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Enoturismo

La Cerca e cavatura del tartufo in Italia è patrimonio Unesco

La Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali entra nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità tutelato dall’Unesco. Lo ha annunciato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel corso dell’Assemblea nazionale della principale organizzazione agricola europea.

L’inserimento del nuovo “patrimonio” è stato ufficializzato in occasione sedicesima sessione del Comitato intergovernativo Unesco, riunito a Parigi. Un risultato che è stato festeggiato con un maxi vassoio di tagliolini al tartufo per le centinaia di agricoltori insieme ai leader politici dei principali partiti e movimenti presenti in Assemblea.

«L’ingresso del tartufo tra i patrimoni dell’umanità – sottolinea Prandini – è un passo importante per difendere un sistema segnato da uno speciale rapporto con la natura, in un rito ricco di aspetti antropologici e culturali. Una tradizione determinante per molte aree rurali montane e svantaggiate, anche dal punto di vista turistico e gastronomico».

Non a caso, al tartufo guarda con molta attenzione anche il mondo del vino. Il Consorzio di Tutela degli spumanti piemontesi Alta Langa ha annunciato a settembre 2021 un progetto che intensifica il rapporto delle pregiate “bollicine” Metodo classico con il tartufo.

Alberi da Tartufo Bianco d’Alba tra i vigneti dell’Alta Langa: il progetto del Consorzio

L’ente, in collaborazione con il Centro Nazionale Studi Tartufo, intende così sensibilizzare i viticoltori, invitandoli a destinare una porzione di terreno alla piantumazione di alberi simbionti del tartufo. Non solo. Ad occuparsi dei terreni sono le associazioni di trifolao, con l’obiettivo di «favorire buone pratiche di sviluppo e mantenimento delle tartufaie sul territorio delle colline alte di Langa».

LA CERCA DEL TARTUFO

Più in generale, l’arte della Cerca del tartufo coinvolge in Italia una rete nazionale composta da circa 73.600 detentori e praticanti, chiamati tartufai. A concorrere alla cifra sono 45 gruppi associati nella Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani (Fnati), ma anche singoli tartufai non riuniti in associazioni (44.600 unità). Esistono altre 12 Associazioni di tartufai che insieme all’Associazione Nazionale Città del Tartufo (Anct) coinvolgono circa 20 mila liberi cercatori e cavatori.

Una vasta comunità, distribuita nei diversi territori regionali italiani. «Il rapporto cavatore-cane – sottolinea Coldiretti – è in armonia con la natura ed è una delle basi della trasmissione di conoscenze e tecniche legate alla cerca e cavatura, individuate come una pratica sostenibile». In ambito famigliare è ancora il singolo tartufaio più anziano, nonno o padre, che insegna alle nuove generazioni i segreti, gli accorgimenti, i luoghi e le tecniche della cerca e della cavatura.

IL TARTUFO IN ITALIA

Dal Piemonte alle Marche, dalla Toscana all’Umbria, dall’Abruzzo al Molise, ma anche nel Lazio e in Calabria sono numerosi i territori battuti dai ricercatori. La ricerca dei tartufi praticata già dai Sumeri svolge una funzione economica a sostegno delle aree interne boschive.

Una importante integrazione di reddito per le comunità locali, con effetti positivi sugli afflussi turistici come dimostrano le numerose occasioni di festeggiamento organizzate in suo onore. Ed è il tartufo in sé a poter essere condisiderato un ecosistema. Si tratta infatti di un fungo che vive sotto terra ed è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell’albero con cui vive in simbiosi.

Nascendo e sviluppandosi vicino alle radici di alberi come il pino, il leccio, la sughera e la quercia – spiega la Coldiretti – il tartufo deve le sue caratteristiche (colorazione, sapore e profumo) proprio dal tipo di albero presso il quale si è sviluppato. La forma, invece dipende dal tipo di terreno».

Se soffice, il tartufo si presenterà più liscio. Se compatto, diventerà nodoso e bitorzoluto per la difficoltà di farsi spazio. I tartufi sono noti per il loro forte potere afrodisiaco e in cucina il tartufo bianco (Tuber Magnatum Pico) si gusta a crudo su noti cibi come la fonduta, i tajarin al burro e i risotti.

GLI ALTRI PATRIMONI UNESCO ITALIANI

L’arte italiana della ricerca del tartufo entra nella lista Unesco del patrimonio culturale immateriale dell’umanità al fianco di molti tesori italiani già iscritti. Dall’Opera dei pupi (iscritta nel 2008) al Canto a tenore (2008), dalla Dieta mediterranea (2010) all’Arte del violino a Cremona (2012), dalle macchine a spalla per la processione (2013) alla vite ad alberello di Pantelleria (2014).

E ancora: dall’arte dei pizzaiuoli napoletani (2017) alla la Falconeria fino all’Arte dei muretti a secco, ma non mancano neppure luoghi simbolo tutelati dall’Unesco come le Colline del Prosecco e le faggete dell’Aspromonte e del Pollino.

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Birra

Donne e birra: sempre più italiane innamorate della bionda

Secondo l’indagine condotta da BVA Doxa per il Centro Informazione Birra (Cib) di AssoBirra, 2 donne su 3 consumano birra. Il 53% lo fa almeno 2-3 volte alla settimana e l’85% almeno 1 volta a settimana.

«Quella tra donne e birra è una storia d’amore millenaria. Si racconta che la birra sia nata grazie a una donna ed è risaputo che, storicamente, siano state proprio le donne ad occuparsi della sua produzione, un’attività prevalentemente domestica fino a tre secoli fa. Dal nostro Cib emerge come, ancora oggi, la relazione sia molto forte e la passione sia ancora accesa», commenta Andrea Bagnolini, Direttore Generale di AssoBirra.

