Un grande risultato per Ais e per tutti i sommelier che, da anni, con professionalità, prestano servizio in lungo e in largo in Lombardia, e non solo. Il Comune di Milano ha conferito ieri all’Associazione italiana Sommelier l’Abrogino D’Oro 2016. L’attestato di Benemerenza civica è stato consegnato dal sindaco del capoluogo lombardo, Giuseppe Sala, al presidente della delegazione Ais di Milano, Hosam Eldin Abou Eleyoun , in occasione di una solenne cerimonia al Teatro Dal Verme. “Questo attestato – ha sottolineato Eleyoun – è merito di tutti i nostri 1853 soci e del gruppo di lavoro che si impegna ogni giorno dell’anno nel comunicare il vino. La passione, la professionalità, l’abnegazione sono solo poche parole per rappresentare la squadra di Ais Milano premiata con questo riconoscimento”. Una candidatura, quella alla prestigiosa Benemerenza meneghina, fortemente sostenuta nei mesi scorsi da Enrico Marcora, consigliere comunale della lista Sala e socio Ais.
IL SOMMELIER E’ “POP” Un riconoscimento all’impegno di tanti giovani, dunque. Ma anche a una filosofia che, in un mondo come quello del vino, spesso tacciato d’essere autoreferenziale e “snob”, ha saputo aprirsi – specie negli ultimi anni – a un pubblico sempre più eterogeneo. Incontrando così il favore degli appassionati. Basti pensare che è proprio l’Associazione italiana sommelier a formare il personale delle enoteche di molte catene della Gdo. Non ultima la milanese Esselunga.
“Al supermercato – commenta di fatto Fiorenzo Detti (nella foto), presidente Ais Lombardia – è assolutamente possibile bere bene. Devo dire che questa Gdo, al suo interno, è composta da persone qualificate che sanno comprare e comprano sempre meglio, spuntando il prezzo migliore perché, a differenza dei piccoli esercizi, acquista vini in grosse quantità. In questo modo la Gdo riesce a proporre all’utente finale numerose etichette molto valide, a prezzi vantaggiosi. E’ ormai confermato il trend che vede sempre più aziende blasonate aderire al circuito della grande distribuzione”.
Un fenomeno che, secondo Fiorenzo Detti, non è destinato a esaurirsi. Anzi. “Sono sicuro – continua il presidente Ais Lombardia – che oggi e sempre meglio nel futuro la Gdo saprà proporre prodotti di qualità al giusto prezzo. Io stesso acquisto da sempre vini al supermercato. E non è un caso se Ais cura la formazione enologica del personale che opera in questi grandi gruppi. D’altro canto – conclude Fiorenzo Detti – devo ammettere che da loro abbiamo avuto modo di apprendere molto, soprattutto in merito alle strategie di marketing che adottano. Insomma: più li conosciamo, più ci convincono che sono davvero bravi”.[sg_popup id=”1″ event=”onload”][/sg_popup]
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Vespaiolo Doc Breganze Sulla Rotta del Bacalà vino 3
Creata sul finire degli anni ’60 e con quasi 400 ettari vitati, la Denominazione di Origine controllata Breganze è situata nei pressi del Monte Grappa, in provincia di Vicenza. L’uva autoctona per eccellenza è la Vespaiola, famosa per essere la base del Torcolato, il vino passito simbolo di questa denominazione. Questa uva viene anche vinificata secca o spumante, con risultati di buona piacevolezza.
La cantina sociale Beato Bartolomeo da Breganze propone la selezione Vespaiolo D.O.C. Breganze “Sulla Rotta del Bacalà”, omaggio al nobile veneziano Pietro Querini, che nel 1431 naufragò nei mari del Nord Europa e venne salvato dagli abitanti di un’isola norvegese, dove scoprì il merluzzo essiccato, il Bacalà appunto.
La versione 2015 si mostra giallo paglierino di buona vivacità e media intensità. I sentori sono molto freschi, croccanti, con note di pere Williams e mele Golden, tiglio e biancospino, erba appena tagliata e accenni di frutta tropicale. In bocca spicca immediatamente un’acidità importante, tipica del vitigno, supportata da notevole sapidità. Corretta la struttura e la persistenza. Non impegnativo e di buona beva. Vino adatto a chi ama queste sensazioni gustative forti. In alternativa si può far affinare per un anno. Per intanto degustiamolo ad una temperatura di massimo 10°C e abbiniamolo a un Bacalà alla Vicentina, come vuole la tradizione.
LA VINIFICAZIONE Questo Vespaiolo è prodotto nelle località di Costa di Breganze e Fara, su terreni vulcanici esposti a sud. Le uve sono conferite da 15 soci, dopo un’ attenta selezione. Prima della vinificazione, la Vespaiola subisce una prefermentazione a freddo, pratica diffusa per i vini bianchi, che permette di ottenere colori, profumi, aromi e struttura più intensi.
L’affinamento si prolunga per circa 5 mesi in acciaio con i propri lieviti. Successivamente il vino viene filtrato e imbottigliato, con una produzione di circa 7800 bottiglie. La Cantina Sociale Beato Bartolomeo da Breganze nasce nel 1950 e oggi conta 700 soci conferitori e con una produzione media annua di oltre 2 milioni di bottiglie.
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Un sorriso a metà. La Fivi è soddisfatta “solo in parte” per l’approvazione del Testo Unico del Vino. Questa la prima reazione – nemmeno troppo a caldo – della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti all’approvazione in Commissione Agricoltura della Camera del nuovo Testo Unico sulla viticoltura e la produzione del vino, che è quindi diventato legge. Un testo che tenta di mettere ordine in un settore “fortemente appesantito da pratiche burocratiche che ne minano la competitività”.
Da sempre attiva nello stimolare il legislatore, già nel 2012 la FIVI aveva consegnato all’allora Ministro Catania un dossier per la riduzione della burocrazia nel settore vitivinicolo. Lo studio, redatto in collaborazione con l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, metteva in evidenza le criticità della legislazione italiana e proponeva le soluzioni per risolverle. “È viva quindi la soddisfazione nel vedere alcune delle richieste della FIVI rientrare nel nuovo Testo Unico – sottolinea la Federazione dei vignaioli indipendenti – come l’istituto della diffida e il Registro Unico dei Controlli” che crea “un raccordo tra le diverse autorità che operano nel sistema dei controlli, in modo da evitare visite doppie nella stessa cantina”.
“Adesso attendiamo fiduciosi – commenta il presidente FIVI Matilde Poggi – i decreti attuativi e speriamo che portino a un effettivo snellimento della burocrazia. Resta il rammarico per il mancato intervento sulla rappresentatività nei Consorzi“. Recentemente, infatti, la FIVI è intervenuta con una lettera al Ministro Martina, chiedendo di rivedere il meccanismo di attribuzione dei voti all’interno dei Consorzi di Tutela, in modo da dare più spazio ai vignaioli, evitando il dominio delle cooperative di primo e secondo grado nei consorzi più importanti.
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Radici del Sud rilancia il tema dell’alimentazione sostenibile che prevenga le patologie ad essa collegate dimostrando un’attenzione che va ben al di là della mera promozione della buona tavola e del buon bere. L’evento di presentazione delle nuove guide enogastronomiche 2017 presto on line, costituirà infatti anche l’occasione per affrontare l’argomento del rapporto tra dieta e salute con qualificati specialisti oltre che, in conclusione, degustare i migliori vini autoctoni del Meridione d’Italia e apprezzare la salutare cucina proposta da alcuni tra i più accreditati chef e maestri pizzaioli pugliesi.
L’appuntamento è per lunedì 19 dicembre quando alle ore 19, presso le Scuderie del Castello di Sannicandro di Bari, avrà inizio la conferenza dal titolo “La buona tavola a garanzia del benessere e della salute”, guidata dal moderatore Gianluigi Cesari, alla quale interverranno Luciano Pignataro (giornalista), le istituzioni regionali, il direttore generale dell’A.Re.S. (Agenzia Regionale Sanitaria) Felice Ungaro, l’epidemiologo nutrizionista Giovanni Misciagna e l’oncologo di fama internazionale Antonio Mazzocca. Al termine si entrerà nel merito delle eccellenze enogastronomiche prese in considerazione nelle guide Radici Restaurants, Radici Pizzerias e Radici Wines per la prima volta quest’anno disponibili nella pratica e accattivante App scaricabile online gratuitamente e saranno ufficialmente premiate le migliori realtà ristorative della Puglia.
Intorno alle ore 20,30 si darà inizio alla degustazione delle 75 etichette (qui l’elenco completo) che hanno portato a casa il titolo di vincitore della categoria di appartenenza al concorso del festival di Radici 2016 pertanto guadagnandosi una posizione di rilievo nella relativa guida Radici Wines. Il finale di serata sarà affidato alla perizia di tre maestri pizzaioli: Giacomo Diamante (Pizzeria Da Zio Giacomo – Martina Franca), Vitantonio Maggi (Gran Caffè – Locorotondo) e Mauro Ripa (Pizzeria Mauro – Cutrofiano), che in collaborazione con altrettanti chef: Pasquale Fatalino (Antica Locanda – Noci), Riccardo Barbera (Masseria Barbera – Minervino Murge), Giacomo Racanelli (Aromi Bistrot – Sannicandro di Bari), tra i protagonisti delle guide di Radici, prepareranno pizze e altre portate, dal sapore autentico e fedele alle tradizioni ittiche e dell’entroterra pugliese, per dimostrare come sia non solo possibile ma anche facile rispettare le esigenze salutistiche senza mortificare il palato e senza sacrificare il piacere di stare a tavola.
IL MENU
Le Pizze
Impasto di farro integrale con seppie marinate, melanzane arrosto, pesto al basilico e olio extravergine
Vitantonio Maggi – Pizzeria Gran Caffè – Locorotondo
Impasto Tritordeum con capocollo di martina franca, datterino giallo e caciocavallo con olio extravergine
Giacomo Diamante – Pizzeria Zio Giacomo – Martina Franca
Impasto Farina tipo 2 con germe di grano, avena e orzo alla Salentina
Mauro Ripa – Pizzeria Mauro – Cutrofiano
I Piatti
Tartare di Ricciola con giardiniera di verdure di stagione
Giacomo Racanelli – Aromi Bistrot – Sannicandro di Bari
Farro e grano ai profumi di mare
Pasquale Fatalino – Antica Locanda – Noci
Zuppa di fagioli di Sarconi, cicorielle selvatatiche, salsiccia di Minervino Murge e peperone crusco
Riccardo Barbera – Masseria Barbera – Minervino Murge
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Cresce il business del panettone, 2,5 milioni in più rispetto allo scorso anno, +5%. Affari per 60 milioni legati al dolce tipico milanese, che vale circa un quarto delle vendite in pasticceria di questo periodo. E’ quanto emerge da un’indagine della Camera di commercio di Milano su oltre trenta pasticcerie milanesi contattate in questi giorni. Il cliente torna e ne acquista uno ogni dieci giorni. Per 9 su 10 va il liscio con uvetta e canditi. Per i pasticceri è il simbolo principale e naturale di Milano (55% moltissimo, 42% molto). Per il 61% supera la dieta mediterranea (32%) come simbolo del nostro territorio per gli stranieri. Stranieri che crescono tra la clientela, un cliente su venti, il 5%. Il 32% è favorevole a un panettone in versione estiva per avere un dolce tipico tutto l’anno.
LA GIORNATA DEL PANETTONE E per gli amanti del genere, il 15 dicembre è una data da segnare sul calendario. Si terrà infatti a Milano la “Giornata del Panettone: assaggi gratis in 80 pasticcerie”. I pasticceri aderenti esporranno in vetrina la vetrofania per invitare i clienti alla prova del panettone artigianale. Si tratta di un’iniziativa della Camera di commercio di Milano e Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza in collaborazione con l’associazione Panificatori, Assofood (dettaglio alimentare), EPAM (pubblici esercizi), Promo.Ter Unione, Unione Artigiani della Provincia di Milano e APA Confartigianato Milano, Monza e Brianza, insieme ai consumatori. Sono 150 i pasticceri e i panettieri che hanno aderito all’iniziativa a Milano e provincia e esporranno la vetrofania con il logo in vetrina. Il loro panettone è un prodotto fresco, senza conservanti e artigianale. Il marchio “panettone tipico della tradizione artigianale milanese” è depositato presso l’Ufficio Brevetti della Camera di commercio di Milano. Una iniziativa promossa dalla Camera di commercio di Milano, dal Comitato dei Maestri Pasticceri Milanesi, dalle Associazioni dei pasticceri, dei panificatori, degli artigiani e dei consumatori.
COME RICONOSCERE IL VERO PANETTONE DI MILANO Che cosa distingue il panettone artigianale milanese? Viene realizzato secondo un regolamento tecnico con determinati ingredienti, nelle proporzioni stabilite e seguendo le tecniche della lavorazione artigianale. “Il panettone, come emerge dall’indagine, è uno dei marchi più riconoscibili della nostra città – ha commentato Alfredo Zini, consigliere Camera di commercio di Milano -. Rappresenta un dolce di successo anche per gli stranieri che possono avvicinarsi a questa tradizione milanese all’insegna di buon gusto e qualità. Anche quest’anno il panettone non mancherà e sarà protagonista in tavola, per festeggiare il Natale”.
“Il panettone ancora oggi – ha dichiarato Marco Accornero, consigliere della Camera di commercio di Milano e segretario generale dell’Unione Artigiani della Provincia di Milano – è prodotto in modo artigianale con l’accuratezza, la sapienza, gli ingredienti nostrani e il buon gusto di una volta. Per questo valorizziamo, partecipando a questa iniziativa con esperti pasticceri, la qualità di un prodotto simbolo della nostra città”.
“Con questo marchio tuteliamo e promuoviamo un prodotto portatore dell’immagine e del gusto di Milano nel mondo – ha dichiarato Pietro Restelli, presidente Associazione Panificatori Milano, Monza Brianza e province (Confcommercio Milano) – grazie alle sapienti lavorazioni artigianali dei nostri laboratori dolciari”.
“Una iniziativa a cui aderiamo fin dagli inizi come associazione – ha dichiarato Carlo Freni, consigliere di Epam, Associazione pubblici esercizi di Confcommercio Milano -. Crediamo che oggi sia sempre più importante mettere in luce la capacità dei nostri pasticceri, che può essere sempre più apprezzata non solo a livello locale, ma anche internazionale”.
“Si tratta di una opportunità per le imprese del settore – ha affermato Sergio Monfrini, presidente di Assofood Confcommercio Milano – di essere percepite ad un alto livello qualitativo grazie al marchio in vetrina. Una opportunità per i milanesi che per Natale cercano un buon panettone”.
