativa, che le caratteristiche corrispondano al disciplinare stesso.

Con l’approvazione unanime del disciplinare da parte dell’assemblea, ora l’iter porterà la richiesta alla Regione Toscana. Una volta approvato il testo lo invierà al Mipaaf per passare i controlli della commissione preposta.

Vista la possibilità di rendere retroattivo alla vendemmia 2020 il disciplinare, considerati i tempi di affinamento che sono di 36 mesi, la messa in commercio della prima annata dovrebbe essere il 2024.

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Approfondimenti

Pubblicato il Report dell’attività operativa dell’Icqrf

Oltre 70 mila controlli, 1.142 interventi fuori dei confini nazionali riguardanti in particolare le attività di controllo per l’e-commerce sul web a tutela delle Indicazioni Geografiche, 22 milioni di kg di merce sequestrata, per un valore di oltre 21 milioni di euro.

È on line sul sito del Mipaaf il Report 2020 dell’attività operativa dell‘Ispettorato Centrale Repressione Frodi (Icqrf) con i dettagli sugli interventi contro frodi, fenomeni di italian sounding e contraffazioni ai danni del made in Italy agroalimentare e dei consumatori, e nel contrasto alla criminalità agroalimentare.

Su 37.508 operatori ispezionati e 77.080 prodotti controllati, le irregolarità hanno riguardato l’11% dei prodotti e il 7,4% dei campioni analizzati. Dati che confermano come la qualità dei nostri prodotti sia salvaguardata da un efficace sistema di controlli.

“Il Report dell’Icqrf – dice il Ministro delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli – dimostra che nonostante le difficoltà dovute alla crisi pandemica in atto, l’Ispettorato è riuscito nel 2020 ad assicurare un numero di controlli in evoluzione positiva rispetto agli anni precedenti, mettendo in evidenza la qualità e la garanzia dei nostri prodotti agroalimentari nel mercato nazionale e sulle piazze internazionali”.

“La difesa delle produzioni agroalimentari, la tutela della qualità e della salubrità degli alimenti, il contrasto alle pratiche sleali, l’intenso lavoro di vigilanza sulle attività di controllo delle produzioni a indicazione geografica, le attività analitiche dei laboratori a tutela della qualità, sono elementi centrali nelle attività svolte – ha conclude il Ministro – e confermano la qualità del sistema dei controlli italiano e il posizionamento dell’Icqrf tra le principali Autorità antifrode nel food a livello mondiale“.

I controlli hanno riguardato per oltre il 90% i prodotti alimentari e per circa il 10% i mezzi tecnici per l’agricoltura (mangimi, fertilizzanti, sementi, prodotti fitosanitari). 159 le notizie di reato e 4.119 le contestazioni amministrative a cui si aggiungono 4.762 diffide emesse nei confronti degli operatori.

Inoltre, in quanto Autorità sanzionatoria per numerose violazioni nell’agroalimentare anche contestate da altre Autorità di controllo, l’Icqrf ha emesso 1.899 ordinanze di ingiunzioni di pagamento, per un importo di circa 17 milioni di euro.

A livello internazionale e sul web, in qualità di Autorità ex officio per i prodotti Dop/Igp e Organismo di contatto in sede UE per l’Italia nel settore vitivinicolo, l’Ispettorato ha attivato nel 2020 1.142 interventi, 1.079 in particolare grazie alla continua collaborazione con i web marketplace Alibaba, Amazon, Ebay e Rakuten che, con il 99% di successi, hanno consentito di garantire alle nostre denominazioni d’origine la stessa protezione contro la contraffazione prevista per i marchi privati.

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Terre d’Oltrepò e il presunto vino adulterato: «Contaminati da prodotto conto terzi»

È affidato a un comunicato stampa ancora una volta senza virgolettati, nonché privo di nomi e cognomi, il commento della cantina Terre d’Oltrepò alla bufera mediatica seguita all’ispezione delle forze dell’ordine e dell’Icqrf, compiuta ieri mattina nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria del giugno 2020, su un presunto vino adulterato.

In sintesi, la difesa si muove su due fronti: il vino oggetto delle indagini sarebbe stato contaminato da un prodotto lavorato in conto terzi all’interno dello stabilimento; la cooperativa invita poi ad evitare una «caccia alle streghe» che danneggia l’immagine dell’intero territorio dell’Oltrepò pavese.

La cantina guidata dal presidente Andrea Giorgi (nella foto, sopra) «manifesta la propria sorpresa e non nasconde amarezza per quanto accaduto ieri». «In palese violazione dei principi di segretezza dell’indagine e in ironica concomitanza con l’approvazione in Parlamento del recepimento della direttiva Europea sulla presunzione di innocenza leggiamo sulla stampa un processo già scritto e deciso», recita il comunicato.

Poi l’autodifesa, sempre generica e senza attribuzione alcuna del virgolettato: «La Cantina non usa prodotti vietati dalla legge nella vinificazione. La Cantina adotta protocolli estremamente rigidi ed esegue migliaia di analisi all’anno, in più laboratori. La Cantina esegue numerose lavorazioni conto terzi».