Dalla ricerca emerge che la birra è sempre più amata dalle beer lover italiane per una caratteristica distintiva, la moderazione. Secondo le intervistate, infatti, è apprezzabile che la birra abbia una bassa gradazione alcolica (51%). Inoltre, la bevanda piace sempre più anche perché rappresenta un momento di piacere (72%) e per il suo gusto inconfondibile (69%).

Aspetti in parte condivisi anche dalle non consumatrici che riconoscono alla birra soprattutto la possibilità di un consumo moderato e il richiamo alla convivialità. Quanto alle abitudini, la cena è diventata il momento preferito per il consumo dalla maggior parte delle intervistate (59%).

Una preferenza che sottolinea nuovamente il ruolo di bevanda da pasto della birra. Tuttavia, c’è anche chi preferisce la birra per un “dopo cena”, a casa o fuori casa, con familiari e amici (17%) o per un aperitivo (11%).

CRESCE LA POPOLARITÀ DELLE BIRRE ANALCOLICHE

Tra la popolazione femminile cresce sempre di più la popolarità della birra analcolica. Secondo la ricerca BVA Doxa, il 30% delle intervistate – consumatrici e non – conosce bene la birra analcolica (è il 37% nel caso delle consumatrici abituali di birra) e il 67% ne ha sentito parlare.

Il driver che guida la crescita della popolarità della birra analcolica è il fatto che possa “essere bevuta in qualsiasi momento della giornata” (50%). Il 54% delle beer lover dichiarano che “certamente” o “probabilmente” berranno birra analcolica.

Infine, una curiosità: se poste di fronte a una scelta, le non consumatrici di birra si dichiarano più propense a consumare la birra “classica”, piuttosto che la sua versione low o zero alcol.

IMPRENDITORIA FEMMINILE NEL SETTORE BIRRARIO

Il legame tra donne e birra non si limita soltanto ai consumi, ma abbraccia anche altri ambiti, come quello del lavoro. Oltre il 70% delle intervistate da BVA Doxa considera l’aumentata presenza delle donne nel settore una risorsa importante. Secondo le appassionate di birra “le donne riescono a trovare nuove idee e sono uno stimolo per il settore” (45%).

«Da comprimarie, relegate al servizio della birra nel fuoricasa e ad ambiti amministrativi nei birrifici, le donne in questi anni hanno progressivamente conquistato nuovi spazi. O meglio, si sono riappropriate di spazi che avevano ricoperto anticamente, oltretutto con ottimi risultati», commenta Elvira Ackermann, presidente dell’Associazione Le Donne della Birra.

«Grazie soprattutto alla crescente diffusione dei birrifici artigianali, le donne hanno iniziato a impegnarsi nel settore a livello produttivo. Stanno conquistando ruoli decisionali e imprimendo nuovi corsi alla produzione della birra artigianale italiana. Nell’ambito del servizio, sono comparse le biersommelièr. Anche a livello di comunicazione, le giornaliste che si occupano di birre sono aumentate», conclude la Ackermann.

«Il ruolo delle donne all’interno del settore birrario è fondamentale, soprattutto in ottica di ripartenza dopo le difficoltà degli ultimi 18 mesi. La strada è ancora lunga e come AssoBirra ne siamo consapevoli ma uno dei nostri obiettivi, in linea con il PNRR, è proprio quello di supportare l’imprenditoria al femminile nel settore», aggiunge Andrea Bagnolini.

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Spirits

Isle of Raasay Single Malt R-01

Dopo le prime bottiglie inaugurali rilasciate l’anno scorso, ecco finalmente il primo batch della Isle of Raasay Distillery. Isle of Raasay Single Malt R-01 è un single malt scotch whisky leggermente torbato che porta in sé tutto il carattere dell’isola di Raasay, nelle Ebridi interne.

LA DEGUSTAZIONE

Apre immediatamente sulle note della torba. Note fumose e medicinali ben definite ma non invasive che lasciano spazio a sentori fruttati. Frutti di bosco, pesca, albicocca. Chiara la presenza del cerale ben contornato dalle note speziate date dal legno. Un leggero sentore mentolato dona freschezza. L’ingresso in bocca è leggermente aggressivo. Al palato si percepisce subito la componente torbata che gioca sulle note marine.

Durante il sorso tornano le note di frutta e spezie già sentite al naso, mentre la componente “fresca” vira su note agrumate. Grande sapidità in equilibrio con la parte morbido-dolce. Di media persistenza è un whisky che paga il pegno della propria gioventù ma che traccia una bella prospettiva per la distilleria.

ISLE OF RAASAY SINGLE MALT R-01

Il primo batch dell’unica distilleria dell’isola di Raasay, nelle Ebridi interne, è realizzato a partire da materie prime locali. L’acqua è attinta dal pozzo che si trova presso la distilleria mentre l’orzo è coltivato direttamente sull’isola da un coltivatore locale.

Isle of Raasay Single Malt R-01 è realizzato con una combinazione di malto torbato e non torbato. I due whisky base sono invecchiati per minimo tre anni in tre tipi di legno diversi. Botti di primo utilizzo ex-rye whiskey, ex-barriques di vino rosso Bordeaux e botti vergini di rovere Chinkapin.

Al termine del periodo di maturazione i single malt, torbati e non, vengono assemblati insieme. R-01 è stato imbottigliato a 46,4% abv senza filtraggio a freddo ed a colore naturale in 26.000 bottiglie di vetro lavorato con stampi dei fossili dell’isola.

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