“Occorre riscoprire lavorazioni e sapori antichi come fattore di appartenenza alla realtà in cui viviamo e al nostro territorio, affidandoci alla qualità dei nostri prodotti artigianali – ha commentato Vincenzo Mamoli – membro di giunta della Camera di commercio e Segretario regionale di Confartigianato Lombardia”.
“Grazie al disciplinare di produzione del panettone tipico della tradizione artigiana milanese – ha dichiarato Liberata Dell’Arciprete, consigliere della Camera di commercio in rappresentanza dei consumatori – oltre che dare un marchio al panettone tipico prodotto nei vari forni della città, consentiamo al consumatore di poter scegliere un prodotto simbolo del Natale di cui conosce gli ingredienti utilizzati (e quelli per cui non è consentito l’uso) e anche l’intero processo di produzione nelle diverse fasi di lavorazione”.
IL SETTORE DOLCIARIO IN LOMBARDIA
Sono oltre 41 mila le imprese in Italia coinvolte nella produzione e nel commercio di prodotti di pasticceria e panetteria, di cui 5.100 in Lombardia. Milano è al terzo posto in Italia con 1.806 imprese, dopo Napoli (2.396) e Roma (1.863), seguita nella classifica regionale da Brescia (695) e Bergamo (573). In Lombardia sono oltre 23 mila gli addetti coinvolti nel settore e 159 mila in Italia. Milano è prima in Italia con 8.571 addetti, seguita da Roma (6.860) e Napoli (5.925). In Lombardia è seguita da Brescia (2.938), Bergamo (2.446) e Varese (2.102).
I dolci lombardi all’estero valgono 600 milioni all’anno, primi Europa e USA. L’import-export lombardo di prodotti da forno e dolci è di 458 milioni di euro nei primi sei mesi del 2016 su 2,1 miliardi di interscambio nazionale, il 21,5%, +1,9% in un anno. Solo l’export vale 600 milioni all’anno. Supera i 200 milioni di euro l’import-export milanese nel semestre, di cui 137 milioni solo di export che si dirige soprattutto verso l’Unione Europea (108 milioni), America del Nord e Estremo Oriente. Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati Istat al primo semestre 2016 e 2015.
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Un “sostanziale incremento delle vendite da parte delle imprese vinicole italiane”. E’ quanto emerge dai dati annuali del canale on-trade analizzati dall’Osservatorio del Vino italiano. Da luglio 2015 a giugno 2016, crescono in valore del 5,9% e in volume del 2,3% rispetto all’anno precedente (lug14-giu15). “Un segnale positivo – commenta Paolo Castelletti, Segretario Generale Unione Italiana Vini – che ci deve stimolare a proseguire nel cammino di sviluppo fino ad ora intrapreso. Auspichiamo che questa ripresa venga accompagnata dalla stabilità di Governo del Paese, indispensabile anche per il riordino del quadro legislativo del comparto a partire dai decreti attuativi del Testo Unico appena approvato in Parlamento, al quale abbiamo lavorato con solerzia e impegno negli ultimi tre anni”.
Occasione di confronto è stato il Convegno organizzato dall’Osservatorio del Vino nell’ambito di Wine2Wine a Veronafiere, dal titolo: “I trend del vino nell’Horeca: fu vera crescita?”. Oltre ai dati relativi alle vendite di vino da parte delle aziende italiane nel periodo luglio 2015 – giugno 2016 nel canale Horeca, sono stati diffusi quelli su comportamenti e abitudini di consumo di vino nel nostro Paese.
“Al quesito ‘Il vino nell’Horeca, fu vera crescita?’ ritengo di rispondere che fu e sarà ‘vera evoluzione'”. Così Josè Rallo, titolare Donnafugata. “Siamo un popolo che consuma abitualmente cibo fuori casa, per cui l’Horeca è un canale così importante che a noi produttori tocca avere consapevolezza della continua evoluzione della domanda – continua Josè Rallo –. Negli ultimi 10 anni l’Horeca per Donnafugata ha sempre avuto una rilevanza vitale. Negli anni di difficile congiuntura ci siamo sforzati di innovare per rispondere alle sfide di un mercato in forte evoluzione. Abbiamo lavorato soprattutto per creare valore attraverso l’incremento della qualità, con continui investimenti in vigna ed in cantina – conclude Josè Rallo. I risultati sono stati positivi: nel mercato domestico, negli ultimi 36 mesi, abbiamo registrato una buona crescita e contiamo di chiudere il 2016 con un +8-10% sull’anno precedente, sia nel canale Horeca che su tutti i canali serviti”.
I DATI
“I consumi fuori casa in Italia aumentano rispetto allo scorso anno come registrato anche da altri istituti di ricerca (IRI e TRADE LAB) – ha aggiunto Enrico Zanoni, Direttore Generale di Cavit -. Si parla di circa 80 miliardi di Food&Beverage previsti per il 2017, distribuiti tra 290.000 punti di consumo in costante crescita grazie anche ad un’offerta di ristorazione che è molto cambiata diventando più smart, accessibile, dinamica. Con il vino che ha assunto un ruolo centrale nel momento del consumo premiando un aumento delle vendite. Certo l’onda positiva può stabilizzarsi e diventare strutturale se continueremo ad investire in qualità del prodotto e professionalità della proposta. E’ vera crescita, ma per mantenerla bisogna crederci e investire”.
“Desidero rivolgere un plauso all’Osservatorio del Vino che lavora per conoscere e diffondere i numeri dei consumi nel settore Horeca – ha sottolineato Emilio Pedron, Amministratore Delegato Bertani Domains, più cauto sui dati di ripresa. L’Horeca, è un settore fondamentale per il vino di qualità. Il calo del consumo del vino fuori casa ha origini lontane: dai controlli alla guida, allo stile alimentare e alla crisi economica. I dati che oggi dimostrano una ripresa dei consumi, possono essere visti come una sorta di rimbalzo tecnico legato alla ripresa degli ordini per esaurimento delle scorte più che per incremento dei consumi”. “Oggi – ha concluso Pedron – la sfida del produttore che vuole mantenere fidelizzato il cliente ristoratore, consiste nel cercare di offrire il prodotto adatto al relativo target di clientela, rispondere alle richieste in termini di consegna, favorire occasioni e modalità moderne di consumo”.
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VINO MONGIELLO PD PRONTA PROPOSTA DI LEGGE SU ENOTURISMO 1 1024x576 1
“Ho approntato una proposta di Legge sull’Enoturismo che faccia finalmente ordine, anche sul piano fiscale, su un settore agricolo sempre più fondamentale del nostro Paese. La mia proposta è ora aperta alle osservazioni di tutti, a partire da quelle del Movimento Turismo del Vino”. Lo ha detto, oggi al wine2wine di Veronafiere, la componente della Commissione Agricoltura della Camera, Colomba Mongiello. “Il testo – ha proseguito Mongiello – configura economicamente come nuova attività rurale l’ospitalità, l’accoglienza, le visite a cantine e vigneti e la somministrazione di prodotti non cucinati. Queste attività sono comprese nell’ambito delle attività agricole e costituiscono a tutti gli effetti reddito agrario. Si tratta – ha concluso – di una proposta che parte dal basso, che depositerò subito dopo un confronto con la filiera”.
La notizia è stata accolta con soddisfazione da parte del Movimento Turismo del Vino (Mtv) e del suo presidente, Carlo Pietrasanta: “Valuteremo il testo con attenzione nella consapevolezza che sia fondamentale ordinare un settore che, nonostante i suoi 2,5 miliardi di euro di fatturato e 13 milioni di arrivi in cantina, è sempre stato nei fatti spesso trascurato dalle istituzioni. Ringrazio Colomba Mongiello – ha proseguito il presidente di Mtv – che da tempo ha compreso l’importanza dell’enoturismo e soprattutto la necessità di regolamentare un comparto che fa bene all’agricoltura e al turismo”.
“L’enoturismo – ha detto al convegno il presidente di Unione Italiana Vini, Antonio Rallo – ha bisogno di un quadro normativo di riferimento specifico che offra all’impresa regole certe per operare, al consumatore la garanzia di un’offerta turistica di qualità, alle istituzioni strumenti di controllo. Vogliamo vedere valorizzato il nostro ruolo di ‘sentinelle del territorio’. Bene, quindi, la proposta Mongiello perché colma un vuoto legislativo e sviluppa il concetto di polifunzionalità dell’azienda vitivinicola. Costruiremo un’alleanza forte tra UIV e MTV per arrivare ad un testo unico dell’enoturismo che offra una risposta completa alle esigenze delle nostre imprese”.
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Frank e Cindy ti guardano stralunati. Pesci fuor d’acqua. Con in mano un calice di vino. Vuoto. “We’re looking for american Barbera. We love american Barbera. Where is it?”. Vaglielo a spiegare, alla coppia agée d’americani in tour a Barolo, che alla rassegna di Vignaioli Corsari in programma a Castello Falletti non figurano aziende a stelle e strisce. Tradotto: scordatevi la vostra Barbera. Glielo fai capire con le buone. Mentre il discorso vira, lento come i fumi dell’alcol, verso altri lidi: “We love Barbera, and we love Donald Trump. He’s a good person. Hillary Clinton is fake. Believe in us!”. Lo faremo. Ma da domani. Oggi, piuttosto, è il giorno dei bilanci per la rassegna di vini europei organizzata dall’Associazione culturale Giulia Falletti al Castello di Barolo. Affluenza a tre zeri che soddisfa i promotori dell’evento, con i sotterranei del maniero letteralmente presi d’assalto da un pubblico eterogeneo, tra cui figurano tanti giovani.
“Siamo molto contenti di vedere volti nuovi rispetto alla scorsa edizione – commenta Marta Rinaldi – con ottocento persone ai nostri banchi d’assaggio, tra le giornate di domenica 4 e lunedì 5 dicembre. I produttori sono sempre 30, ma quest’anno abbiamo avuto il piacere di ospitarne di nuovi, rappresentando zone d’Europa prima non considerate. Lo spirito è rimasto lo stesso: prima di tutto l’amicizia. E poi lo scambio di esperienze tra diversi produttori. Vini Corsari non è solo un festival per un pubblico amante dei vini artigianali, ma anche un’occasione per i vignaioli di incontrarsi e scambiare parecchio, tra di loro e con il territorio del Barolo”. Una zona volutamente non rappresentata ai banchi d’assaggio, che non hanno visto intervenire nessuno dei grandi interpreti locali delle uve Nebbiolo e Barbera. “Però – sottolinea ancora Marta Rinaldi – sono molti i produttori delle Langhe che hanno partecipato alle degustazione e alle cene con i loro colleghi europei”. Una quarta edizione che ha visto la collaborazione di “amici” portoghesi e francesi, al fianco dell’Associazione culturale Giulia Falletti. E un risultato, a conti fatti, davvero prezioso per l’accuratezza della selezione di produttori intervenuti. Tutti capaci di esprimere un livello qualitativo altissimo, attraverso le loro opere: i loro vini.
LA DEGUSTAZIONE Con fatica, noi di vinialsuper proviamo a identificare qualche vino ‘sopra le righe’ degustato alla quarta edizione di Vini Corsari. Tra gli italiani, una menzione speciale per i vini rossi va di diritto a Cristiana Galasso di Feudo D’Ugni. Memorabile il suo Montepulciano d’Abruzzo 2013 “Rudero”, ottenuto da vendemmia tardiva. Vino rosso da tavola, di quelli che si scordano i Consorzi delle Doc. Troppo bello per essere vero il frutto rosso che si materializza al naso, sotto forma di sublime confettura. Una concentrazione e una carica gusto olfattiva di rara bellezza, per un vino capace di accompagnare piatti della tradizione abruzzese, tanto quanto non sfigurerebbe in un ristorante stellato di qualsiasi capitale del mondo.
Ma Cristiana Galasso di professione fa la “vignaiola fiammiferaia”. E se le fai i complimenti, arrossisce. Del Montepulciano d’Abruzzo 2013 ne ha prodotte solo 300 bottiglie. In ognuna deve averci lasciato un pezzo del cuore umile sfoggiato a Barolo. Bottiglia dal valore inestimabile. Da amare, sorso dopo sorso. Così come splendido è il Cerasuolo da uve Montepulciano rimaste poche ore a contatto con le bucce e vinificato in cemento e acciaio. Imbottigliamento dopo 15 mesi, con un pizzico di solforosa.
Un rosato indimenticabile, per struttura e intensità. Capace, al contempo, di assicurare la beva leggera, estiva, caratteristica delle vinificazioni in bianco. Tra gli altri rossi a Barolo, una menzione speciale va all’intera elegante produzione della Tenuta di Valgiano, Lucca, che con Moreno Petrini ha portato in degustazione gli ottimi “Tenuta di Valgiano Rosso” 2013 e 2011 e, soprattutto, “Palistorti” 2012.
Dall’altra parte della sala degustazioni allestita a Castello Falletti, ecco il nostro eroe dei vini bianchi italiani presenti in rassegna. E’ Patrick Uccelli di Tenuta Dornach, Salorno (Bolzano), Alto Adige. Uno capace di mettere il punto sul Gewurztraminer con il suo “G.”, vendemmia 2015. Nel senso che ti manda a capo, tanto è in grado di spiazzarti in un gioco quasi diabolico tra un naso più che convenzionale (ma curioso) dominato dal litchi e un palato dirompente, persistente, di sorprendente tannicità verde. Quel colore rosato, dovuto al contatto di un mese con le bucce dello splendido uvaggio autoctono altoatesino, non poteva che portare a tale conclusione. Ma te ne rendi conto troppo tardi. Proprio per colpa di quell’olfatto così convenzionale. Poi la bocca ti frega. E sono pernacchie che ti ricorderai a lungo.
Tre ettari e mezzo che nel 2017 diventeranno 4,5, per Tenuta Dornach. E una filosofia spiegata con chiarezza dal quell’eterno Peter Pan che sembra essere il 42enne Patrick Uccelli, vignaiolo giocoliere. “Io e la mia famiglia produciamo tutto in biodinamico dal 2009 e speriamo che un giorno tutto il mondo del vino operi in questo regime. Ma il cambiamento è assurdo pensarlo in tempo reale. Sarebbe arrogante. Ci vuole pazienza, è inutile forzare le tappe”.