Nella nota, Terre d’Oltrepò ricostruisce i fatti che hanno portato alle blitz di ieri, 30 aprile 2021. «Nel giugno 2020 un soggetto della Gdo (Grande distribuzione organizzata, ovvero il mondo dei supermercati, ndr) ha comunicato alla cantina che un prodotto non era conforme in quanto dalle analisi emergeva la presenza (0,14 g/l), con un valore poco superiore al limite di legge (0,1 g/l), di una sostanza vietata nella vinificazione, la diglicerina ciclica (comunque innocua per la salute)».

Blitz a Terre d’Oltrepò per presunto vino adulterato. Giorgi: «Chiariremo tutto»

La cooperativa dell’Oltrepò pavese precisa che «la cantina non acquista e non utilizza in alcun modo questo prodotto». «L’ipotesi più probabile è quella della contaminazione di un prodotto lavorato conto terzi che potrebbe essere residuato in un macchinario e quindi in qualche bottiglia».

Prosegue poi la nota di Terre d’Oltrepò: «La Cantina pigia circa 500.000 quintali di uva l’anno che corrispondono a circa 35 milioni di bottiglie. Il problema sarebbe riferito a qualche centinaio di bottiglie pari allo 0,0001 della produzione».

La cantina di fatto ha attivato la propria procedura di crisi e ha eseguito sullo stesso lotto di bottiglie di cui alla contestazione delle analisi in due laboratori indipendenti (San Michele all’Adige e ISVEA) che hanno indicato valori al di sotto dei limiti di legge.

«La Cantina – si legge infine nel comunicato diramato dall’ufficio stampa di Terre d’Oltrepò – si è messa a disposizione dell’Autorità Giudiziaria per chiarire tutti gli aspetti della vicenda ma non può accettare supinamente che una sacrosanta attività investigativa si trasformi in una caccia alle streghe, causando incalcolabili danni al buon nome della Cantina, dei suoi soci e di un intero territorio».

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Esteri - News & Wine news news ed eventi

Vino francese, il Bureau ha deciso: «Basta traduzioni del termine Bourgogne»

«Stop alle traduzioni del termine Bourgogne, tante da rendere schizofrenici i consumatori». È l’ultima presa di posizione del Bureau Interprofessionnel des Vins de Bourgogne (Bivb) in difesa della lingua francese e dell’identità della regione vinicola, contro traduzioni come “Borgogna“, in italiano, “Burgundy” per gli anglofoni o “Burgund” nei Paesi germanofoni.

L’obiettivo è chiaro: «Per aiutare i consumatori a scoprirci occorre rendere finalmente le etichette dei nostri vini coerenti con il nome del vigneto in cui sono nati. È quindi essenziale mostrare un unico nome potente, sinonimo di eccellenza e rispetto delle origini: Bourgogne».

I vini della Borgogna godono di grande fama in tutto il mondo. Una bottiglia di vino su due viene finisce all’estero, in quasi 170 paesi. Tuttavia, secondo il locale Bureau, «più lontano vive il consumatore rispetto alla Francia, più fa fatica a capire il nostro sistema di denominazioni».

La presa di posizione riguarderò tutte le tipologie, ovvero circa 200 milioni di bottiglie di vino targato Borgogna, dal Borgogne al Crémant de Bourgogne, passando per Bourgogne Aligoté, Vin de Bourgogne, Grand vin de Bourgogne

«Abbiamo ritenuto necessario ripristinare il nostro nome originale, Bourgogne – spiega François Labet, presidente del Bivb – per affermare la nostra vera identità, nell’integrità del suo insieme. Direi che se le nostre appellations sono i nostri nomi, allora Bourgogne è il nostro cognome. Quello che ci unisce tutti, con i nostri valori comuni e tutte le diversità dei nostri vini. E un cognome non si traduce!».

Un appello già lanciato a livello internazionale ai rivenditori dei vini della Borgogna, tanto che «a poco a poco – riferisce il Bureau – le cose stanno cambiando e sta iniziando a comparire, sui media o su alcuni siti partner all’estero, la parola Bourgogne, in francese. anche nei testi di presentazione».

«I terroir che siamo chiamati a promuovere, spiegandone le identità in tutto il mondo –  commenta Julien Camus, presidente della Wine Scholar Guild – non sono solo ancorati in un luogo geografico, ma anche in una realtà culturale e storica di cui la lingua è una componente fondamentale».

«Tradurre il nome di una regione – continua – toglie parte della sua identità. Questo è il motivo per cui sarebbe opportuno nominare sempre le regioni vinicole nella lingua dei loro abitanti. In alcuni casi, è l’accento che contribuisce a renderli unici».

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Approfondimenti

Benvenuto Brunello Off chiude con oltre 650 presenze

Con circa 650 presenze complessive e 1500 bottiglie stappate si è chiuso ieri Benvenuto Brunello Off, il cartellone di tasting a numero chiuso realizzato dal Consorzio del vino Brunello di Montalcino nei quattro weekend di marzo, per presentare i nuovi millesimi agli addetti ai lavori.

«Benvenuto Brunello Off – dice il presidente del Consorzio, Fabrizio Bindocci – va in archivio come il primo evento del settore in presenza, dopo un anno di iniziative digitali. Un primato che ci inorgoglisce non solo perché da Montalcino è partito un forte segnale di ripartenza per tutto il Paese ma anche perché abbiamo avuto il coraggio di dimostrare che è possibile ritornare a progettare eventi di promozione per il mercato in totale sicurezza».

In degustazione nei calici riservati a stampa specializzata, guide, sommelier (di cui circa 50 in servizio in ristoranti stellati) e operatori professionali dell’horeca le referenze di Brunello 2016, Brunello Riserva 2015, Rosso di Montalcino 2019, Moscadello e Sant’Antimo di 140 aziende aderenti al progetto del Consorzio.

L’appuntamento con la 29° edizione di Benvenuto Brunello è fissato per il 16 e 17 maggio prossimo, nell’ambito delle Anteprime di Toscana.

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Blitz a Terre d’Oltrepò per presunto vino adulterato. Giorgi: «Chiariremo tutto»

Risponde con un tono tranquillo al cellulare Andrea Giorgi, presidente di Terre d’Oltrepò: «Mi sto confrontando con il legale, tra un paio d’ore arriva il nostro commento». Parole che chiariranno meglio, forse, i contorni dell’ennesima operazione contro del presunto vino adulterato in Oltrepò pavese.

Questa volta sono 6 gli indagati dalla Procura di Pavia, tra imprenditori e professionisti del settore vitivinicolo. Il blitz si è svolto nelle scorse ore nelle strutture di Terre d’Oltrepò a Broni, Stradella, Santa Maria della Versa e Casteggio, tutti comuni della provincia di Pavia dove opera la cooperativa guidata da Giorgi.

La perquisizione è avvenuta su disposizione di Paolo Mazza, sostituto procuratore di Pavia, che ha messo in moto un’imponente numero di militari: dai carabinieri del gruppo Forestale di Pavia a quelli della compagnia di Stradella, passando dall’elicottero del Secondo Nucleo Carabinieri di Orio al Serio (Bergamo) e per gli uomini dell’Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf) della Lombardia.

L’inchiesta scaturisce da un esposto presentato alla Procura da un’azienda del settore della grande distribuzione. Nel mirino, dunque, un vino destinato agli scaffali del supermercato.

In seguito ai risultati di analisi abitualmente eseguite a campione da Unione Italiana Vini su un lotto di bottiglie acquistate dall’insegna Gdo presso la società oltrepadana, è stata evidenziata la presenza di una sostanza adulterante, la “diglicerina ciclica“.

Come spiegano alcuni esperti, «la rilevazione di composti, non essendo presenti nella glicerina naturalmente prodotta durante la fermentazione alcolica, viene utilizzata come indice per la conferma di un’aggiunta illegale di glicerolo industriale nel vino». Il prodotto è stato quindi immediatamente ritirato dalla vendita.

L’indagine della Procura d Pavia è finalizzata «a ricercare eventuali quantitativi di vino del medesimo lotto analizzato nonché ad accertare l’eventuale presenza della citata sostanza adulterante mediante prelievi e campionamenti che saranno successivamente oggetto di accurate analisi di laboratorio».

AGGIORNAMENTO: IL COMMENTO DELLA CANTINA
«In merito alle operazioni delle forze dell’ordine in data odierna – recita la nota stampa della cantina – la cantina Terre d’Oltrepò evidenzia che la società è al centro dell’ennesimo accertamento che si sta svolgendo con grande dispiegamento di forze presso i siti di Broni, Casteggio e Santa Maria della Versa».

Per fare chiarezza si riferisce ad un fatto riscontrato lo scorso anno, non dipendente dalla cantina e dai soci e su cui la cantina stessa si era già attivata con i propri professionisti e tecnici, con l’ausilio di laboratori terzi, per garantire la necessaria trasparenza in merito.

La cantina spiega che «opera nel pieno del rispetto della legalità e non ha mai proceduto all’utilizzo di sostanze vietate nei propri vini». «Terre d’Oltrepò – si legge infine sulla nota della cantina – è certa di poter fornire ogni necessario chiarimento a tutela dell’immagine e del nome della cantina stessa, dei propri soci e dell’intero territorio».

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Produttori del Conero, strigliata alla stampa: «I nostri vini? Buoni come toscani, pugliesi e siciliani»

«Conero chiama stampa enogastronomica. Stampa enogastronomica ci sei? Rispondi». Potrebbe essere riassunto così il secondo incontro firmato Marche Tasting!, ciclo di appuntamenti voluto dall’Istituto marchigiano di tutela vini (Imt) con la stampa di settore per presentare “a distanza” i vini marchigiani, vista l’impossibilità di organizzare incontri sul territorio a causa della pandemia Covid-19.

L’evento digitale andato in scena ieri pomeriggio – dopo quello di lunedì 15 marzo sul Verdicchio dei Castelli di Jesi – si è presto trasformato in una sorta di remake dell’epico colloquio tra l’Apollo 13 e Houston, in cui l’astronauta Jack Swigert segnala alla base, senza mezzi termini: «We’ve had a problem here».

Il problema, secondo i 6 produttori collegati da Studio Marche, capeggiati dal direttore dell’Imt Alberto Mazzoni, è che la stampa (enogastronomica, s’intende) non darebbe abbastanza attenzione ai vini del Conero, prediligendo altri territori come Toscana, Puglia e Sicilia.