A pari merito con Dornach, impossibile, tra i vini bianchi italiani, non citare l’intera produzione de La Castellada di Giorgio e Nicolò Bensa, realtà che opera in Friuli Venezia Giulia. Più esattamente a Oslavia, Gorizia. Tutti vini importanti, da aspettare, quelli presenti al banco degustazione corsaro. Il Collio Doc 2010 Bianco della Castellada è sublime. Ottenuto da un 50% Pinot Grigio, un 30% Chardonnay e un 20% Sauvignon da vigne di età compresa tra i 20 e 50 anni, pare una caramellina al palato. Per poi accendersi d’improvviso, come il fuoco su un terreno impregnato di benzina, svelandosi caldo, strutturato, poderoso. E dotato di un finale senza fine. Il Pinot Grigio, come spiega al banco di degustazione il preparatissimo Stefano Bensa, viene colto e subito pressato. Il mosto viene fatto dunque fermentare in barrique, con lieviti indigeni. Chardonnay e Sauvignon fermentano a contatto con le bucce per 4 giorni.
Poi vengono travasati in barrique per completare la fermentazione. Seguono 11 mesi in barrique e 12 mesi in vasca d’acciaio inox di affinamento, più ulteriori 12 mesi in bottiglia, senza filtrazione. Sontuoso il Collio Doc Bianco Riserva 2006 “Vrh”: un blend ottenuto al 75% da Chardonnay, cui viene sommato un 25% Sauvignon di vigne di 45 anni di marna Eocenica. I grappoli vengono diraspati e il pigiato posto a fermentare in tini aperti di rovere di Slavonia, per 2 mesi. Fermentazione alcoolica e malolattica a contatto con le bucce. Seguono 36 mesi in botte grande di rovere di Slavonia, 12 mesi in vasca d’acciaio inox. In bottiglia senza filtrazione, esprime un 14,5% di alcol in volume. Dieci ettari di vigneto per La Castellada nel goriziano, per un totale di 25-30 mila bottiglie prodotte annualmente. Azienda tutta da scoprire e da amare al primo sorso.
Rimaniamo in Italia per segnalare altri due bianchi coraggiosi. Il Liguria di Levante Igt “Poggi Alti” 2015 dell’Azienda Agricola Santa Caterina di Sarzana è un vino di grande prospettiva, capace di far tornare alla mente i grandi bianchi liguri di quel genio anarchico di Fausto De Andreis, one man company di Rocche del Gatto. “Fermentazione in tini aperti d’acciaio e maturazione in gres”, spiega Andrea Kihlgren, che così mira a preservare e valorizzare i varietali del Vermentino. “Facevo altro nella vita – continua il vignaiolo dal cognome svedese, tramandato dal padre – ma quando ho deciso di dedicarmi a tutto tondo al vino ho capito subito che una via ‘tiepida’ non faceva per me. Questo è un lavoro che bisogna sentire dentro e che fa fatto con coscienza, oppure bisognerebbe fare altro”. Un degno compagno di De Andreis, insomma. Dentro e fuori dal calice. Ad accomunarli, ovviamente, anche i problemi con il Consorzio per il riconoscimento di una Denominazione d’origine controllata a cui, entrambi, hanno ormai rinunciato su parte della produzione.
Merita un plauso, infine, il coraggio di Les Petits Riens di Regione Chabloz, Aosta, piccola realtà a metà tra Morgex e Saint Vincent. L’unica ad allevare, nell’intera Valle d’Aosta, l’Erbaluce di Caluso. Nasce così Petit Bout De Lun 2014, un bianco curioso, la cui vinificazione avviene all’80% in acciaio e al 20% in barrique, dove resterà a maturare 15 mesi, prima dell’imbottigliamento. Un vitigno, l’Erbaluce, scelto per conferire acidità a uno Chardonnay altrimenti stanco. Altra curiosità: i vini de Les Petits Riens sono tutti turati con il sughero, ricoperto da cera d’api. Un altro modo per sottolineare il profondo legame del vino con il territorio d’origine.
Tra le bollicine presenti a Vini Corsari 2016, non poteva che spuntarla il sontuoso Franciacorta Docg Pas Dosé 2011 “Il Contestatore” dell’Azienda Agricola Il Pendio di Michele Loda (Monticelli Brusati, Brescia). Un Metodo Classico ottenuto in purezza da uve Chardonnay, provenienti dai gradoni più alti della vigna. Capace di surclassare l’unica maison di Champagne presente ai banchi di degustazione, La Closerie, con il solo “Le Beguines” (prezzo tra gli 80 e i 90 euro) a discostarsi da una produzione fin troppo piaciona e commerciale, fondata sul Pinot Meunier.
GLI STRANIERI C’è una cantina che più delle altre ha saputo convincere tra i Corsari 2016. L’avreste mai immaginato? Proviene dalla Svizzera. Più esattamente dal Vallese. Quel Valais che, in estate, vi abbiamo raccontato in lungo e in largo (vedi qui). Dimenticandoci, però, di uno come Olivier Pittet di Fully (d’altronde, con centosessantadue vini degustati in diciotto differenti cantine, poste su un percorso di circa 250 chilometri, siamo sicuri potrete perdonarci). Il Fendant 2014 di Pittet è divino. Si scosta dalla semplicità intrinseca del vitigno Chasselas, per assumere al naso sentori complessi, che segnano tutta l’esperienza olfattiva con Pittet: quelli vegetali, erbacei, in bilico tra l’erba fresca e il fieno, tra i fiori e le aromatiche alpine, sino alla camomilla secca.
Note che nel Petit Arvine 2014 diventano quasi piccanti, con il peperone giallo a verde a spuntare nel mucchio composto di sentori delicati. Una caratteristica che, qui, ritroveremo anche in bocca. Chimere 2014 è il più gastronomico dei vini di Olivier Pittet, quello di più facile abbinamento in cucina. A.R.H. 2014 è invece il sorprendente blend tra Petite Arvine (50%) e un clone sconosciuto derivante da un incrocio di quattro vitigni, tra cui l’autoctono Rèze (Resi) e l’Humagne Blanc: un vino dal residuo zuccherino elevato (12 g/l).
Per completezza e qualità nella produzione non può essere dimenticato anche Aleks Klinec, vignaiolo bio del Collio sloveno, impiantato a Medana. Il fil rouge che lega i vini è quello di una consistente sapidità, quasi croccante, da mordere. Ma a convincere più di tutti – per presente e prospettive future – è Jakot 2012, ottenuto da fermentazione spontanea con quattro giorni di contatto con le bucce delle omonime uve, dimenticate per 3 anni in botti di acacia. Tipico colore aranciato e grande intensità e finezza olfattiva, che richiama fiori e frutta esotica matura. Un naso suadente, che al palato rompe gli indugi sfoderando muscoli d’acciaio: di alcolicità calda, almeno al percepito, controbilanciata alla perfezione da una freschezza e da una sapidità invidiabili. Vino che stupisce, appunto, per il suo grande equilibrio.
Ottima anche la Malvazia Istriana 2012 di Klinec, più profonda al palato rispetto a Jakot, per la presenza di un’acidità ancora più spinta e un tannino astringente. In Gardelin 2012 è ancora più marcata la vena sapida, evidentemente per l’assenza dei tannini in un uvaggio come il Pinot Grigio. La Ribolla 2012 (14 giorni di macerazione e 3 anni in botte per estrarre al meglio le proprietà di un’uva dalla buccia spessa come l’orgoglio del popolo sloveno) è un altro luminoso esempio della grandezza dei vini della vicina Slovenia. Infine, ma non ultima, la Riserva 2006 Klinec con base Verduzzo Friulano, in blend con Ribolla, Malvasia e Tocai. Un Barolo bianco, potremmo azzardare. Estratto secco che pesa come un macigno, sulla lingua. E 14,9% di alcol in volume a completare il quadro. Chapeau.
Segnaliamo, tra gli altri, anche la cantina portoghese Encosta da Quinta, 80 chilometri a nord di Lisbona. Vino di facile beva ma di cui non ci si dimentica affatto il bianco Humus 2015, proposto in degustazione dal timido Rodrigo Filipe. Un blend ottenuto dai vitigni autoctoni del Portogallo Arinto e Fernao Pires. A chiudere la rassegna dei migliori vini degustati tra i Corsari 2016 anche lo Chardonnay du Hasard, Vin de Voile di Domaine Labet, Jura, Francia. Un bianco unico, in cui alle note ossidative fanno da contraltare sorprendenti note fruttate fresche. Spazio anche per un vino a prezzi pazzi: il blend di Trebbiano e Trebbiano di Spagna di Vittorio Graziano (Castelvetro di Modena): 13 euro per un’esperienza sensoriale giocata sul filo sottile dell’equilibrio tra le note macerative e quelle fruttate mature.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Monferrato Rosso Doc 2015 Bicocca La Bollina scaled
Siamo nuovamente in Piemonte, in provincia di Alessandria con il vino oggi sotto la nostra lente di ingrandimento. Più precisamente ci troviamo nella zona del Monferrato con un omonimo “Monferrato Doc” versione rosso. Un vino fermo, secco prodotto dal vitigno Barbera che si presenta nel calice rosso rubino carico con riflessi violacei, limpido e poco trasparente. Al naso, del Monferrato Rosso Doc 2015 Bicocca, prodotto da La Bollina, emergono subito note fruttate gradevoli di mora e piccoli frutti rossi delicatamente speziate da note di vaniglia e liquirizia.
Al palato è caldo, morbido, di gusto pieno e sufficientemente lungo dal punto di vista della persistenza aromatica. Un buon rapporto qualità prezzo sullo scaffale del supermercato per un prodotto comunque semplice e di pronta beva. Il Monferrato Rosso Doc 2015 Bicocca La Bollina è adatto alla tavola di tutti i giorni. Il suo sapore è democratico ed abbinabile a tutto pasto dal classico antipasto all’italiana, alle carni rosse crude o in preparazioni semplici fino a formaggi semi stagionati. A proposito di antipasto all’italiana spesso costituito da sottaceti insieme ai classici salumi, sapete che i sottaceti ed il vino non vanno d’accordo? Attenzione dunque agli abbinamenti. Il Monferrato Rosso Doc 2015 Bicocca ha un titolo alcolometrico di 14% di alcol in volume. Va servito alla temperatura di 16-18 gradi.
LA VINIFICAZIONE Prodotto da uve barbera. La vinificazione avviene con macerazione pre-fermentativa a freddo e conseguente fermentazione a basse temperature in vasche di acciaio a temperatura e ossigenazione controllata al quale segue un affinamento di 3 mesi in barriques di 3 mesi in acciaio. La Tenuta La Bollina si trova all’interno dello storico comprensorio territoriale dedicato alla produzione del Gavi DOCG e si estende per 120 ettari in un paesaggio fatto di dolci declivi, selezionate vigne e boschi di castagno.
Sono circa 30 gli ettari vitati cui si affianca un’attrezzata e moderna cantina di produzione. Recentemente premiati con la Medaglia d’Oro Mundus Vini 2016 per il loro Gavi Docg “Ventola” 2014 e con la Medaglia d’Argento per il loro Monferrato Rosso Doc “La Bricchetta” 2014. Al Concours Mondial du Bruxelles è stato invece il Monferrato Bianco Doc “Armason” 2015 a fregiarsi del prestigioso riconoscimento internazionale.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
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E alla fine dei conti, quello che ti fa più incazzare, è che gliel’hanno proposto in abbinamento a una frittura di paranza. Eppure, la controetichetta parla chiaro. “Questo vino dolce e leggendario dell’Oltrepò Pavese ha un ruolo chiave nei pranzi festivi della tradizione in Lombardia, ove la sua vivacità conferisce importanza al fine pasto. Un vino che trova il suo adatto abbinamento (…) con dolci quali crostate, pasta di mandorle e sfogliatine”. Sfogliatine? Sfogliatine, sì. Quelle campane? Forse. Sembra un’etichetta studiata ad hoc. Ma lo avete capito? Parliamo del Sangue di Giuda. Il vino dolce dell’Oltrepò Pavese.
Sono le 23.30 di sabato quando un lettore di vinialsuper ci contatta attraverso la nostra pagina Facebook. E’ al ristorante. A Salerno, dove vive. Gli hanno appena proposto un vino che non conosce, in abbinamento alla frittura di pesce che ha ordinato al cameriere. E’ un vino rosso. Qualcosa non torna. La domanda che ci rivolge è perentoria. “Non è che gli devo fare un assegno? Rispondente, prima che arriva il conto”.
Allega al messaggio la foto della bottiglia. Panico. Si tratta del Sangue di Giuda Doc “Il Pozzo”, vino frizzante dolce. Vendemmia 2015. Ammettiamo l’ignoranza. Non lo conosciamo. Il nome di fantasia non ci dice nulla. Chiediamo una foto dell’etichetta posteriore. Che arriva, di lì a qualche minuto. E’ tutto chiaro. L’azienda indicata è Enoitalia, gigante imbottigliatore di Bardolino, Verona, che serve i supermercati Lidl. Quelli, per intenderci, del Montepulciano Biologico Passo dell’Orso decantato da Luca Maroni. Boom. Questa bottiglia costerà 6 euro al lettore. Un ricarico notevole, quello del ristoratore salernitano, rispetto alle potenzialità della bottiglia.
E’ la legge dei grandi numeri. Quelli che in Italia vincono sempre, a prescindere dal valore che rappresentano realmente. Basti calcolare che una delle aziende leader del Sangue di Giuda, in Oltrepò, fissa il prezzo del proprio “base” – comprensivo di trasporto, ma con pagamento anticipato – a 4,30 euro a bottiglia. E a 6.90 euro per il “cru”. Troppo? Fin troppo poco, assicuriamo noi che quei due Sangue di Giuda (il base e il cru) li conosciamo bene. E allora vada per il Sangue di Giuda di Enoitalia. Pure al ristorante. Con la paranza. Ma si sappia: l’Oltrepò pavese è un’altra cosa. Quando imparerà a promuoversi a dovere in Italia? Ai posteri l’ardua sentenza.
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Puglia Cantine Aperte 2016 con il bus del Movimento Turismo del Vino
Focus sulla regolamentazione del turismo del vino al wine2wine con il convegno MTV, “Enoturismo: una legge per mettere ordine”, in programma a Veronafiere il 6 dicembre alle ore 16.30. A fare il punto sul tema, alla luce dell’approvazione definitiva del Testo Unico del Vino, il presidente del Movimento Turismo del Vino Italia, Carlo Pietrasanta, l’onorevole ColombaMongiello, il presidente dell’Unione Italiana Vini, Antonio Rallo e il responsabile delle relazioni istituzionali del Movimento Turismo del Vino Italia, Maurizio Pescari.