Un concetto espresso a chiare lettere dalla stoccata di Piervittorio Leopardi Dittajuti dell’Azienda Agricola Conte Leopardi di Numana (nella foto, sopra): «Gli operatori del settore sono convinti che nelle Marche si debba spendere poco, a prescindere da nome, qualità, quantità. Lo dico perché, soprattutto all’estero, i commenti sulla mia Riserva sono sempre i più positivi, anche quando viene messa accanto a bottiglie da 60, 70 euro, nell’ambito di degustazioni alla cieca. Poi si scoprono le etichette e mi sento sempre dire: “Ah, Conero Docg Riserva? Non avrei mai pensato che fosse così buono. Quanto costa?”. La risposta è la metà di un toscano o di un piemontese, inferiore di qualità».

Non lo dico perché amo darmi la zappa sui piedi e quindi svendo il mio vino, anzi. Dovrei tirare le orecchie a voi giornalisti: si parla sempre di vini toscani, di vini piemontesi, adesso di grandi vini della Puglia, della Sicilia, di questo e di quell’altro, ma purtroppo le Marche sono il fanalino di coda. Come se noi avessimo imparato ieri a fare vino, o fossimo produttori di vini poco seri o poco interessanti».

Secondo Piervittorio Leopardi Dittajuti la stampa dovrebbe «premiare il grande rapporto qualità prezzo dei vini del Conero»: «Piano, piano vedrete che anche il consumatore comincerà a seguire le vostre indicazioni e i marchigiani cominceranno ad avere una quotazione di mercato giusta, perché oggi sono purtroppo sottovalutati dal punto di vista di economico».

Piccola grande eccellenza regionale, la Doc Rosso Conero è stata la prima denominazione istituita nelle Marche, nel 1967. Risale invece al 2004 il riconoscimento del Conero Riserva Docg, piuttosto in sofferenza sul mercato.

Facciamo purtroppo fatica a vendere il Conero Docg Riserva – ha sottolineato Leopardi Dittajuti – e siamo costretti a puntare su grandi Rosso Conero Doc. Facendoli pagare meno, riusciamo a coprire una fascia di mercato che altri snobbano. Entriamo a spron battuto dove toscani o piemontesi dicono: “Quella fascia di mercato non ci interessa“, grazie a dei vini di grande qualità che cominciano a piacere a molti».

La verità, dall’assaggio dei 6 vini in degustazione, è che i Rosso Conero di Marchetti (“Castro di San Silvestro”), Umani Ronchi (“San Lorenzo”), Moroder, Fattoria le Terrazze e Conte Leopardi Dittajuti (“Fructus”) sono perfettamente posizionati sul mercato, in un range di prezzo indicativo che va dai 9 a 12 euro. A brillare, in ottica value for money, è il Rosso Conero Doc 2018 “Il Cacciatore di Sogni” de La Calcinara (10 euro).

L’azienda agricola di Ancona è tra le più storiche del territorio ed è oggi guidata da Eleonora e Paolo Berluti, fratello e sorella che hanno ricevuto in eredità la cantina dal papà Mario, uno degli artefici della storia della Denominazione marchigiana.

Cerchiamo di portare in bottiglia l’arenaria, il calcare e il gesso che caratterizza i terreni e dà il nome alla nostra azienda – ha spiegato Eleonora Berluti – e siamo convinti che la pianta debba dialogare con il suolo, per questo abbiamo voluto la certificazione biologica».

“Il Cacciatore di Sogni” è un Montepulciano 100% frutto dell’assemblaggio delle uve di diverse vigne di proprietà de La Calcinara. Quella vecchia, con suolo più argilloso rispetto alla media; Vigna della Luna, su arenaria; per finire, gli impianti più giovani, impiantati grazie alla selezione massale dalle piante storiche.

La fermentazione di 15 giorni sulle bucce e la prolungata sosta sulle fecce, oltre alla vinificazione per l’80% in acciaio e il 20% botte grande, regalano un vino dalla beva agile ma dal sorso teso ma pieno, sul frutto, sollecitato da tannini muscolosi ma in cravatta. Una piccola Riserva, insomma. L’identikit del vero vino qualità prezzo, in un territorio in cui spopola il vino sfuso e il Bag in Box da pochi euro.

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Nuovo traguardo per Casa Vinicola Sartori: status di Riserva per l’Amarone Corte Brà

Corte Bra, l’Amarone che nasce dalla “vigna giardino” di Villa Sartori, splendida dimora del Seicento sede fin dal 1898 della storica casa vinicola veronese, taglia un nuovo traguardo: raggiunge cioè lo status di Amarone della Valpolicella Docg Classico Riserva, con la vendemmia 2013 oggi sul mercato. Solo 12 mila le bottiglie prodotte.

«Una nuova tappa del nostro percorso volto alla costante ricerca della massima qualità – commenta il presidente Andrea Sartori – raggiunta con lo status di Riserva di uno dei nostri vini storici, il Corte Brà Amarone della Valpolicella Classico Docg».