“Con il Testo Unico del Vino – ha detto il presidente del Movimento Turismo del Vino Italia, Carlo Pietrasanta – il concetto di enoturismo ha ottenuto un riconoscimento che però non è sufficiente sul piano fiscale. Questa norma taglia-burocrazia, infatti, da una parte rappresenta un passo avanti per il settore, dall’altra non fornisce una risposta esaustiva per un fenomeno che, con i suoi 2,5 miliardi di euro di fatturato e 13 milioni di arrivi in cantina, riveste un ruolo chiave per l’economia italiana e il turismo made in Italy. Ora è più che mai urgente lavorare ad un Testo unico dell’Enoturismo”.
Pietrasanta si era già espresso duramente in merito allo “stallo” dell’enoturismo italiano. “L”enoturismo è tricolore, lo si può dire con certezza. Ma è un tricolore francese, non certo il nostro”, tuonava il presidente nazionale del Movimento Turismo del Vino a commento delle importanti iniziative intraprese in Francia in favore dell’enoturismo. Dichiarazioni che risalgono al giugno scorso. A pochi giorni dall’inaugurazione di fine maggio, a Bordeaux, de La Cité du vin, “La città del vino” francese.
“Il turismo del vino rappresenta un asset strategico per lo sviluppo della nostra vitivinicoltura – ha osservato Antonio Rallo, presidente di Unione Italiana Vini – che oggi ha bisogno di un nuovo quadro di riferimento normativo in grado di supportarne lo sviluppo con regole adeguate. Dopo il grande lavoro portato avanti con successo sul Testo Unico del Vino sono convinto che abbiamo costruito tutte le premesse di carattere politico e istituzionale per favorire un percorso più snello per la condivisione di una normativa dedicata al turismo del vino, oggi richiesta da tutte le nostre imprese”.
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A tutta torba Spirit of Scotland Rome Whisky Festival 1
Si tiene a Roma, presso il Chorus Cafè (via della Conciliazione, 4), a partire dalle ore 15:00 fino a mezzanotte, ‘A Tutta Torba!‘, una giornata intera dedicata interamente ai whisky torbati, con centinaia di etichette, bottiglie fuori dal comune, per tutti i palati. L’evento, organizzato dalla direzione artistica di Spirit of Scotland – Rome Whisky Festival, il più importante festival di settore italiano – la cui sesta edizione si terrà il 4 e 5 marzo 2017, nella consueta location del Salone delle Fontane all’Eur – è a ingresso gratuito, previa registrazione sul sito www.spiritofscotland.it.
Grande risalto sarà dato all’Ardbeg Cocktail Bar, gestito dal ‘padrone di casa’ del Chorus Cafè, Massimo D’Addezio e dal suo staff. Spazio anche al cibo, con piatti tipici della cucina scozzese da abbinare ai propri torbati preferiti e in collaborazione con lo shop Whisky & Co, sarà possibile acquistare numerose bottiglie presenti.
“Per noi – sottolineano i direttori artistici di Spirit of Scotland – Whisky è sinonimo di Passione. Torbosi o torbati, in qualsiasi modo li si voglia chiamare, è innegabile che questi whisky riscuotono sempre un grande successo. La torba è presente in tutto il pianeta eppure, anche solo rimanendo in Scozia, c’è torba e… torba! Per questa ragione abbiamo pensato di creare un evento per tutti gli appassionati di questa categoria di aromi, proponendo, in una manifestazione di una sola giornata, le molteplici e variegate espressioni possibili”.
I DETTAGLI
Spirit of Scotland – Rome Whisky Festival riunisce le migliori aziende nazionali e internazionali in un evento che promuove la valorizzazione e la diffusione della cultura del whisky di malto attraverso un approccio basato sul’’interazione tra business, formazione ed entertainment. Il Festival si presenta come una delle più importanti manifestazioni italiane del settore. Un vero e proprio brand che sostiene e promuove il whisky; un marchio di qualità che ne favorisce la divulgazione in un sistema volto a sostenere l’interazione tra i principali attori del settore. Spirit of Scotland – Rome Whisky Festival è un imperdibile appuntamento per tutti coloro che vivono il mondo del whisky. Ricco di eventi, degustazioni libere, masterclasses, seminari sulla mixology, incontri affidati ad esperti del settore con l’obiettivo di creare appuntamenti ad alto contenuto di “single malt”.
Ardbeg è noto per essere The Ultimate Islay Single Malt Whisky. Fondato nel 1815, Ardbeg è venerato dagli intenditori di tutto il mondo come il Single Malt più torbato, affumicato e complesso di Islay. Nonostante questo suo carattere distintivo, Ardbeg è allo stesso tempo rinomato per la sua deliziosa dolcezza, un fenomeno che è affettuosamente conosciuto come ‘the peaty paradox’.
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Nero di Troia Grifo Cantina Cooperativa della Riforma Fondiaria di Ruvo di Puglia e1480754991680 scaled
(3 / 5) l Nero di Troia è il vitigno a bacca nera principale del centro-nord pugliese, capace di dare vini strutturati e molto longevi. Il produttore Grifo, la Cantina Cooperativa della Riforma Fondiaria di Ruvo di Puglia, in provincia di Bari, propone nei supermercati la vendemmia 2014 con denominazione Puglia Igp.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice il vino si presenta rosso rubino con riflessi porpora che denotano gioventù. Al naso si riconoscono note avvolgenti di ciliegia e lampone maturo, violetta, pepe rosa, timo e sullo sfondo sentori tipici dell’affidamento in legno.
In bocca però non rispecchia le aspettative create precedentemente. Il corpo non è del tutto pieno, il tannino è già evoluto e non molto presente, la persistenza è un po’ corta. Bottiglia che ha già raggiunto il suo equilibrio: fatto di per sé piacevole, ma deludente vista la sua giovane età.
Da prendere in considerazione se si cerca un vino immediato e non troppo impegnativo. Da degustare ad una temperatura di 16° gradi e da abbinare a un primo con ragù di carne.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto da una selezione di uve Nero di Troia in purezza coltivate a Ruvo di Puglia, su terreni marnosi-argillosi a 400 metri sul livello del mare. La vendemmia è svolta manualmente e, dopo la vinificazione, il vino affina in botti di rovere per alcuni mesi.
La Cantina Cooperativa della Riforma Fondiaria di Ruvo di Puglia è nata nel 1960 e vanta ben 1020 soci conferitori, concentrati sulla “valorizzazione di vitigni autoctoni come il Nero di Troia, il Bombino Bianco, il Bombino Nero, il Moscatello Selvatico e il Pampanuto”.
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Difficili. Aristocratici. Semplici. Contadini. Cinque calici. Numero dispari. Dentro, solo Gaglioppo. E’ una “verticale obliqua”. Black out. Come d’improvviso, il Mercato dei Vini Fivi sembra assumere le forme di una delle opere di Escher. Un labirinto. Prima mentale, visivo. Poi, gusto olfattivo. Tutto sembra studiato per confondere, a quel festival dell’ossimoro che è stata la degustazione con il produttore Francesco De Franco di ‘A Vita – Vignaioli a Cirò.
Specie se quei vini li hai appena degustati – fuori temperatura – al banchetto dell’azienda produttrice. E non t’hanno fatto una buona impressione, lontano dall’ambiente ovattato della Sala degustazioni dei padiglioni fieristici di Piacenza.
L’ultimo dei quattro “appuntamenti con il vignaiolo” sul calendario degli organizzatori, tra sabato 26 e domenica 27 novembre. Qui, il vino viene servito a gradazione perfetta. E fa il suo: sconvolge. In positivo. Per armonica contrapposizione di note stonate. Per quella capacità di mettere d’accordo tutti. Mostrando con semplicità mille sfaccettature diverse. Ma nello stesso quadro.
LA DEGUSTAZIONE
Calabria Igp Rosato 2015, Cirò Doc Rosso Classico 2012, Cirò Doc Rosso Classico Superiore 2013, Cirò Doc Riserva 2008 (Magnum), Cirò DOC Riserva 2010 (Magnum). Questa la batteria, raccontata da Francesco De Franco assieme all’amico e collega campano Bruno De Conciliis. Il vignaiolo di Prignano Cilento, Salerno, ricorre alla musica per descrivere il Gaglioppo di De Franco. E fa benissimo. Perché quelle di ‘A Vita non sono “etichette”. Sono spartiti. Riproduzioni fedeli dell’incoscienza. Dell’autore. E di Madre Natura.
Due elementi, uomo e terra, sembrano incontrarsi nei calici che assumono le fatture d’un girone dantesco. Al primo sguardo. Alla prima olfazione. Al primo sorso. Si finisce sempre più risucchiati verso l’ignoto. “Cerco di raccontare un territorio sconosciuto e le potenzialità del Gaglioppo”, dice al tavolo dei relatori un timido Francesco De Franco, quasi nascondendosi dietro all’asta bassa e stretta del microfono. Annuisce, facendosi ancora più piccolo, mentre il collega De Conciliis ne decanta l’opera. Non è un animale da palco, De Franco. Ma da campagna, sì.
IL RITRATTO
Basta sentirlo mentre parla della sua terra. La Calabria. Mentre racconta di quelle “vigne fronte mare”, a 300 metri dalla riva, sembra di sentire lo scrosciare delle onde dello Ionio sui muri freddi dei padiglioni Expo Piacenza. Chiudi gli occhi, mentre parla di quella “stretta pianura con i mari sui due lati, di terra d’argilla e calcare”. Anche perché, mentre De Franco illumina del sole calabrese la Sala degustazioni, in bocca ci sono i suoi vini. Iodio allo stato puro. Vini tesi, tra l’asprezza dei paesaggi disegnati a parole. E la viscosità marina, simile a quella dell’olio d’oliva. Tannini e frutta a bacca rossa si giocano le parti in grassetto sullo spartito, in ognuno dei cinque vini di ‘A Vita in batteria. E così, il Rosato 2015 pare “un piccolo, giovane guerriero” dai muscoli d’acciaio. Destinato a conquistare il mondo.
Nel 2013 le note di china e rabarbaro sono evidenti. Drogano l’olfatto. T’incollano il naso al calice. Il 2012 è pura follia. “Un vino che non vederò mai”, ammette d’aver pensato il viticoltore mentre lo imbottigliava. Poi, un’evoluzione inattesa in bottiglia. Che, oggi, porta le note grevi a farsi (relativamente) più morbide. Come la china, che si tramuta in zenzero. E’ la storia, in sintesi, di tutta una produzione. Il primo anno (vedi Rosato 2015) il tannino sembra costituire un elemento a sé nei vini di ‘A Vita. “Io li chiamo ‘vini del sorriso'”, ammette. Vini disturbanti, che al posto di dissetare, asciugano. Tolgono linfa vitale al succo. Ma dal secondo anno in poi, mineralità e acidità tornano a prevalere, a conti fatti. Bagnando e rinfrescando un tannino da elisir di lunga vita.
Un continuo rimando a leggerezza e pesantezza. Vini musicali, appunto. Da sincope. Come il 2008. Quello che assume le tinte più profonde. Grevi, al naso: rabarbaro (ancora lui), ma anche liquirizia e cuoio. Macerazione sulle bucce lunga 20 giorni e successivo affinamento in legno nuovo non tradiscono. Alcol attenuato da un’annata non caldissima, tannini pure. E’ il vino di più “facile” beva di ‘A Vita. Quello che esprime note quasi “dolci” al palato. Un Cirò Riserva aperto a note minerali, fresche. Deliziose. Così come appagante è la freschezza vegetale del Cirò Riserva 2010. Tutto giocato su frutta rossa, timo e mirto.
Il bello è che De Franco fa sembrare tutto semplice. Come lui. Come l’incedere di un quattro quarti su un metronomo appena tarato. “Non cerco nessun tecnicismo – spiega – piuttosto il mio obiettivo è quello di raccontare il Gaglioppo e Cirò, con le caratteristiche che assume di annata in annata, a fronte delle condizioni climatiche”. I vini di ‘A Vita sono vini fatti in casa. “Non ho rifermenti in zona o modelli da seguire – continua il vignaiolo Fivi – perché a Cirò ci sono grandi cantine o contadini che producono per sé e per le loro famiglie. Per questo sono libero di esprimere, semplicemente, quello che offre la terra”. “Mi piacerebbe che i miei vini fossero ricordati nel tempo perché raccontano la vera Cirò”. Grazie per il viaggio, Francesco De Franco.
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Trovarsi alla Terra Trema ogni anno è come passare una serata con gli amici lontani, con cui ti ritrovi raramente. Legno. Luci soffuse. Musica in sottofondo. Un buon bicchiere di vino. E chiacchiere. Tante chiacchiere. In particolar modo se, per te, è il sesto anno consecutivo. Ma siamo alla 12° edizione. La numero 10 al Leoncavallo di Milano. E si vede. Finalmente il bicchiere non è quello classico, da degustazione della festa del paese. E’ un calice!
Gli amici sono quelli di sempre, ma ogni anno conosci qualcuno di nuovo. Perché la manifestazione conta ben 90 produttori, in media, all’anno. Tutti Vignaioli, contadini, amanti della terra. Del suo profumo e del suo calore. Lo trasmettono. Anche solo da come ti parlano. Tutto attorno, un ambiente che li mette a loro agio. Come in campagna. Nulla di sfarzoso.
Niente distoglie il visitatore da quei faretti. Puntati solo su di loro. I protagonisti. Al fianco dei loro vini. Bisogna solo avvicinarsi e parlare. Non aspettano altro che raccontarti la loro passione. La loro fatica.
LA DEGUSTAZIONE
L’inizio è quello di sempre, con i vignaioli che poi si incontrano anche in cantina, durante l’anno. Si parte col Pecorino dell’Azienda Agricola Fiorano di Cossignano (AP), il Donna Orgilla 2015. Giallo paglierino con riflessi verdognoli, naso floreale ed erbaceo, caldo figlio di un’annata tosta. In bocca sapido e molto minerale. E’ capitato negli anni di degustare magnum con qualche anno sulle spalle. E questa vigna riesce col tempo a sfoderare evoluzioni Riesliniane.
Da lasciare a bocca aperta. Peccato che Paolo, co-titolare dell’azienda, non ne abbia portate in degustazione. Altro Pecorino di casa è il Giulia Ermina, con fermentazione in tonneaux francese e maturazione “sur lies” per 12 mesi, più 8 di affinamento in bottiglia. Una piccola chicca, per chi ama il sentore terziario appena percettibile del legno, sempre ben bilanciato da una buona acidità. Vero e proprio contraltare della freschezza di Donna Orgilla.
Nuova tappa ma ancora Pecorino. Stavolta Il Fiobbo di Vini Aurora ad Offida (AP). Questo è un gioiellino e basta. Perfetto, intrigante, complesso nei sentori gusto-olfattivi ma allo stesso tempo beverino. Anche qui riflessi verdognoli tipici del vitigno. Naso di mela verde, agrumi, fieno ed erbe aromatiche. Finale rinfrescante.
Facciamo un passo più a nord, sempre Marche. Stavolta quella del Verdicchio. Corrado Dottori di Cupramontana (AN). Azienda La Distesa, è in ritardo. Il banchetto è ancora vuoto. E allora ne approfittiamo per assaggiare i Verdicchio di La Marca di San Michele, che porta il Capovolto 2015 e il PassoLento 2014, in magnum. Capovolto 2015 è quello che non ti aspetti. Annata calda, siccitosa. Ma la vendemmia è stata anticipata di più di un mese, con inizio a fine agosto. E qui si trova la chiave di tutto. Qui non c’è macerazione e non c’è passaggio in legno.
Solo acciaio. E 8 mesi sulle fecce nobili. E’ un vino che esprime il varietale del Verdicchio. Da bere a secchi in estate. PassoLento 2014 è invece il fratello maggiore… inizia la fermentazione in acciaio poi passa in botti di rovere da 10 hl dove finisce la fermentazione e matura per 9 mesi sulle fecce fini. Poi attende altri 9 mesi in bottiglia. E’ molto più complesso e strutturato con un corpo caldo nonostante l’annata fresca, di 13% vol. Un vino che ancora deve evolvere.
Lasciamo le Marche e andiamo in Sicilia, regione rappresentata a La Terra Trema da ben 15 produttori. Nino Barraco e Marilena Barbera fanno da capofila. Barraco schiera una batteria di 10 e forse più vini in degustazione. Uno più buono dell’altro. Merita una nota particolare il rosso Milocca 2006 da vendemmia tardiva di Nero D’Avola. Una perla. Affinato in castagno da 205 litri per 24 mesi. C’e tutto: pepe, cacao, ciliegie, anice stellato. In bocca dolce e sapido, suadente. Tra i bianchi, non si può scegliere. Ognuno ha le proprie peculiarità. Il Catarratto, lo Zibibbo in secco, il Grillo. Sono tutti deliziosi. Acidità e sapidità la fanno da padrona, ma non coprono mai i varietali. Qui Nino Barraco ha trovato la giusta alchimia.
Da Marilena Barbera è facile perdere la testa. Per lei, per il suo amore per il proprio lavoro, per la sua terra. E per i suoi vini. Inzolia 2015 è quasi salmastro. E per Marilena questa è la chiave. Ammette infatti che il sale stimola le papille gustative e le rende più recettive ai sentori. Rendendo la beva molto più interessante e appagante. Ma da Marilena Barbera, quest’anno, c’è una sorpresa: l’Arèmi, blend con una piccola percentuale di Zibibbo. Vino imbottigliato quella stessa mattina, come racconta entusiasta la vignaiola, proprio per portarne un campione alla fiera. Niente vendita. Ma è facile immaginare che chiunque l’abbia assaggiato si sia appuntato il numero della cantina. Per ordinarne un bancale. Un vino che non puoi non amare: fresco, sapido, con quella nota aromatica dello Zibibbo di Menfi, nel sud più profondo.
Lasciamo Marilena Barbera ma rimaniamo in Sicilia. Per una scoperta. 2012 Etna Rosso – Eno-trio, Nerello Mascalese in purezza da vigne a piede franco in contrada Calderara. Versante nord-ovest dell’Etna. E’ amore a prima olfazione.
Età media delle piante: 80-90 anni. Rese da 600g/1kg per pianta. Siamo al top. Affinamento in tonneaux e barrique di secondo, terzo passaggio per 12-18 mesi, più altri 6 in bottiglia. Boom. Naso commovente, con frutto dolcissimo e speziato, ciliegia, china, noce moscata, carbone, fumo e questa dolcezza intossicante che fa pensare alle pesche mature.
Notevole, veramente notevole. Bocca (per fortuna) idem: il tannino morbido accarezza il palato, poi è dolce, setoso e lungo. Poi un Traminer Aromatico, da vigne a 1000m d’altezza sull’Etna. Anche qui siamo su rese bassissime, ma con densità di impianto leggermente superiore al Nerello. Vino elegante, aromatico, delicato. Con note floreali, fruttate e con sentori di spezie. Altra bel prodotto.
Risalendo lo stivale cadiamo nella tentazione di qualche bella bollicina. Di Lambrusco, però. Il vino giusto, per spezzare e preparare il palato ai rossi corposi. Denny Bini è un personaggio da amare. Un Emiliano Doc, di Reggio. La Rosa dei Venti lo puoi bere anche a colazione. Lambrusco varietà Grasparossa, rosato rifermentato in bottiglia. Macerazione di 2 ore senza controllo. Secco, leggermente amaro, con un accenno di tannino. Bellissimo. Ponente 270 Lambrusco dell’Emilia, “come lo si fa a Reggio”, ci racconta. Cinque giorni di macerazione, mischiando tutte le varietà di Lambrusco: Lambrusco Grasparossa, Malbo Gentile, Lambrusco Salamino, Lambrusco di Sorbara. Pieno, ma morbido. Libeccio 225, il suo Lambrusco, il Grasparossa. Qui siamo a 10 giorni di macerazione , il colore lo rivela. Rifermentato in bottiglia. Bel corpo e una bevibilità che non ti stanca mai. Un po’ come La Terra Trema. Imperdibile, l’anno prima. Come l’anno dopo.
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Medico per vocazione e sommelier per passione. Mi sono poi riscoperto medico per passione e sommelier per vocazione. Sostieni il nostro progetto editoriale con una donazione a questo link.
“Scandalo epocale in grande distribuzione: gli spumanti Ferrari in promozione a 10 euro”. Ogni anno, di questi tempi, i soloni del vino italiano si svegliano dal letargo. E pontificano. Postando tarantiniane fotografie di supermercati. Immagini crude, da censura. Che mostrano sanguinolente scene del crimine: gli eleganti “astucciati” della nota casa spumantistica trentina, in promozione. Che shock. Roba pulp. Per cuori forti. Scene da vietare ai minori.
Almeno quanto i commenti che seguono le immagini. Teatro dello scandalo sono i vari gruppi di discussione creati su quei moderni bar e osterie che solo gli “studiati” chiamano “social network”. “Sarà qualche bancale dimenticato in cantina, ossidato naturalmente”, sostiene baldo, il più intelligente. “Soprattutto in vista del Natale, se non se lo compra nessuno, mi sa che fanno prima ad abbassare la serranda”, ribatte un altro analista di microparticelle atomiche.
“Ferrari vale dalla Linea Maximum in su, quella è gassosa”, chiosa il milionario che fa colazione con i Tarallucci della Mulino Bianco (oggi senza olio di palma, se vi fosse sfuggito) pucciati nel Dom Pérignon, appena sciabolato. E così via. Per sfortuna loro, qualcuno prova a farli ragionare, anche in osteria. Pardon, sui social network. Ma chi, meglio di Massimiliano Capogrosso, Direttore commerciale di Ferrari Trento, può mettere i puntini sulle “i” sull’eno-cinepanettone che ogni anno, sotto Natale, va in onda sui social?
Veronese, quarantanove anni, una passione per il mondo vinicolo che ha segnato anche la sua carriera. Capogrosso proviene infatti da altre importanti realtà venete del settore, prima Valdo e poi Bertani. E’ approdato alle Cantine Ferrari dieci anni fa, per ricoprire il ruolo di Direttore vendite. Maturando col passare del tempo un’esperienza che, un anno fa, ha convinto la Famiglia Lunelli a nominarlo Direttore commerciale.
Dieci domande, dieci, quelle che gli rivolgiamo. Domande a cui Capogrosso risponde con dovizia di particolari. Dimostrando che per Ferrari – al contrario di molti altri “big” – la Gdo, è tutt’altro che un tabù.
1) Ferrari in Gdo: perché? Da quando? Ferrari è il brindisi italiano per eccellenza, da sempre celebra appuntamenti istituzionali, sportivi e culturali tra più importanti del nostro Paese, così come i momenti più belli della vita di molti italiani. Vogliamo dunque che possa essere acquistato sia nel canale moderno che in quello tradizionale. E’ sempre stato così e ancora oggi l’azienda si impegna per dare a entrambi i canali distributivi la stessa importanza.
2) La gestione del “prezzo promo”: viene concordato di anno in anno con le varie catene, oppure si tratta di un’attività che prescinde dai contratti, gestita autonomamente dalle insegne?
Il Ferrari è uno di quei prodotti immancabili sulle tavole degli italiani durante le ricorrenze e spesso, dunque, viene utilizzato come “prodotto civetta”. E’ una scelta autonoma di ogni catena, che decide di impostare la propria campagna promozionale come ritiene più giusto per la sua clientela, a cui, in questo modo, può offrire un prodotto di altissima qualità a un prezzo davvero vantaggioso.
3) I volumi di Ferrari in Gdo In Italia la nostra presenza si distribuisce in egual misura tra Gdo e Horeca. Si tratta di due mondi diversi, ma per noi ugualmente importanti, con logiche di vendita differenti tra loro.
4) In Gdo quale “tipologia” di prodotti Ferrari? Provocazione: quelli di “serie b”? La regola imprescindibile di Casa Ferrari è quella di produrre solo prodotti di eccellenza, pertanto non parlerei assolutamente di prodotto di serie A e serie B. Basti pensare che la nostra referenza più classica, il Ferrari Brut Trentodoc è stato nominato recentemente “Miglior Blanc des Blancs al Mondo” a una competizione internazionale, tra le più importanti al mondo, dedicata solo alle bollicine: The Champagne&Sparkling Wine World Championships.
5) Ma le critiche arrivano sempre, puntuali e monocordi Come ricordavo prima, Ferrari è un prodotto leader di mercato, che spesso dunque le catene della Grande Distribuzione utilizzano per attirare il consumatore. Sicuramente quello natalizio è il periodo più “sfruttato” per questo genere di promozioni, ma non possiamo che vedere queste operazioni come un indicatore dell’importanza del nostro marchio.
6) Ferrari intende proseguire il rapporto con la Gdo, intensificarlo/allentare la presa? La politica commerciale delle Cantine Ferrari sarà quella di continuare a seguire con attenzione e uguale dedizione sia il canale Gdo sia il canale Horeca, in quanto riteniamo che entrambi siano fondamentali per il successo del nostro Gruppo.
7) Il ruolo di Ferrari nel panorama delle “bollicine” italiane ed europee Ferrari è leader del mercato delle bollicine in Italia, con 4,5 milioni di bottiglie vendute all’anno e un incremento a doppia cifra dal 2015. All’estero continuiamo a crescere da anni e senza dubbio questo ultimo dato è indicatore anche dell’incredibile incremento della notorietà e dei volumi di vendita delle bollicine italiane nel mondo. Il Trentodoc, la prima Doc nata in Italia esclusivamente per il Metodo Classico, rappresenta il 35% della produzione nazionale di questa tipologia di bollicine e può vantare la propensione all’export più elevata, il 22% ( dati 2015 dell’Osservatorio Trentodoc). Ferrari è certamente trainante nell’accrescere a livello internazionale la conoscenza di queste straordinarie “bollicine di montagna”, che nascono più di un secolo fa proprio dall’intuizione di Giulio Ferrari.
8) Ferrari in Gdo anche con vini rossi fermi: una panoramica dei prodotti “collaterali” alle bollicine E’ un’importante conferma che stiamo percorrendo la strada giusta. È opportuna però in questo caso una precisazione: i vini fermi trentini, toscani e umbri, non sono Ferrari (marchio dedicato esclusivamente alle bollicine Trentodoc), ma vanno sotto il marchio collettivo Tenute Lunelli. Si tratta comunque di un numero ridotto di bottiglie, il cui canale di distribuzione preferenziale è quello delle enoteche e dei ristoranti d’eccellenza, anche se può capitare di trovare alcune referenze in GDO.
9) Se la sente di dare qualche consiglio all’Oltrepò Pavese, patria del Pinot Nero, che prova faticosamente ad affermarsi e a diventare “grande”?
L’Oltrepò Pavese non ha sicuramente bisogno dei miei consigli, è un territorio di eccellenza e patria di grandi vini, ha solo bisogno di esprimere al meglio la sua personalità. Ogni territorio vocato alla produzione di vino ha delle caratteristiche uniche e irripetibili e proprio su queste credo sia necessario puntare: è la varietà la vera bellezza del nostro Paese.
10) Cosa beve a tavola, tutti i giorni, il direttore commerciale di Ferrari? Acquista vino al supermercato Personalmente acquisto vini anche al supermercato, spesso mi capita di acquistare persino il Ferrari, quando non mi trovo a Trento. Per una cena tra amici amo portare il Ferrari Demi-Sec, la nostra bollicina più amabile e dalla marcata rotondità: il Trentodoc perfetto per esaltare il fine pasto, dal dolce alla frutta. (foto gallery Archivio Fotografico Cantine Ferrari)
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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La Valtellina è una rinomata terra di vini rossi fermi, prodotti principalmente da uve Nebbiolo (localmente chiamato Chiavennasca), a partire da quelli da tavola – non complessi – fino ai grandi Sforzati, vini strutturati e di grande qualità. Cercando attentamente ci si può imbattere in produzioni davvero interessanti. Come questo spumante Metodo Classico Brut Rosé millesimo 2010 (sboccatura 2016) prodotto dalla Casa Vinicola Aldo Rainoldi, da un 92% Nebbiolo, un 4% di Pignola e un 4% Rossola (queste ultime uve assolutamente autoctone della lombarda Valtellina).
Il vino mostra una veste rosa con tonalità ramate vivaci e con bollicine discretamente fini. Il naso ha un’ottima intensità, con piacevoli profumi agrumati soprattutto di arancia rossa, di fragoline di bosco, note floreali dolci di fiori di arancio, con i classici sentori di crosta di pane da Metodo Classico e un intrigante sfondo di erbe aromatiche.
In bocca spicca la freschezza gustativa e una bella sapidità, con buona struttura e una morbidezza presente che da equilibrio, invogliando ad altri assaggi. Ottima persistenza, con aromi coerenti ai sentori olfattivi, soprattutto quelli agrumati.