Un vino, prodotto fin dagli anni ’80, che nasce e porta il nome del nostro primo vigneto, esposto a sud e racchiuso tra le mura della proprietà di villa Sartori che, dal 1898, ospita la sede aziendale a Verona». Spiega Andrea Sartori, Presidente di Casa Vinicola Sartori.

IL VIGNETO
Il podere Corte Brà, da cui prende il nome questo vino, si trova su una collina situata nel cuore della Valpolicella Classica, a Negrar (VR). È coltivato perlopiù a Pergola Veronese e gode di un’ottima esposizione a sud, oltre che di un terreno di composizione calcarea e argillosa.

Il Corte Brà è il risultato di un’annata degna di nota, grazie alle condizioni climatiche particolarmente favorevoli per le uve autoctone che danno vita alla nuova Riserva: 60% Corvina Veronese, 20% Corvinone e 15% Rondinella, completate da un 5% di Oseleta.

«Il Corte Brà Riserva 2013 – sottolinea Sartori – nasce da un’attenta selezione dei migliori grappoli messi a riposo nel fruttaio della villa e racchiude tutta la magia delle tradizionali tecniche enologiche che l’azienda ha saputo migliorare e affinare in oltre 120 anni di attività. Il tempo è il profondo valore di questo vino».

Un prolungato e delicato appassimento delle uve e un periodo di maturazione di sei anni in botti di piccole e medie dimensioni, danno vita a un vino dal bouquet ampio, fine e complesso con caratteristiche note di confettura di frutta rossa e spezie. Spiccano fragranze di ciliegia, frutta passita e tabacco».

LA DEGUSTAZIONE
All’assaggio, il Corte Brà abbina un’eccezionale potenza ad un’estrema eleganza. Di colore rosso intenso, che tenderà al granato con l’invecchiamento, si rivela sofisticato e persistente. Un vino da meditazione per antonomasia, in grado di accompagnare perfettamente ricette elaborate a base di carni saporite, selvaggina e formaggi stagionati.

L’emozione di Andrea Sartori per il nuovo “status” è evidente: «Ci piace pensare che in una bottiglia si possano ritrovare non soltanto la qualità e il territorio, ma anche la dedizione e l’amore investiti dalla nostra famiglia per arrivare a questo traguardo. In tal senso, Casa Vinicola Sartori ha una storia da raccontare e una tradizione da tramandare».

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La Scotch Whisky Association fa causa alla Macaloney’s Caledonian Distillery

La Scotch Whisky Association (Swa), l’associazione dei produttori di whisky scozzesi, ha presentato una causa civile presso la Corte Suprema di Vancouver, British Columbia (Canada), contro la canadese Macaloney’s Caledonian Distillery.

La Swa ha accusato il produttore canadese di violare l’Indicazione Geografica (Ig) dello Scotch Whisky utilizzando parole associate alla Scozia sulle etichette dei suoi prodotti, in particolare contestando l’uso di “Caledonian”, “Macaloney”, “Island whisky”, “Glenloy” e “Invermallie”.

«Il Querelante (Swa) – si legge sul reclamo – intende intraprendere questa azione per affrontare la condotta illecita dell’Imputato, che induce erroneamente i consumatori canadesi a credere che i whisky e gli alcolici dell’Imputato, che sono distillati e maturati a Victoria nella British Columbia, sono scozzesi».

«Il Querelante – prosegue – si oppone fermamente ai marchi ed etichette fuorvianti dei whisky dell’Imputato, che confondono i clienti, pregiudicano i produttori di whisky scozzese e sminuiscono il carattere distintivo e la reputazione dell’Indicazione Geografica “Scotch Whisky” in Canada».

LA RISPOSTA DI MACALONEY’S CALEDONIAN DISTILLERY
Macaloney’s afferma di aver contattato la Swa nel 2016, anno di fondazione della distilleria, chiedendo in modo «aperto e trasparente» di poter utilizzare “Macaloney” e “Caledonian” in etichetta senza ricevere, all’epoca, alcuna opposizione.

Il produttore canadese sottolinea come “Caledonian” si riferisce alla “Nuova Caledonia“, antico nome della Columbia Britannica, mentre “Macaloney” non è nient’altro che il cognome del fondatore, Graeme Macaloney di origine scozzese.

L’azienda ha definito «ingiusta e ingiustificata» la richiesta di eliminare la definizione “Island whisky” in quando «La nostra distilleria si trova a Victoria, sull’isola di Vancouver. Le nostre etichette identificano chiaramente i nostri prodotti come canadesi ed hanno una mappa dell’isola di Vancouver ben visibile sulla confezione».

«Nel 2019 abbiamo vinto la medaglia d’oro ai World Whiskeys Awards (Wwa) e alla fine del 2019 la Swa ci ha chiesto di indicare il nostro Master Distiller (Mike Nicolson, anch’egli di origine scozzese) non più come “Scotch Master Distiller” ma come “Scottish Master distiller”».

Macaloney’s inoltre sottolinea come “Glen” è utilizzato anche da altri distillatori artigianali canadesi, tra cui il whisky “Glen Breton” della Glenora Distillery che nel 2009 vinse una causa proprio contro la Swa.

«Non utilizziamo e non abbiamo mai utilizzato l’indicazione “Scotch Whisky” sui nostri prodotti – conclude la distilleria – e siamo fortemente in disaccordo con l’affermazione di Swa secondo cui questi termini sono sinonimi alternativi di Scotch Whisky».

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Usa: nuove opportunità di export per gli spirit italiani

Dopo la notizia della decisione del presidente Usa Biden di sospendere i dazi sull’agroalimentare tutto il settore degli spirit italiani si prepara a ripartire oltreoceano. Le esportazioni delle bevande spiritose italiane negli Stati Uniti nel 2020 ammontano a circa 107 milioni di euro, cifra che ha risentito delle tariffe imposte dalla precedente amministrazione.

Il nuovo corso intrapreso dalla presidenza Biden apre ora nuove opportunità di espansione verso un mercato che vale oltre 25 miliardi di dollari. Per questo l’Agenzia Ice ha organizzato, dal primo aprile al 31 agosto 2021, una serie di eventi di promozione che vedranno la partecipazione delle aziende italiane che già hanno i loro prodotti inseriti all’interno del circuito Usa.

Si inizierà con una serie di cinque incontri con la Usbg (United States Bartender’s Guild), l’associazione che riunisce i bartender degli Stati Uniti. Formazione, training e opportunità di networking per gli spirit italiani all’interno dell’industria dell’hospitality.

Il secondo progetto, Tales of the cocktail, sarà una serie di festival e conferenze inserite all’interno del settore del beverage. Incontri con professionisti americani, focus, webinar, seminari e una serie di incontri mirati sull’utilizzo dei vari distillati.

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Europa verso l’autorizzazione dei vini senza alcol a Denominazione di Origine e Igp

L’Europa sembra ormai propensa all’autorizzazione dei vini senza alcol o parzialmente senza alcol, noti anche come “Non-Alcoholic Wines” o “Dealcoholized wines / De-alcoholized wines“, all’interno delle Denominazioni di Origine (Do / Pdo) e delle Indicazioni geografiche protette (Igp / Pgi) dei vini prodotti nel continente.

Come appreso da WineMag.it, la sorprendente posizione arriva dal cosiddetto Super Trilogue, la riunione convocata dalla ministra dell’Agricoltura portoghese Maria do Céu Antunes – la presidenza di turno è attualmente portoghese – per la negoziazione congiunta della Pac, ovvero del pacchetto di misure della Politica agricola comune.

Resterà invece invariato all’1% il regime di autorizzazione degli impianti viticoli fino al 2045, con due revisioni intermedie. Accolte dunque le preoccupazioni espresse da diverse organizzazioni del settore vitivinicolo, a fronte dell’iniziale proposta Ue di innalzare al 2% il tasso di crescita del vigneto Europa.

Tra queste l’Efow, la Federazione Europea dei Vini d’Origine, che oggi accoglie con grande favore «gli importanti sviluppi», nella speranza «che la riforma della Pac sarà completata rapidamente».

«Accogliamo con favore le decisioni politiche di questo Super Trilogue, che tengono conto delle aspettative del settore vitivinicolo, in particolare quelle dei produttori di denominazioni di vino. Ci auguriamo che la riforma si concluda in tempi brevi per stabilizzare il quadro normativo e dare visibilità a lungo termine ai viticoltori», ha dichiarato il presidente dell’Efow, Bernard Farges.

Qualora il provvedimento sui vini senz’alcol dovesse entrare a pieno regime nei disciplinari di produzione dei vini europei, questa tipologia di “bevande” potrebbe godere dei nomi (nonché della protezione) delle Denominazioni di origine controllata e delle Indicazioni di origine protetta dei vini europei.

I “Non-Alcoholic Wines” spopolano soprattutto negli Stati Uniti, ma sono diffusi anche negli Uk e nel Nord Europa (emblematico il caso del Birch Sap di Sav 1785). La promessa delle case produttrici è quella di assicurare lo stesso profumo e sapore del vino, senza gli svantaggi del contenuto d’alcol in volume.

Tra i rivenditori, guarda caso, figurano anche colossi come Amazon, oltre a siti specializzati in prodotti dietetici e salutistici. Tra i “vini non alcolici” più noti, lo “Champagnette Chateau de Fleur”, prodotto in California e in vendita a 23,99 dollari, con il claim “Non-Alcoholic Champagne“.

La cantina produttrice è la Weibel Vineyards di Hopland, fondata dallo svizzero Fred E. Weibel, emigrato negli States nel 1937. Non mancano i vini rossi senz’alcol, come “Ariel Cabernet Sauvignon Non-Alcoholic” di Ariel Vineyards, azienda vitivinicola che ha sede a San Jose, cuore pulsante della Silicon Valley.

Tra i vini bianchi analcolici il “St Regis Chardonnay De-Alcoholized” di St Regis, best sellers della categoria, su Amazon. Alcol in volume dichiarato dalla cantina canadese “inferiore a 0,5%”. Come nel caso di “Secco” (nome che ricorda qualcuno?) lo “spumante senz’alcol” in vendita a 9,99 dollari su alcuni siti specializzati. Pronti a brindare presto con nuovi vini a denominazione senza alcol, grazie all’Europa?