LA VINIFICAZIONE Lo spumante Brut Rosé Rainoldi è prodotto da uve coltivate nei comuni di Ponte in Valtellina e Teglio, in vigneti situati tra i 600 e 730 metri sul livello del mare, esposti a sud e con terreno sabbioso-limoso derivato da rocce granitiche sfaldate. La vendemmia viene effettuata nella seconda metà di ottobre. Per ottenere il colore rosato sopra descritto, viene effettuata una veloce macerazione delle uve a freddo, con successiva pressatura. Il vino base rimane per qualche mese in acciaio a maturare e viene poi imbottigliato con i lieviti, con la quale ha inizio la seconda fermentazione e il seguente affinamento che si protrae per almeno 36 mesi.
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A una settimana dalla raccolta degli ultimi grappoli in Lombardia e con una produzione regionale di 1,2 milioni di ettolitri nel 2016, arriva dopo due anni di iter parlamentare l’approvazione definitiva del Testo Unico sul vino. “Una legge attesa – commenta Ettore Prandini, Presidente Coldiretti Lombardia – che taglia del 50% il tempo dedicato alla burocrazia, comprese le 100 giornate di lavoro che oggi ogni impresa è costretta a impiegare per soddisfare le quattromila pagine di normativa che regolamentano il settore”.
Il Testo Unico porta alla semplificazione delle comunicazioni e degli adempimenti a carico dei produttori, alla revisione del sistema di certificazione e controllo dei vini a denominazione di origine ed indicazione geografica con un contenimento dei costi, alla revisione del sistema sanzionatorio, all’introduzione di sistemi di tracciabilità anche per i vini IGT e a norme per garantire la trasparenza sulle importazioni dall’estero.
Solo in Lombardia – spiega la Coldiretti regionale – la filiera dà lavoro a circa 30 mila persone, mentre si contano oltre tremila imprese vitivinicole, per un totale di più di 20mila ettari a vigneto dei quali 17.500 per produzioni di qualità Doc, Docg e Igt. Le province più vocate sono Pavia e Brescia, a seguire Mantova, Sondrio, Bergamo, Milano e Lodi (con le colline fra San Colombano e Graffignana), ma zone viticole con piccole produzioni si stanno sviluppando anche fra Como, Lecco e Varese.
A livello nazionale il fatturato del vino ha raggiunto il valore record di quasi 10 miliardi soprattutto grazie alle esportazioni che sono state di 5,4 miliardi nel 2015 e che risultano in ulteriore aumento del 3% nei primi otto mesi del 2016. Secondo uno studio della Coldiretti la raccolta di un grappolo alimenta opportunità di lavoro in ben 18 settori per un totale di 1,3 milioni di persone occupate. Sulla base delle previsioni dell’Organizzazione Mondiale della vite e del vino (OIV) l’Italia è il principale produttore mondiale di vino nel 2016 con 48,8 milioni di ettolitri, mentre al secondo posto si colloca la Francia con 41,9 milioni di ettolitri e la Spagna al terzo con 37,8 milioni di ettolitri.
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“A seguito di una verifica ispettiva delle autorità competenti, è stata accertata la contraffazione del prodotto da parte del fornitore. Auchan, figurando come parte lesa nella frode, ha attivato la procedura di immediato ritiro e richiamo del prodotto nei 3 punti vendita interessati (Padova, Mestre e Mazzano) a tutela della salute dei consumatori. Nel contempo, l’azienda ha sospeso il fornitore che ha consegnato il prodotto non conforme agli accordi commerciali e ha bloccato tutte le sue consegne previste”. Questo il commento di Auchan in merito all’Amarone della Valpolicella contraffatto, sequestrato dal Corpo Forestale la scorsa settimana, in occasione del Black Friday. Su vinialsupermercato.it tutti i dettagli
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Ideati da Veronafiere nascono gli EVOO Days, forum per la formazione e il networking della filiera dell’olio extravergine di oliva di qualità. La prima edizione è in programma il 20 e 21 febbraio 2017 a Verona durante Sol d’Oro Emisfero Nord (www.solagrifood.com), il più autorevole concorso oleario internazionale. E il Movimento del Turismo del Vino allarga il proprio raggio d’azione all’olio. Lancerà infatti ufficialmente il Movimento Turismo dell’Olio, in occasione dell’iniziativa “ABC OLIO – Impariamo a conoscere gli extravergine di Puglia”, che si svolgerà in Puglia, alla Masseria Torre Coccaro (BR), il prossimo 11 dicembre.
Così l’olio italiano, si appresta a fare tendenza. “Gli Evoo Days sono il nostro contributo alla celebrazione in Italia della Giornata Mondiale dell’Olio di Oliva promossa dal Coi, Consiglio Oleicolo Internazionale – afferma Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere – un’iniziativa che completa il progetto perseguito con Sol d’Oro, che è quello di premiare le migliori produzioni oleicole internazionali offrendo nel contempo ai produttori di tutto il mondo un momento di confronto per progredire nella qualità”.
Tre i focus degli EVOO Days, che vedranno la partecipazione anche di relatori esteri: il miglioramento dell’oliveto e della qualità dell’olio nazionale, con seminari per approfondire le tecniche che permettono di passare da un’olivicoltura tradizionale a una intensiva utilizzando gli impianti già esistenti; l’export, con workshop su Usa, Giappone e Taiwan; il marketing, per vendere e comunicare meglio il prodotto, partendo dall’ideazione del packaging fino all’utilizzo dei social, passando per una efficace partecipazione alle fiere.
IL NUOVO MOVIMENTO
Con l’esperienza maturata nel vino e nei suoi territori, ora il Movimento Turismo del Vino pensa all’olio. L’associazione che ha segnato la svolta introducendo il valore di enoturismo, culminato con lo straordinario successo di Cantine Aperte, lancerà infatti ufficialmente il Movimento Turismo dell’Olio. “Quelli della vite e dell’olivo sono i colori del nostro territorio – spiega la vicepresidente di MTV Italia, Serenella Moroder, che presenterà il progetto alla Masseria Torre Coccaro, il prossimo 11 dicembre – ed è innegabile il valore ambientale, di tutela del paesaggio e di risorsa turistica che rappresentano soprattutto in territori straordinari. Come Movimento, il nostro sguardo all’olio è un passo inevitabile nel progetto di sviluppo legato sia alla qualità delle produzioni che al concetto fondamentale di cultura dell’accoglienza. Partiamo dalla Puglia, basta osservare questa regione per capire il perché”.
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E’ il “Cru” di Casa Testa, il vino più “esclusivo”. Quello nato da vigneti che godono della migliore esposizione. Parliamo del Gutturnio Superiore Doc la Gobba, prodotto e imbottigliato all’origine dalla Casa Vinicola Cav. Italo Testa Snc di Castell’Arquato, in provincia Piacenza. Abituati dai supermercati – specie nel Nord Italia – a vini Gutturnio mossi, spesso venduti a prezzi risicati che ne denotano la scarsissima qualità, il passaggio a un Gutturnio Superiore, senza “effervescenza”, può costituire un’esperienza unica per i winelovers meno esperti. Una sorta di scoperta delle potenzialità di uvaggi spesso bistrattati, per logiche di commercio, come Croatina e Barbera. Chiariamo, innanzitutto, che al contrario dei “cugini effervescenti”, il Gutturnio Superiore Doc si presta a diversi anni di invecchiamento, proprio perché vinificato alla maniera dei grandi rossi italiani.
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it finisce, di fatto, la vendemmia 2011. Tredici gradi e mezzo il titolo alcolometrico. Vino importante, dunque. Che si presenta nel calice di un rosso tra il rubino e il porpora, con riflessi granati. Al naso è schietto, mediamente fine: gli uvaggi si distinguono chiaramente, attraverso note che risultano pulite, nonostante il tempo trascorso in bottiglia. E’ il primo segnale della sublimazione di un prodotto storicamente “contadino” come il Gutturnio, vino della tradizione piacentina, che con il Superiore La Gobba si toglie di dosso le vesti polverose. E indossa la cravatta della domenica.
Al naso fa eco un palato di grande energia. Buona struttura, buon corpo. Con i profumi di ciliegia e prugna che si tramutano in gusto, giocando testa a testa con i fiori di viola e le note evolute di sottobosco (mirtillo, lampone maturo). Spazio, con l’ossigenazione, anche per terziari raffinati di vaniglia e cioccolato, avvolti al palato in tannini morbidi ma tutt’altro che spenti, uniti alla grande freschezza (e chi se l’aspettava, ancora?) conferita da un’acidità autorevole. L’idillio piacentino, da affiancare a importanti portate di carne rossa, dall’arrosto alla cacciagione, passando per la griglia. Alla temperatura dei grandi rossi: 18-20 gradi.
LA VINIFICAZIONE
Non è un caso se il Gutturnio Superiore Doc La Gobba della Casa Vinicola Testa viene prodotto solo nelle annate climaticamente fortunate. Quelle in cui il blend ottenuto al 70% da uve Barbera e al 30% da uve Croatina (Bonarda), garantisce i risultati migliori in bottiglia. I vigneti sono di tipo argilloso e calcareo, con esposizione privilegiata a Sud. L’allevamento a Guyot semplice. La tecnica di vinificazione prevede una pigiadiraspatura delle uve, accuratamente raccolte a mano, la fermentazione con lieviti selezionati in tini di acciaio a temperatura controllata e la macerazione per circa 20 giorni.
L’estrazione di colore, aromi e struttura tannica sono garantiti da rimontaggi giornalieri che evitano la creazione di sgradevoli sentori. L’affinamento si protrae per almeno 38 mesi, con passaggio di 4-6 mesi in botti di rovere di Slavonia, prima di un ulteriore affinamento in bottiglia che precede la commercializzazione. Ottimo vino, il Gutturnio Superiore La Gobba, dopo i 4-5 anni dalla vendemmia.
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Nuovi clamorosi sviluppi sul caso Amarone Argento 2008 ritirato dai supermercati Auchan. Il vino, sequestrato dalla Forestale veneta venerdì 25 novembre in occasione del Black Friday, risulta “completamente contraffatto”. A rivelarlo a vinialsupermercato.it è Guido Giacometti, direttore di Siquria, Società italiana per la qualità e la rintracciabilità degli alimenti. “Le indagini sono tuttora in corso e vincolate dal segreto istruttorio – evidenzia Giacometti – ma le ipotesi di reato afferiscono agli articoli 468, contraffazione del sigillo di Stato, oltre al 515, 517 bis e 517 quater, relative alle frodi in commercio e vendita di prodotti industriali con segni mendaci, aggravati dall’utilizzo di una Denominazione di Origine protetta”. “Una contraffazione totale del prodotto – continua Giacometti – nel senso che non si tratta affatto di Amarone della Valpolicella, come accertato dal Corpo Forestale, né per natura né per provenienza. Che cos’è? Non posso rispondere. Piuttosto posso dire con certezza ciò che non è, ovvero Amarone”.
I reati sarebbero stati ipotizzati contro ignoti. Ma le forze dell’ordine avrebbero già nel mirino i possibili autori della frode. “Si tratta di indagini complesse – sottolinea Guido Giacometti – perché chi ha architettato il tutto è stato bravo, sicuramente. Ma io credo che il Corpo Forestale arriverà in tempi rapidi all’individuazione dei responsabili”. A guidare le operazioni è il Comando Provinciale di Verona, che ha avviato sin da subito “una vasta operazione di intelligence” che mira a sgominare “una vasta rete criminale estesa sul territorio nazionale, in collaborazione con i Comandi provinciali di Venezia, Padova, Brescia, Modena, Vicenza, Roma e Taranto”. Che sia pugliese, dunque, il vino contenuto nelle bottiglie di finto Amarone?
Intanto, da un controllo effettuato su una banca dati ufficiale, la fascetta contraffatta richiamava l’azienda Vini Scic, controllata da una nota realtà veronese, la Bixio Poderi di Veronella. “Vorrei esprimere la totale estraneità della Bixio Poderi nella vicenda narrata – scrive in una nota indirizzata a vinialsupermercato.it Elisa Bixio, direttore dell’omonima cantina veneta -. Bixio Poderi è un’azienda agricola che tratta prevalentemente uve e pochi vini di alta qualità. L’azienda Vini Scic è un’azienda non più operativa dal 2011, da quando è stata posta in liquidazione e non più sotto il controllo di alcun membro della mia famiglia”. Falso, in etichetta, pure il riferimento all’imbottigliatore. “Vini Val di Verona” non esiste, ma è un chiaro riferimento (fraudolento) alla “Vini Valli Verona Srl”, società controllata da un’altra prestigiosa cantina veneta, quella di Negrar, che con questo nome commercializza vini nei supermercati Lidl.
“VINO FALSO, MA NON PERICOLOSO”
Vino contraffatto, sì. Ma “assolutamente non pericoloso per la salute”. Lo assicurano il Corpo Forestale e la stessa Siquria. “Come sia finita in Auchan questo vino è un altro aspetto che chiariranno le indagini – dichiara il direttore Giacometti – ma quello che mi sento di dire è che la grande distribuzione dovrebbe stare veramente più attenta ai criteri di selezione e di qualifica dei suoi fornitori. E anche al prezzo. Basta un minimo di buonsenso per capire che certi prezzi da un lato sminuiscono il lavoro di chi lavora la terra producendo vino e, dall’altro, risultano addirittura sotto i costi di produzione: chiaro che, così facendo ci si infili in un vicolo cieco”. Un monito anche ai consumatori: “Devono crescere dal punto di vista culturale – striglia Giacometti – per capire che un prodotto di un certo tipo non può essere commercializzato a dei prezzi troppo bassi. Questo è uno sforzo che va fatto da chi acquista, ma anche da chi ha gli strumenti per indirizzare i consumatori a scelte più consapevoli, come sta facendo certamente vinialsupermercato.it, a cui vanno i miei complimenti, non solo per essere stati i primi ad aver dato la notizia”.
LA GAFFE DELLA CORVINA Eppure, non si pensi che siano sempre i vini del Nord Italia a finire sotto accusa. Clamorosa la gaffe denunciata nei mesi scorsi dal nostro portale (leggi qui), relativo all’utilizzo di Corvina, uva veneta, per la produzione di un vino pugliese, il Primitivo di Manduria. In quel caso si trattò di una “svista”, corretta in pochi giorni dall’imbottigliatore – una nota azienda di spumanti con sede a Cazzano di Tramiglia, in provincia di Verona – e non di una frode.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
“Il Testo Unico per il Vino è legge. La Camera ha approvato, a soli due mesi dal passaggio iniziale e dopo l’ultima votazione al Senato, la prima regolamentazione certa e completa a livello europeo del nostro comparto. Un testo organico di 90 articoli che fanno del vino l’unico prodotto dell’agroalimentare ad avere una disciplina di questo tipo, che chiude un iter di tre anni di lavoro nel corso dei quali la filiera si è presentata unita in ogni confronto. Le istituzioni e le forze politiche hanno dimostrato una nuova attenzione e disponibilità al dialogo che ha dato vita ad un documento di cui siamo certamente soddisfatti”.