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Vini al supermercato

Marca del Distributore: un acquisto su 5 degli italiani è “private label”

La “Marca del Distributore” (Mdd) continua a crescere. Tanto in Italia quanto all’estero le Private Label dei distributori proseguono un trend di crescita legato al carattere distintivo proprio della Mdd, riconosciuto dal consumatore e sempre più vicino ai temi della sostenibilità.

È quanto emerge dal convegno La Marca del Distributore guida il rilancio sostenibile in Italia e in Europa – I distributori e i produttori in azione organizzato nell’ambito di Marca Digital Session durante il quale è stato presentato il XVII Rapporto MarcabyBolognaFiere a cura di Gianmaria Marzoli, Retail Solutions Vice President Iri.

Nel 2020 i risultati del Largo Consumo Confezionato (Lcc) sono stati fortemente influenzati dalla pandemia. Le limitazioni ai movimenti e le chiusure diffuse sul territorio nazionale hanno significativamente incentivato gli acquisti nei negozi di prossimità a discapito degli ipermercati e accelerato la crescita del canale online.

In questo contesto, il Largo Consumo Confezionato ha segnato un +8,7% in valore guidato proprio dalla Marca del Distributore che ha fatto registrare un +9,6% in valore rispetto ai 12 mesi dell’anno precedente, raggiungendo gli 11,8 miliardi di euro di vendite.

«La Marca del Distributore in Italia ha contributo alla crescita della Distribuzione Moderna anche in un anno di fortissima discontinuità come il 2020», afferma Gianmaria Marzoli.

«Questo trend di crescita – prosegue Marzoli – si è consolidato ed accelerato grazie alla capacità delle imprese commerciali di adeguare l’offerta ai nuovi bisogni che stanno emergendo e che la pandemia ha ulteriormente evidenziato. La sfida per i prossimi anni sarà proprio questa: continuare nello sviluppo di un’offerta accessibile, economica ed adeguata ai bisogni dei clienti».

Cresce soprattutto la quota di mercato della Marca del Distributore che con un +0,6% rispetto al 2019 arriva a coprire il 20% del mercato in valore, in pratica un acquisto su 5 all’interno della Gdo tradizionale è ormai costituito da prodotti Mdd.

Nel 2020 la crescita è stata sostenuta dall’aumento dei volumi di vendita e mostra un cambio del posizionamento competitivo della Mdd nelle singole categorie consolidandone il ruolo di leadership. In ben 143 categorie merceologiche la Mdd è leader mentre in 294 (circa 2/3 del Lcc) si posiziona nei primi 3 posti.

La penetrazione del mercato da parte della Mdd è molto forte nei prodotti alimentari (99,3% nell’ortofrutta, 55,2% nel freddo, 50,2% nel fresco) e ben posizionata per quanto riguarda carni, cura della casa e cura della persona (rispettivamente 31,9%, 33,7% e 28,7%). Arranca invece nel comparto del Beverage (14,4%) settore legato ad una differente percezione del valore-qualità da parte del consumatore soprattutto per quanto riguarda vino, birra e spirit.

Il XVII Rapporto MarcabyBolognaFiere contiene inoltre un’analisi, eseguita attraverso gli attributi e le caratteristiche dei prodotti rilevati per ogni singolo articolo, sulla sostenibilità della Mdd declinata secondo 3 macro dimensioni: Sostenibilità per la Comunità, Sostenibilità per la Persona e Sostenibilità per l’Ambiente.

Emerge come gli italiani stiano incrementando la spesa per prodotti sostenibili, in particolare ponendo l’attenzione alla “comunità”, scegliendo prodotti 100% di origine italiana e a denominazione geografica. In questo senso la Mdd  attiva una filiera di quasi 1.400 imprese italiane, di cui circa l’85% è rappresentato da pmi.

Una importante possibilità per tante piccole e medie imprese di entrare nel mass market, contribuendo alla tutela del made in Italy, alla difesa della qualità e varietà della tradizione enogastronomica italiana e sostenendo una rete di 235.000 occupati diretti e indiretti lungo l’intera filiera.

Le scelte dei consumatori premiano la Mdd nell’acquisto di prodotti sostenibili in cui gli ingredienti di base del successo risultano essere due: assortimenti in crescita, in un contesto di generale contrazione dell’offerta a scaffale, e un posizionamento di prezzo in grado di garantire maggiore economicità in tutte le varie declinazioni dei prodotti sostenibili.

La ricerca della sostenibilità da parte della Mdd è un vero e proprio trend europeo, come emerge da una ricerca condotta da Iplc presso più di 50 retailer europei di 10 diversi Paesi: Italia, Paesi Bassi, Germania, Svezia, Danimarca, Inghilterra, Irlanda, Portogallo, Spagna e Francia.

«A partire dal 2020 – dice Paolo Palomba, Managing Partner di Iplc Italia – sono state rilevate quasi 900 iniziative sostenibili della Mdd nel nostro continente, che fanno della sostenibilità e del ruolo della Mdd in questo ambito un elemento di primo piano non solo della reputazione, ma anche della competitività delle imprese distributive».

«È emerso chiaramente – conclude Palomba – che i retailer europei sono consapevoli che la Mdd è oggi un criterio prioritario di valutazione e scelta da parte del consumatore del proprio supermercato di fiducia. Una tendenza che conferma quanto sta accadendo in Italia».

I driver del cambiamento sono stati identificati in alcune modifiche strutturali nella dinamica dei consumi, primo fra tutti l’aumento dei pasti consumati a casa, e sono stati riassunti in quattro elementi prioritari che hanno caratterizzato le scelte dei distributori europei: trasparenza con il consumatore, riduzione dei rifiuti, fornitori locali, stile di vita sano.

Tra gli ambiti di intervento rilevati più frequentemente analizzando i comportamenti delle insegne europee, si segnalano l’impegno per la riduzione della plastica a scaffale (22%), la riduzione dello spreco alimentare (19%), il minor utilizzo di additivi nei cibi (19%), il packaging green (14%), la protezione delle foreste (14%) e la pesca sostenibile (12%).

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degustati da noi vini#02

Südtirol Alto Adige Doc St. Magdalener 2019 “Moar”, Cantina Bolzano

Parola d’ordine “matrimonio”. Schiava e Lagrein, due dei vitigni simbolo dell’Alto Adige, si combinano alla perfezione nel Südtirol Alto Adige Doc St. Magdalener 2019 “Moar” di Cantina Bolzano. Un vino che è risultato dell’esclusiva di posizione, età delle viti e conduzione attenta del vigneto, nella zona classica di produzione del Santa Maddalena.

LA DEGUSTAZIONE
Il “naso” di Moar si esprime generoso ed elegante, su note floreali e fruttate. Spiccano violetta, ciliegia e mora, abbinate a note meno mature di fragoline di bosco e ribes. In sottofondo, voluttuosi sbuffi di tabacco dolce e cioccolato. Un quadro morbido e setoso, dotato al contempo di una eccellente tensione.

Un St. Magdalener che conferma il suo equilibrio anche al palato, nel segno della corrispondenza gusto-olfattiva. Ritorni di frutta matura (ciliegia, mora) ben controbilanciati dalla freschezza e da pregevoli accenti salini. Uno di quei vini che, a tavola, finiscono in un batter d’occhio.

Perfetto l’abbinamento con piatti della tradizione dell’Alto Adige, come la Carne Salada. In generale “Moar” 2019 fa il paio con la carne, dai primi ai secondi di media elaborazione. Da provare sulle tagliatelle con ragù di selvaggina, carni affumicate, canederli, speck, pizza, pasta e formaggi di media stagionatura.

LA VINIFICAZIONE
La zona di produzione è quella classica del St. Magdalener, sui pendii a nord di Bolzano. Schiava e Lagrein affondano le radici in terreni ghiaiosi. La vendemmia ha inizio a metà ottobre. Le uve, attentamente selezionate, seguono la tradizionale vinificazione in rosso.

Terminata la fermentazione, il vino atto a divenire “Moar” affina in grandi botti di rovere, per proseguire con l’affinamento in bottiglia che precede la commercializzazione. Certamente uno dei vini simbolo di Cantina Bolzano.

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Rito della Spremitura del Vino Santo del Trentino 2021: il video e le immagini

La pandemia non ferma il Rito della Spremitura del Vino Santo del Trentino. Le Aziende Agricole Pedrotti, Pisoni, Giovanni Poli, Maxentia, Pravis e Francesco Poli hanno deciso di celebrare il momento incontrandosi, alla giusta distanza, attorno a un piccolo tornio, nella Casa Caveau Vino Santo, a Padergnone.

Un Rito che i Vignaioli hanno voluto raccontare per immagini, condensando in poco meno di un minuto una storia lunga secoli. «Un invito a festeggiare insieme il tempo dell’attesa che si fa vino nobile, di dolce eleganza e di straordinaria longevità», spiega il gruppo di produttori.

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Piemonte: proposta di legge per la birra artigianale regionale

Presentata in Piemonte una proposta di legge per la valorizzazione della filiera regionale della birra artigianale, analogamente a quanto già successo il Lombardia e Abruzzo.

«Di fronte ad un mondo sempre più globale, è cambiata la sensibilità dei consumatori che vogliono sempre maggiori garanzia per l’identificabilità immediata dei prodotti legati al proprio territorio», dichiara il capogruppo di Forza Italia Paolo Ruzzola, primo firmatario della proposta di legge.

«Questo provvedimento – prosegue Ruzzola – nasce per dare risposta alla difesa di tutto il mondo produttivo che ruota intorno alla birra: dagli operatori che coltivano materie prime come il luppolo e l’orzo in Piemonte, ai microbirrifici che popolano e animano la vita dei nostri Comuni».

La proposta di legge prevede un sostegno per la produzione brassicola regionale, la promozione delle coltivazioni Piemontesi delle materie prime legate al comparto, l’istituzione di un registro dei microbirrifici aventi stabilimento nel territorio regionale, la possibilità di attivare uno spaccio nelle imprese agricole, e un sostegno per l’innovazione dei processi produttivi degli stabilimenti.

«Crediamo fortemente che sia necessario supportare un segmento economico di riferimento – conclude Ruzzolo – basti pensare che la giuria internazionale di “Birra dell’Anno” ha decretato che le birre artigianali del Piemonte sono tra le migliori d’Italia tanto che su 41 categorie la nostra si è aggiudicata otto riconoscimenti».

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