Così Antonio Rallo, presidente di Unione Italiana Vini, commenta l’approvazione definitiva di oggi da parte della Camera dei Deputati del Testo Unico della Vite e del Vino che era stato già approvato il 17 novembre con voto unanime da parte del Senato. Ora il testo è legge e contiene numerose delle istanze che UIV, insieme alla filiera, aveva proposto, sulla scorta delle esigenze espresse dalle imprese, come: lo snellimento burocratico, la semplificazione ed il miglioramento dell’efficienza del sistema dei controlli, la rivisitazione del sistema sanzionatorio (con l’introduzione della diffida e del ravvedimento operoso che per la prima volta vengono applicati in agricoltura).
Sono molte altre le novità introdotte da questa legge: l’istituzione di un registro unico dei controlli; l’introduzione di ulteriori strumenti di tracciabilità del vino (con sistemi telematici di controllo); alcune semplificazioni per la tenuta dei registri dematerializzati; il riconoscimento del vino e dei territori viticoli come patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzare (vigneto sentinella del territorio); la salvaguardia da parte dello Stato dei i vigneti in territori soggetti a rischio idrogeologico e di pregio paesaggistico, storico, ambientale; la definizione più rigorosa di vitigno autoctono italiano.
“Fissati i criteri generali del Testo Unico – spiega il presidente Rallo – ora si apre il lavoro sui regolamenti attuativi che andranno a normare nei dettagli temi molto importanti quali: i piani di controllo dei vini a Denominazione d’Origine e Indicazione Geografica, l’etichettatura, la gestione dei contrassegni di Stato, i Consorzi di Tutela. L’auspicio è che la filiera si mantenga compatta anche in questa fase di confronto con il Ministero: la stesura dei regolamenti attuativi rappresenta, infatti, un percorso importante e strategico al pari della norma generale”.
“Ringrazio gli Onorevoli parlamentari di tutti i gruppi politici, il Ministro Martina, il Vice Ministro Olivero, i dirigenti e i collaboratori del Ministero, per l’impegno profuso – conclude Antonio Rallo. In particolare, desidero esprimere la nostra gratitudine ai relatori: l’On. Massimo Fiorio e la Senatrice Leana Pignedoli, per aver contribuito, insieme ai presidenti On. Luca Sani e Sen. Roberto Formigoni, ad accelerare il complesso iter legislativo della legge”.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
(Leggi qui gli ultimi sviluppi della vicenda). Il fascino a stelle e strisce del “Black Friday” lascia il segno in Veneto. L’Auchan di Mestre è stato costretto al ritiro immediato di una partita di Amarone della Valpolicella. Il punto vendita della catena francese esibiva interi pallet del più nobile dei vini veneti, al prezzo shock di 8,49 euro per l’annata 2008.
L’etichetta incriminata è quella dell’Amarone della Valpolicella Doc Classico “Argento” di Vini S.C.I.C. Srl, riconducibile alla famiglia produttori Bixio, che controlla tra l’altro Poderi San Bonifacio, azienda distribuita da Mondello Wines Srl di via Villabella nell’omonimo Comune alle porte di Verona.
Tra gli avventori del supermercato, nel venerdì dei prezzi folli che in questo 2016 ha coinvolto anche il Belpaese, forse anche qualcuno interessato a documentare l’ennesimo schiaffo a una Denominazione già maltrattata in Europa e negli Stati Uniti.
Il vino, come dimostrano le foto pubblicate in esclusiva da vinialsupermercato.it, era in vendita al 50% rispetto al prezzo pieno. Immediata la segnalazione a Siquria, Società italiana per la qualità e la rintracciabilità degli alimenti Spa, l’organismo di certificazione riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole nato nel 2009 da un progetto condiviso dal Centro Vini Veneti (CE.VI.VE.), ente impegnato nell’attività di valorizzazione delle denominazioni di origine venete, con C.S.I. Spa, società leader nell’ambito della certificazione e della qualificazione dei sistemi di gestione della qualità e di prodotto, operante anche a livello europeo ed internazionale.
Le indagini sono tuttora in corso sul lotto ritirato e vedono coinvolto il Corpo Forestale dello Stato e la Guardia di Finanza. I militari dovranno stabilire la validità delle certificazioni, oltre alla fattura di vendita della partita di Amarone della Valpolicella al Gruppo Auchan Spa, che ha sede a Rozzano, nel Milanese. A destare sospetti è chiaramente il prezzo stracciato di Argento 2008. Meno di 9 euro risultano al limite del “sottocosto” e più comuni al costo di un Ripasso nella grande distribuzione organizzata. Le rese al 40%, i costi relativi all’affinamento, l’ammortamento, il packaging e i costi del capitale umano necessario alla distribuzione e pubblicizzazione del prodotto risulterebbero così compromessi.
“Non ci risulta di aver distribuito in Auchan alcun Amarone e non produciamo un Amarone denominato Argento”, è il commento di Davide Camarda, che esclude un interessamento della famiglia Bixio nelle operazioni in corso.
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“Il vino fra Salute, Eros e Trascendenza”, questo il tema del convegno organizzato dall’Azienda vitivinicola Ruffino, da Unione Italiana Vini e dalla Società Italiana di Andrologia (SIA), che si terrà Venerdì 2 dicembre 2017 presso la Tenuta Poggio Casciano di Ruffino, in loc. Quarate a Bagno a Ripoli (Firenze).
Partendo dal vino come elemento di congiunzione fra eros e psiche, mito e religione, illustri personalità medico-scientifiche affronteranno il tema vino-salute, declinato in contesti diversi: si parlerà del ruolo del vino nell’alimentazione, nella salute generale e nella vita sessuale maschile e femminile cercando di mostrare, attraverso le più recenti ricerche scientifiche, come il bere responsabile abbia effetti positivi su diversi aspetti della salute.
Apriranno il convegno Sandro Sartor, AD Ruffino, e Antonio Rallo, Presidente Unione Italiana Vini, con i rappresentanti delle Istituzioni della Regione Toscana e del Ministero della Salute e delle Politiche Agricole. Qui il programma completo.
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Dwight Stanford, un lavoro ce l’aveva. In America. Chirurgo generale. Apriva e ricuciva pazienti, nella sua clinica di Kansas City, Missouri. Poi, la svolta. Anche Antonella Lonardo, un lavoro l’avrebbe avuto. Una cattedra all’Università di Napoli. Docente ordinaria, dopo la laurea in Archeologia. Ebbene. Ci ha rinunciato. Ancor prima di cominciare. Il richiamo della terra è una questione di vita o di morte per i vignaioli Fivi. L’americano che molla tutto e si trasferisce a Offida, nella sperduta provincia di Ascoli. E l’avellinese che dopo tanti sacrifici sui libri capisce cosa vuole davvero: proseguire il cammino segnato dai genitori, titolari di un’azienda agricola ben avviata, a Taurasi. Storie di vino. Storie di vignaioli che, nel weekend scorso, si sono resi protagonisti del Mercato dei Vini della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (Fivi), nei padiglioni di Piacenza Expo, pronto ora allo storico sbarco nella capitale, Roma, il 13 e 14 maggio 2017 all’Eur.
“Sopra la stessa zolla. Sotto la stessa goccia. Nello stesso letame”: questo il messaggio lanciato dai viticoltori nel corso della sesta edizione della manifestazione, che ha chiuso con più di 9 mila ingressi la due giorni nel capoluogo emiliano (+50% rispetto all’edizione 2015). Citazione della retroetichetta delle bottiglie di Prosecco di Luigi Gregoletto, vignaiolo Fivi dell’anno. Un segnale forte, in un periodo in cui il vino e i vignaioli sono sotto accusa, in particolare nella zona di Conegliano-Valdobbiadene. In un’arena piena di colleghi il vignaiolo di Miane, premiato come Vignaiolo dell’anno, ha commosso i presenti con il suo discorso. Un inno alla terra e al suo rispetto.
“Dalla mia vita e dalle mie esperienze – ha raccontato Gregoletto – posso dire che la terra va rispettata, va amata, perché la terra è madre e sa ricompensare. Anche oggi che produrre molto è facile e produrre poco è altrettanto facile. Produrre equilibrato nel rispetto della terra, della sua conservazione e della qualità del prodotto, è molto più difficile. Ma sono convinto che questa sia la via da affrontare e sono altrettanto convinto che la terra non delude. La terra ti può fare meno ricco, ma sicuramente più signore”.
I MIGLIORI VINI DEGUSTATI Signori vini, quelli in degustazione al “Mercato” di Piacenza. I bianchi di Ermes Pavese, vignaiolo valdostano di Morgex, mostrano tutte le potenzialità del vitigno autoctono Prié Blanc. Il metodo classico Pas Dosé, 24 mesi sui lieviti si rivela complesso, sapido, minerale, di persistenza balsamica. Più pronto del Pas Dosé 18 mesi, ancora giovane, come evidenzia un’acidità spiccata e di prospettiva. Anche Nathan, il barricato di casa Pavese, è un buon compagno da dimenticare in cantina e riscoprire tra qualche anno.
Dalla Valle D’Aosta ci spostiamo in Friuli Venezia Giulia, dai Vignai Da Duline. La cantina di Villanova (Udine), visitata nelle scorse settimane da Angelo Gaja e dal suo staff, porta sugli scudi Malvasia Istriana e, soprattutto, Friulano Giallo: antico biotipo di Tocai, risulta meno produttivo ma più resistente alle malattie. Duecento ceppi in totale, che nelle annate migliori i coniugi Lorenzo Mocchiutti e Federica Magrini tramutano in magnum d’occasione. Memorabile la vendemmia 2015 di Giallo di Tocai, in degustazione: note speziate di zenzero e curcuma si legano a doppio filo ai terziari conferiti dal legno. Naso rigoglioso, cui fa eco un palato morbido, ricco, carico di vitalità. Da provare anche Morus Alba, unione tra i cru di Malvasia Istriana e Sauvignon che esprime l’idea di territorialità dei Vignai Da Duline.
Un passo più in là ecco Weingut Abraham. A presentarla Martin Abraham. Personaggio schivo, presenta in degustazione una batteria interessantissima. Tra i Pinot Bianco svetta la vendemmia 2013. Lungo periodo sulle fecce e due anni in botte seguono una raccolta dei migliori grappoli, da viti del 1955. L’acidità spiccata gioca con note esotiche che, tanto al naso quanto in bocca, spaziano dal mango alla banana. Un Pinot Bianco salino, che darà il meglio di sé nei prossimi due, tre anni. Solo 600 le bottiglie prodotte. Una vera perla.
Straordinario anche il Traminer 2014 di Martin Abraham. Meno aromatico di quanto ci si possa aspettare, spariglia le carte con un olfatto tipico e un palato che, al contrario, spinge maggiormente sulla mineralità. La vendemmia 2013 di Traminer è ancora più concentrata, ma conserva i medesimi tratti. Ottimi anche i rossi del vignaiolo altoatesino di Appiano (Bolzano). Upupa Rot 2013 è il blend tra Schiava (95%) e Pinot Nero (5%), vino “dritto” sulle acidità più che sulle note fruttate tipiche dei due vitigni. Sublime il tannino espresso, così come elegante risulta quello del 100% Pinot Nero 2013, timido in ingresso, pronto poi ad aprirsi sul classico bouquet di sottobosco.
Ecco dunque Edi Keber, friulano di Cormons, Gorizia. Il suo Collio 2015 è fresco e fruttato. In degustazione anche una più evoluta vendemmia 2012, che mostra tutta la potenzialità d’invecchiamento dell’uvaggio storico Tocai, Malvasia Istriana e Ribolla. Giallo dorato, naso minerale che richiama il terroir, frutta meno stucchevole e meglio bilanciata da un’acidità viva. “Un vino da aspettare”, come conferma al banco il giovane vignaiolo Kristian Keber.
Non poteva mancare la Lombardia, con una vera e propria “chicca”. E’ Bastian Contrario, 100% Trebbiano dell’azienda Lazzari di Capriano del Colle, provincia di Brescia. Novecentotrenta bottiglie, numerate. La vendemmia in degustazione è la 2014. Giallo dorato, naso di miele millefiori e tipica nota botritica. Al palato pieno, sapido ed elegante. Morbido, nonostante l’acidità spiccata. Fondamentali i diradamenti dei tralci di Trebbiano, in vigne di età superiore ai 20 anni. “L’obiettivo – spiega Davide Lazzari – è quello di ridurre il carico produttivo fino a non più di 60 quintali di uva per ettaro: si spinge così sulla surmaturazione con vendemmia tardiva a fine ottobre. Attendiamo dunque l’attacco botritico, che contribuisce a un’ulteriore concentrazione delle rese. Il 50% del mosto fermenta direttamente nella barrique in cui resterà in affinamento per 12 mesi”. L’abbinamento perfetto? Quello con i formaggi grassi delle valle Orobiche.
Ecco dunque l’incontro che non t’aspetti. Quello con Ps Winery di Offida, Ascoli Piceno. Una cantina a metà tra le Marche e gli Stati Uniti d’America. Chiedere per credere ai due soci fondatori, Raffaele Paolini e Dwight Stanford. Galeotto fu il master di Scienze Gastronomiche organizzato da Slow Food del 2006, presso la Reggia di Colorno. I due si conoscono lì e la passione per il vino fa il resto.
“Dopo 25 anni di lavoro in clinica ero un po’ stanco – spiega Dwight (nella foto con la moglie, conosciuta al Bravio delle Botti di Montepulciano) – volevo un anno sabbatico. Ho deciso così di aderire al master di Slow Food. Mi avevano assicurato che tutte le slide sarebbero state in inglese. Ma quando sono arrivato, mi sono reso conto che non era così! Passavo i pomeriggi a tradurre i pochi appunti, studiando su Internet cosa fosse esattamente, per esempio, il Parmigiano Reggiano. Proprio in quei giorni mia madre è venuta a mancare e ho deciso di reinvestire l’eredità, assieme ai soldi che avevo messo da parte in tanti anni di lavoro, nell’acquisto di alcuni terreni, assieme al mio compagno di corso Raffaele”. I due scelgono i cloni, le varietà. E trasformano interi campi coltivati a erbe mediche in vigna. “Il primo anno è stato fantastico – ammette Dwight – anche se abbiamo dovuto mandare via l’enologo. A quello poi ho ovviato io, laureandomi in enologia”.
Da provare l’Incrocio Bruni 54 di Ps Winery, dal prezzo strabiliante di 10 euro (in cantina). Si tratta del risultato dell’incrocio, per impollinazione, di Verdicchio di Jesi e Sauvignon Blanc. “Una pianta legnosissima – spiega Raffaele Paolini – tutt’altro che elastica, già a maggio. Delicatissima nel periodo della fioritura, ha un grappolo spargolo”. Solo 14, in tutta la regione, le cantine che lo allevano. Ps Winery ne ha 1.500 ceppi, distribuiti su un quarto di ettaro. Di colore giallo paglierino con riflessi dorati, il Marche incrocio Bruni 54 Igt di Ps Winery richiama il Verdicchio e la sua carica minerale, al naso. Al palato è un concentrato di struttura e di calore, ben espresso dagli oltre 15 gradi di percentuale d’alcol in volume. La sapidità è il secondo tratto distintivo del magnifico terroir Marche, espresso anche in questo Incrocio.
Di Ps Winery splendido anche il Syrah 2013 (24 mesi tra barrique e tonneau). Ai frutti rossi maturi rispondono a livello olfattivo percezioni floreali di viola, che poi lasciano spazio a complessi terziari di vaniglia, tabacco, liquirizia. Non manca uno spunto vegetale, che richiama la macchia mediterranea (alloro, rosmarino). Di grande freschezza in ingresso, rivela al palato la potenza (elegante) di un tannino ben bilanciato che nobilita la beva e chiama il sorso successivo. Ancora verde il tannino del Montepulciano 2011 Igt di Ps Winery: altro prodotto di assoluto valore, ma da attendere.
Rimaniamo nelle Marche per scoprire un altro vignaiolo che ha fatto della sperimentazione il proprio credo. E’ Giuseppe Infriccioli dell’Azienda agricola biologica Pantaleone, che lascia a bocca aperta con il suo Bordò. Si tratta di un biotipo storico appartenente alla famiglia dei Grenache. Utilizzato in purezza (100%), dà vita all’Igt Marche Rosso La Ribalta, di cui apprezziamo in particolare le vendemmie 2012 e 2010.
Di colore rosso rosso granato intenso, impenetrabile, si rivela speziato al naso: alle note fruttate rosse fanno da preponderante contorno liquirizia, chiodi di garofano, ginger e una spruzzata di pepe nero. Il tannino è presente, ma non disturba la beva in una vendemmia 2012 che, a conti fatti, risulta di grande eleganza e avvolgenza, anche nel finale tendente nuovamente al fruttato. Più complessa, come da aspettative, l’evoluzione della vendemmia 2010. Naso e bocca tendono al peperone verde e al cetriolo sotto aceto. Tutt’altro che un difetto, anzi: vino da provare, almeno una volta nella vita, per accompagnare grigliate, stufati, arrosti, brasati, cacciagione e selvaggina, nonché formaggi stagionati.
E’ di Contrade di Taurasi – Cantine Lonardo, provincia di Avellino, l’ultimo vino che segnaliamo tra i migliori assaggi al Mercato dei Vini Fivi 2016. Ventimila bottiglie la produzione totale della cantina oggi condotta in regime biologico dall’ex archeologa Antonella Lonardo, avviata dal padre Alessandro Lonardo e dalla madre Rosanna Cori: lui professore di Lettere in pensione e sommelier, lei insegnante di educazione Tecnica a Napoli. Cinque ettari, coltivati prettamente ad Aglianico. Ed è proprio un Taurasi Docg a centrare nel segno. Si tratta del cru Coste, vendemmia 2011.
Vino elegante, maestoso, che esprime tutta la magnificenza del grande vitigno avellinese. Difficile non pensare a una ricca tavola imbandita, sorseggiandolo a Piacenza: perfetto l’abbinamento con piatti elaborati a base di carne (dal brasato alla selvaggina) o accostato a formaggi stagionati. “L’annata 2016 è stata dura – commenta Rosanna Cori – le piogge ci hanno fatto temere addirittura per l’intero raccolto. Abbiamo vendemmiato quasi grappolo per grappolo, non appena compariva un po’ di sole. Il nostro enologo si è meravigliato quando ha visto le condizioni perfette delle uve condotte in cantina”.
Contrade di Taurasi produce vino ma svolge anche un ruolo sociale ed educativo nell’avellinese, nell’indole dei suoi fondatori. “Ogni anno ospitiamo un tirocinante dell’Università di Palermo – evidenzia ancora Rosanna Cori – che può formarsi al fianco del nostro piccolo staff scientifico, di cui fanno pare il professor Giancarlo Moschetti e il professor Nicola Francesca, microbiologi dell’Università di Palermo”. Loro il merito di aver estratto i lieviti indigeni che rendono così unici i vini di Cantine Lonardo, capace – se non bastasse – di recuperare anche un vitigno abbandonato come il Grecomusc, unico bianco di questa validissima realtà avellinese.
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Cento bottiglie di Barolo. Una selezione delle migliori etichette del vino piemontese per eccellenza sono state conferite al regista Paolo Sorrentino durante la 34ma edizione del Torino Film Festival. Il regista de “La Grande Bellezza” è stato insignito del Premio Langhe, Roero e Monferrato, riconoscimento istituito dal Museo Nazionale del Cinema e dalla Regione Piemonte destinato ogni anno ad un personaggio del mondo del cinema di rilevanza internazionale. Un Premio nato per sottolineare il legame tra valorizzazione del patrimonio artistico, vocazione culturale e cultura del vino che caratterizzano la Regione Piemonte ed il territorio. Legame che ha portato il paesaggio vitivinicolo compreso tra Langhe Roero e Monferrato ad ottenere il riconoscimento di patrimonio mondiale dell’Unesco.
Paolo Sorrentino ha ricevuto il premio dalle mani di Paolo Damilano, produttore quarta generazione di una delle cantine storiche di Barolo, Cantine Damilano, durante una cena di beneficienza a favore delle popolazioni terremotate.
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Nel corso dell’assemblea tenutasi martedì pomeriggio nella sede di Montecchio Maggiore, il consiglio direttivo ha scelto la strada della continuità – confermato nel ruolo di vice presidente anche Silvano Nicolato – alla luce dei buoni risultati conseguiti nel primo bilancio economico (fatturato di 38.775.336 euro a fronte dei 34 milioni di euro raggiunti dalle tre cantine nel 2014) e con l’obiettivo di migliorare ulteriormente la crescita di bottiglie prodotte – oltre 6.100.000 negli ultimi dodici mesi – e l’export nei paesi europei ed extraeuropei.
“Dalla nascita di Vitevis a oggi – commenta Luciano Arimini – abbiamo portato avanti con grande determinazione un percorso di valorizzazione delle produzioni Doc e Igt del territorio vicentino, puntando sulla conquista di nuovi spazi di mercato per i nostri vini nei diversi continenti. I buoni risultati ottenuti nel primo anno di attività dimostrano che i vini di Vicenza possono competere per qualità e appeal con quelli di altri territori più blasonati. Proseguiremo lungo questa strada resa possibile dai tanti soci che ogni giorno lavorano con grande impegno in vigna per produrre uve di prima qualità destinate a vini territoriali con carattere e personalità ben riconoscibili”.
A completare il consiglio di amministrazione sono Fabio Dal Maso, Narciso Stefano Dani, Andrea Gastaldo, Andrea Ghiotto, Marco Guarda, Matteo Lovato, Andrea Marzari, Gessica Maule, Stefano Meggiolaro, Matteo Montesello, Paolo Silvio Peruzzi, Luca Rancan e Piergiorgio Saccardo.
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“La Cina è un Paese che offre grandi opportunità per il comparto vitivinicolo italiano, in quanto registra tassi tra i più alti nel mondo sia di incremento dei consumi che delle importazioni. Da qui, l’impegno di Unione Italiana Vini, insieme al Ministero dello Sviluppo Economico, ICE ed Enoteca Italiana, nel progetto “Top Italian Wine & Spirit Course”, il cui obiettivo è stato quello di formare 80 operatori cinesi attraverso i quali promuovere la conoscenza del vino italiano in Cina. Abbiamo premiato con un diploma gli appassionati e competenti professionisti che hanno approfondito le tradizioni, la storia e la geografia dell’enologia italiana. A tutti loro – sommelier, giornalisti ed influencer – i produttori italiani hanno affidato, simbolicamente, un messaggio di qualità e cultura territoriale, promuovendoli quali ambasciatori della nostra migliore tradizione produttiva”. Con queste parole Antonio Rallo, Presidente di Unione Italiana Vini, è intervenuto a Pechino alla cerimonia conclusiva del progetto Top Italian Wine & Spirit Course”, che si è inserito nell’altrettanto importante iniziativa della “Prima settimana della cucina italiana nel mondo”, organizzata da MAECI, MISE e MIPAAF e alla quale UIV ha deciso di non mancare. Durante la serata, il Presidente Rallo, l’Ambasciatore italiano a Pechino Ettore Sequi e l’Amministratore dell’Enoteca Italiana Egidio Bianchi, hanno consegnato, alla presenza di illustri rappresentanti delle Istituzioni cinesi e italiane, i diplomi agli 80 partecipanti dei corsi frequentati sia in Italia che in Cina.
“Il progetto Top Italian Wine & Spirit Course, – conclude il Presidente Rallo – è il risultato di una strategia di ‘Sistema’ che sta dando i suoi primi frutti e che punta a diffondere la conoscenza dell’Italia come Paese del vino. Le attività di comunicazione e formazione realizzate, sono fondamentali per accrescere in modo efficace il valore del nostro vino nel vasto mercato cinese, e supportarne le vendite. Le esportazioni dei vini italiani sono cresciute nei primi otto mesi di quest’anno. Un trend che dobbiamo consolidare, rafforzando l’impegno promozionale del nostro Paese con azioni sistemiche che vedano insieme imprese ed Istituzioni, come sperimentato con questo progetto”.
PROGETTO “TOP ITALIAN WINE & SPIRIT COURSES” Obiettivo primario del progetto Top Italian W&S è la formazione di ambasciatori del vino italiano in Cina. Il progetto è costituito di tre parti:
1) la prima parte, terminata in ottobre 2015, prevedeva la sezione dedicata agli incoming, rivolta ad operatori del settore vitivinicolo cinese. In tutti gli incoming, i delegati cinesi (professionisti del comparto, settore comunicazione e media, settore istruzione professionalizzante) sono stati accompagnati da interprete italiano/cinese. I contenuti della formazione sono stati identici nei tre incoming, con lo scopo di fornire materiale didattico e sussidiario alla conoscenza ed approfondimento di tutto il patrimonio vitivinicolo italiano. Le degustazioni hanno invece permesso di ‘scendere’ nella regionalità e tipicità dei territori visitati.
2) la seconda parte è terminata nel mese di ottobre 2016, e prevedeva la formazione in Cina: i corsi, realizzati nelle aree di Chengdu, Shanghai, Canton e Pechino, miravano a incrementare il livello di conoscenza del consumatore cinese ancora non adeguatamente consapevole della varietà e qualità dell’offerta vinicola italiana, ma in particolar modo intende costruire un modulo didattico (ripetibile e declinabile in base alle esigenze dei delegati ambasciatori/formatori), dedicato essenzialmente all’abbinamento dei vini italiani ai principali cibi cinesi.
Questi primi due percorsi si concludono con la serata di premiazione a Pechino dove il Presidente UIV Antonio Rallo ha consegnato agli 80 partecipanti un diploma con valore effettivo alla presenza di istituzioni cinesi e dell’Ambasciatore italiano a Pechino.
3) la terza fase consta nella realizzazione di un portale internet in lingua cinese, italiana ed inglese volto alla promozione del vino italiano. La società selezionata alla realizzazione dello stesso ha inviato ad ICE la proposta progettuale che prevede in home page i contatti dei partner del progetto e cinque aree differenziate nei contenuti. In particolare, un’area conterrà al suo interno l’elenco delle aziende italiane che parteciperanno al progetto. Le singole aziende potranno essere ricercate attraverso i seguenti filtri:
Geolocalizzazione, Brandi, Tipologia vino, Vitigno, Alfabetico nome e avranno a disposizione dei “mini siti”. Questo portale vuole rappresentare uno strumento di comunicazione che dovrà essere inserito all’interno di una strategia di digital marketing messa a punto con specialisti del settore, nell’ambito di un più ampio progetto di comunicazione del vino in Cina, al momento in fase di definizione (il portale è ancora in fase di realizzazione).
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Vermentino Sardegna Don Giovanni Cantina Mogoro 768x1024 1
Avevamo un po’ dimenticato i vini sardi, per lasciarci conquistare da qualche bianco del nord-est o qualche rosso del sud-est. Ma siamo sempre pronti a scoprire nuove realtà enologiche come il Vermentino di Sardegna Doc Don Giovanni, prodotto dalla cantina sociale di Mogoro. Alla vista si presenta di un colore giallo intenso che richiama il dorato, con una limpidezza e una brillantezza molto apprezzabili. L’esame olfattivo è spiazzante, in positivo. Sentori di passion fruit e banana si mescolano a quelli di fiori di sambuco.
Quindi note di frutta e floreali che non ci saremmo aspettati in questo vermentino, che fa tornare alla mente qualche buon Sauvignon, dai profumi bilanciati e gradevoli. La prima sensazione che si avverte in ingresso, al palato, è il gran corpo del Vermentino di Sardegna Doc Don Giovanni. Naturalmente fa seguito una sapidità spiccata e molto percettibile, che sconfina nella mandorla e accompagna un pizzico di balsamicità, data da sentori di zenzero.
LA VINIFICAZIONE
Questo vino nasce nei vigneti del Don Giovanni del comune di Mogoro, in provincia di Oristano, che si sviluppano su una superficie sia collinare sia pianeggiante, su un suolo mediamente calcareo alternato a sabbie quaternarie. Il clima nel quale la vite si sviluppa è ovviamente mediterraneo, con inverni miti ed estati calde, mitigate da un vento salino di Maestrale. La raccolta delle uve avviene manualmente, con un ammostamento condotto entro poche ore dalla vendemmia. Dopo una breve macerazione pellicolare, la vinificazione prosegue evitando il contatto con l’ossigeno, per preservare le caratteristiche gusto-olfattive del vitigno. Continui battonage in serbatoi di acciaio accompagnano per 40 giorni la fermentazione.
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